Pubblichiamo, ritenendo utile una riflessione al riguardo, alcuni ricordi, che il Compagno Giorgio Langella della Direzione Nazionale del PCI ha voluto condividere
Non so se avete sentito e letto i servizi e gli articoli dei principali organi di informazione italiani sulla situazione in Venezuela. Non so se avete notato come sembrano tutti identici (non simili, proprio uguali) quasi fossero dettati da una stessa fonte. Lo sono. Divulgano notizie palesemente false e commenti assolutamente dalla parte dei loro “datori di lavoro”. Quei padroni che vogliono azzerare qualsiasi forma di emancipazione dei popoli e dei governi di quello che lorsignori chiamavano “terzo mondo” e che continuano a considerare una loro colonia.
Io ho vissuto in sudamerica un periodo di fermento progressista. All’epoca (era la fine degli anni ’60, il sessantotto per la precisione, quando arrivai con la famiglia a Lima) rimasi stupito, piacevolmente stupito, dal colpo di stato avvenuto in Perù in ottobre. Conoscevo quello che era successo in Grecia l’anno prima, nel 1967. Il colpo di stato dei colonnelli, la repressione e la violenza fascista, “l’orgia del potere”. Non mi aspettavo, certo, che dei generali potessero essere progressisti. Nazionalisti, certamente, ma di un nazionalismo diverso da quello esaltato dalla destra europea. Si parlava di riscatto nazionale nei confronti di chi sfruttava le immense ricchezze del paese. Si parlava di dignità, di alzare la testa di fronte al quell’ingombrante impero che controllava tutto e tutti dal nord. Si dava voce a chi non l’aveva, a chi non conosceva lo spagnolo ma solo il quechua o l’aymara. Si parlava e si agiva. Ci fu, dopo una settimana dal colpo di stato, l’occupazione militare dei pozzi petroliferi di “La Brea y Pariñas” a Talara nel nord del paese. Petrolio che era sfruttato dalla International Petroleum Company. Petrolio che era stato letteralmente rubato al popolo peruviano perché la “grande sorella” nordamericana non aveva mai pagato neppure un centesimo.
Vi assicuro che vedere sventolare la bandiera peruviana sui pozzi petroliferi fu qualcosa di notevole e liberatorio. Fui orgoglioso anch’io, ragazzo straniero che stava iniziando a rispettare e amare un popolo così diverso dal mio. Come entusiasmante fu la proclamazione della riforma agraria. Quella frase di Tupac Amaru II, “contadino il padrone non potrà più mangiare la tua povertà”, che era scritta sulla copertina del testo della riforma mi sembrava (e lo era) qualcosa di semplicemente magnifico. Io non so cosa scrivessero qua in Europa di quello che stava succedendo allora in Perù. Da qualche lettera della nonna che era rimasta in Italia si poteva capire che si guardava con preoccupazione l’esperienza peruviana, ma quello che stavamo vivendo io e la mia famiglia era un’esperienza importante. Mio padre ricordava che un’aria così, di speranza e consapevolezza, l’aveva respirata quando, giovane partigiano, aveva partecipato alla liberazione dell’Italia dal nazifascismo.
E ricordo quando aprirono l’ambasciata sovietica, quando i medici cubani arrivarono per primi a portare gli aiuti dopo il devastante terremoto del maggio del 1970. Ricordo il discorso del presidente generale Juan Velasco Alvarado quando annunciò la riforma che prevedeva la socializzazione della proprietà delle industrie private.
Ricordo che, in quegli anni, ci fu in Bolivia l’esperienza del generale progressista Juan José Torres. Che in Cile fu eletto Allende … Ricordo che il primo ad essere spodestato con un colpo di stato cruento fu Torres nel 1971 (poi ucciso nel 1976 in Argentina durante la dittatura di Videla; un assassinio da ascrivere alla famigerata “Operazione Condor”). Ricordo le serrate e gli scioperi dei trasportatori che paralizzarono il Cile. Ricordo ancora l’11 settembre del 1973, il colpo di stato di Pinochet finanziato dagli USA, gli aerei sul palazzo de la Moneda, l’assassinio di Salvador Allende. Ricordo che in Perù, a metà degli anni settanta, ci furono crescenti disordini e una crisi che portò alla destituzione del generale Velasco Alvarado e a una “restaurazione democratica” che riportò la “calma imperiale” nel paese, la dura repressione, la violenza, la corruzione. Ricordo la dittatura di Videla in Argentina. I “desaparecidos”. Tutto in nome della normalizzazione. Punizioni per chi aveva osato opporsi al potere imperiale degli Stati Uniti (non importa chi fosse il presidente del momento).
Io posso dire che ho vissuto i tentativi di riscatto e la loro repressione. Li ho respirati. Così sono diventato comunista.
Oggi sta succedendo lo stesso in Venezuela. La stessa modalità. Crisi indotta e sfruttata, violenze, serrate, aggiotaggi, falsa informazione per abbattere un governo legittimo che sta costruendo (con fatica, certo, e, probabilmente, con qualche errore) una nazione che non vuole essere asservita al “capitalismo imperiale statunitense”. Un tentativo di riscatto e dignità che non può, per lorsignori, né esistere né resistere alla periferia dell’impero.
Noi dobbiamo appoggiare il governo chavista venezuelano. Dobbiamo contrastare la falsa informazione dei media italiani (e occidentali). Dobbiamo opporci a questa campagna oscena contro il popolo e il governo venezuelano. Sappiamo che dopo Brasile e Argentina, la “normalizzazione imperiale” ha attaccato il Venezuela, la Bolivia di Evo Morales e non si fermerà di fronte a nulla. L’obiettivo è dimostrare chi è il padrone. Dobbiamo aiutare l’America latina a dimostrare qual è la dignità e la forze di un popolo libero (“de la Patagonia al Bravo”).
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