di Giorgio Langella, Dipartimento Lavoro PCI
Dieci anni fa, nella notte tra il 5 e il 6 dicembre, furono investiti dalla fuoriuscita di olio bollente, mentre stavano lavorando, sette operai dello stabilimento ThyssenKrupp di Torino.
I sette operai morirono, bruciati vivi, a causa delle condizioni di sicurezza del tutto insufficienti. Nei processi che seguirono alcuni responsabili furono condannati ma i principali colpevoli, oggi, vivono ancora in libertà in Germania.
Noi vogliamo ricordare i nomi dei sette operai uccisi. Antonio Schiavone, Giuseppe Demasi, Angelo Laurino, Roberto Scola, Rosario Rodinò, Rocco Marzo, Bruno Santino.
Il loro ricordo non può essere quello di una sola giornata, perché ogni giorno lavoratrici e lavoratori si infortunano nei luoghi di lavoro e muoiono uccisi per il profitto di lorsignori.
Vogliamo che si sappia che, in questi dieci anni, oltre 6.200 sono state le vittime per infortunio nei luoghi di lavoro, che diventano oltre 13.000 se si considerano anche le lavoratrici e i lavoratori morti per strada o in itinere. Una carneficina come e peggio di una guerra. Perché questa è una guerra, quella tra capitale e lavoro.
Vogliamo che si sappia che dall’inizio dell’anno al 5 dicembre sono 610 i morti nei luoghi di lavoro.
E, oggi, come ogni giorno vogliamo ricordare chi si ammala per le condizioni che è costretto a subire nei luoghi di lavoro- Ricordiamo i morti dell’Eternit, della Marlane-Marzotto e tutti i morti di malattia professionale, che sono centinaia ogni anno e che muoiono in silenzio, senza “fare notizia”.
Queste morti non sono fatalità o qualcosa di inevitabile. Sono il risultato di un modello di sviluppo spaventoso che privilegia il profitto individuale, che considera la sicurezza un costo e chi vive del proprio lavoro null’altro che “capitale umano”, pezzi di ricambio che possono essere scartati quando non servono più.