di Lucia Mango, Segreteria Nazionale PCI
In questo periodo nelle aziende metalmeccaniche si lavora alla contrattazione di secondo livello.
Questo perché in questo paese oggi i contratti collettivi nazionali si ‘integrano’ con la contrattazione aziendale o territoriale, quella tra rappresentanze sindacali e azienda, quella che cambia da realtà a realtà, in base al potere contrattuale dell’RSU e/o in base all’etica o alla ‘bontà d’animo’ del padrone e all’andamento dei suoi profitti.
Dal 2015 poi il jobs act ha, con l’art.51, equiparato il contratto nazionale collettivo alla contrattazione di secondo livello su un numero abnorme di regole (comprese la percentuale massima dei lavoratori a tempo determinato e la durata massima complessiva dei contratti), rendendo di fatto del tutto variabili in base al luogo e al datore di lavoro le condizioni materiali dei lavoratori della medesima categoria.
Quest’anno, per quel che riguarda i metalmeccanici, però, c’è stato il rinnovo del CCLN, rivendicato come un buon accordo. Scorrendone i contenuti, in verità, salta agli occhi che l’unica nota realmente positiva è ontologica, ovvero che si è spergiurato il pericolo che il CCLN fosse abolito, quindi un quadro nazionale collettivo c’è, ancora, nonostante tutto.
Ma veniamo alla materia del contendere: il welfare aziendale. Di che si tratta?
In estrema sintesi, si è scelto di non portare avanti la battaglia per l’aumento dei salari, accettando di buon grado l’introduzione dell’obbligo per le aziende di erogare benefit: 100€ nel 2017, 150€ nel 2018, 200€ nel 2019 in servizi di educazione, istruzione, ricreazione, assistenza sociale e sanitaria o culto. Si tratta di tutte le prestazioni di welfare aziendale previste dai contratti collettivi aziendali o territoriali.
Il nuovo CCLN prevede, inoltre, la possibilità di sostituire in tutto o in parte le somme erogate tramite premi di produzione con questi medesimi servizi, resi dal datore di lavoro in convenzione con privati.
Tali prestazioni potranno essere corrisposte attraverso l’erogazione di voucher o tramite portale elettronico. I lavoratori potranno, dunque, ‘scegliere’ tra le convenzioni tra privati, avviate dall’azienda stessa.
Dove sta il bello per i padroni? A tutti questi casi si applica la totale detassazione e decontribuzione.
Ovviamente si sostiene che i lavoratori debbano essere soddisfatti, perché nessun aumento salariale e nessun premio in busta paga corrispondono non solo al fatto che il valore dei benefit e dei premi non sarà tassato, quindi i 100€ di bonus saranno effettivamente 100€ ma tutto questo significa anche che a fine anno non aumenterà la base imponibile.
Quindi tutti contenti? Cerchiamo di vedere cosa si cela dietro questa presunta generosità…
Lo stesso CCLN prevede, infatti, l’obbligo per le aziende metalmeccaniche di versare tot euro a dipendente a Mètasalute, una forma complementare di assistenza sanitaria, tramite la quale i lavoratori metalmeccanici e le proprie famiglie potranno accedere a prestazioni sanitarie.
Ecco che il combinato disposto tra le detassazioni e la decontribuzione e l’avvio di un fondo sanitario integrativo obbligatorio suggerisce un oscuro disegno che può far leggere sotto una diversa luce questo CCLN: il sistema fa le prove per arrivare a piccoli passi verso la destrutturazione del Sistema Sanitario Nazionale. Si arriverà nel medio o breve periodo alla fine dello Stato Sociale così come la Costituzione lo prevede, senza riforme costituzionali, piano piano, un passo per volta, evitando proteste e scioperi, convincendo chi lavora che sarà in ogni caso garantito. Convincendo i lavoratori di qualcosa che non ha alcun riscontro nella realtà, perché non esiste sistema assicurativo che non vada in base a classi di rischio, né assicurazione sanitaria accessibile per chi lavora, qualora ci siano state già malattie o qualora ci sia familiarità con qualche malanno più o meno grave.
Senza contare il fatto che quella dei metalmeccanici resta una categoria che ha un notevole potere contrattuale ma le altre categorie? Ed il popolo delle partite iva? E i disoccupati? Perché in una paese in cui la Costituzione prevede l’universalità della prestazione sanitaria e la gratuità del servizio pubblico si pensa di dover prevedere un fondo sanitario integrativo obbligatorio?
Ecco, dunque, il motivo per cui il PCI ha il dovere di informare e preparare una reazione a questo disegno, che viene avanti a tutto campo rispetto allo stato sociale, quello, almeno, che ancora di esso resta in questo paese. Da un lato il governo sferra continui attacchi all’istruzione pubblica, operando continui tagli alla scuola pubblica ed aumentando i fondi per le scuole private, dall’altro con l’appoggio di Confindustria ed il clamoroso assenso della CGIL, si avvia un percorso che porta alla fine dell’universalità della prestazione sanitaria, come se non bastasse la vergogna dei ticket.
E mentre i media gridano contro il vergognoso aumento delle tasse e al contempo tacciono rispetto all’enorme furto dell’evasione e dell’elusione fiscale, che sottrae, quello sì, i fondi necessari a mantenere e migliorare i servizi essenziali, che sono un diritto costituzionalmente sancito, i comunisti ripropongono una tassazione progressiva, senza tetti, che preveda invece esenzioni per le persone in difficoltà e per i redditi bassi: in un paese minimamente civile chi più ha, più ha l’obbligo di contribuire al mantenimento dei servizi anche per chi ha meno, per chi è in difficoltà, per chi è senza lavoro, perché lo stato sociale ha da essere, appunto, un diritto e non un bonus, che qualcuno concede, quando e se crede, a chi produce il plusvalore che gli garantisce il profitto.