La Via della Seta ed i Porti Italiani

Riprendiamo da Marx21.it e pubblichiamo un’intervista a Ettore Sequi e una nota introduttiva di Francesco Maringiò
da agi.it

Negli scorsi giorni l’Ambasciatore italiano in Cina, Ettore Sequi, ha rilasciato una intervista all’Agi in cui spiegava le opportunità per l’Italia del progetto cinese One Belt One Road, comunemente ribattezzato Nuova Via della Seta.

Nel riproporre questa intervista ai lettori di Marx21.it, abbiamo chiesto a Francesco Maringiò un breve commento che vi presentiamo.

Le parole del nostro Ambasciatore a Pechino sono molto interessanti. Innanzi tutto perché confermano “l’ingresso a pieno titolo dell’Italia nell’iniziativa”, come ripetuto anche dall’Ambasciatore cinese, Li Ruiyu, che ha affermato come “le autorità e le aziende cinesi hanno già preso contatti con i porti di Trieste, Genova e Venezia per sviluppare nuove opportunità di cooperazione”.

E questo è molto importante. L’Italia è stata vista, a lungo, come un paese incerto rispetto al progetto della nuova Via della Seta, spesso oggetto di interesse e discussione nella business community o promossa grazie all’attivismo delle realtà locali (pubbliche e private), che non dal dibattito politico, dove è stato pressoché assente.

In secondo luogo l’Ambasciatore nel corso della sua intervista ha illustrato i punti di forza del Belt and Road cinese lungo la sua rotta artica, aerea, ma soprattutto terrestre e marittima ed ha collocato l’Italia come hub logistico nel Mediterraneo per intercettare i crescenti volumi di merci movimentati dai portacontainer. Inoltre, egli ha legato la posizione geostrategica del nostro paese alla possibilità di utilizzare la leva economica e del commercio per la stabilizzazione di aree affacciate sulla sponda sud del Mediterraneo, mostrando in questo lungimiranza e proiezione strategica.

Le parole dell’Ambasciatore sono pertanto un segnale molto importante che marca la giusta direzione che il paese dovrebbe prendere nelle sue decisioni strategiche in materia di politica estera ed economica.

Rimane tuttavia più di qualche interrogativo sulla linea assunta dal Governo in tutta questa partita. I porti “scelti”, infatti sono tutti collocati nel nord del Paese: Venezia è molto attiva – e fa bene –  nella promozione del porto offshore, che tuttavia deve essere costruito mentre i commerci sono già iniziati; Trieste e Genova hanno alcuni problemi logistici (risolvibili con investimenti) ma soprattutto il primo, per la sua condizione di extraterritorialità doganale e collegamento ferroviario con l’Europa centrale ed orientale ne fa un porto in grado di servire il resto del continente più che il nostro paese.

Nessun cedimento sciovinista, ovviamente. Quello che balza agli occhi è l’assenza di una proposta che coinvolga uno dei grandi porti del sud Italia (Taranto in primis) in grado di inserire tutta l’Italia in un progetto di trasporto e logistica e capace di evitare l’andata e ritorno delle grandi navi lungo il corridoio adriatico.

Come ha ricordato più volte il sinologo Francesco Sisci, “la Cina è una maratona, ma l’Italia ogni volta sembra ricominciare da zero pensando che sia una corsa di cento metri”. Pertanto quello che serve all’Italia è: pianificare, rendersi protagonisti (per non doverla subire) della strategia della Nuova Via della Seta (come ha esortato l’Ambasciatore Sequi) e far diventare questo tema uno dei punti qualificanti del dibattito politico.  (Francesco Maringiò)

[Intervista AGI, a cura di Alessandra Spalletta]

In questa intervista all’Agi Ettore Sequi fa il punto sulle concrete opportunità per l’Italia con la Nuova Via della Seta, offre un primo bilancio a cinque dal lancio dell’iniziativa e a quasi un anno dal Forum di maggio scorso, che ha visto l’Italia entrare a pieno titolo nel progetto, e delinea prospettive future.

L’Italia è uno dei partner commerciali più importanti della Cina all’interno dell’Unione Europea, l’export è cresciuto del 25% nel 2017. Quali sono le opportunità che si aprono per l’Italia con la Nuova Via della Seta?

Ce lo siamo chiesti al quarto raduno degli imprenditori italiani in Cina, a Yanqi Lake, a nord di Pechino. L’iniziativa Belt and Road, oltre ad avere una fortissima componente infrastrutturale, delinea la proiezione internazionale di Pechino. Ne è prova l’enfasi con cui Xi Jinping, nel suo rapporto al diciannovesimo Congresso del Pcc nell’ottobre scorso, ha più volte evocato il progetto, che è stato inserito nello statuto del Partito come strumento di crescita globale e di cooperazione internazionale. Il presidente cinese lo ha menzionato anche nel suo discorso di fine anno. Bri si conferma come l’elemento centrale del cambiamento storico che la Cina sta vivendo nel quadro di una progressiva apertura in tutti i fronti. Pechino ha tradizionalmente una visione sul mondo lunga, ma che sta diventando sempre più ampia.

Diamo qualche numero

Stando ai dati ufficiali cinesi, l’interscambio tra Cina e i Paesi attraversati dalla Nuova Via della Seta ha superato i 400 miliardi di dollari dal 2014 al 2017. Solo lo scorso anno ha oltrepassato quota 110 miliardi di dollari, in pratica un quarto del commercio estero cinese. Secondo le previsioni del presidente di Bank of China, Chen Siqing, nei prossimi 5 anni il 45% della crescita mondiale proverrà dai mercati interessati dai progetti targati Bri. Le basta?

L’Italia come si posiziona in questo quadro?

E’ un processo irreversibile che andrà avanti con o senza di noi. Come si faranno i bandi internazionali? Che tipo di regole si applicheranno? Oggi si stanno definendo le regole del gioco, abbiamo tutto l’interesse a entrare nel progetto in questa fase. Le recenti visite istituzionali, dal presidente Mattarella con i ministri Alfano e Delrio nel febbraio dello scorso anno, a Paolo Gentiloni come unico leader G7 presente al Forum di Pechino del maggio scorso, hanno dato un forte impulso alla nostra partecipazione. Abbiamo garantito all’Italia l’ingresso a pieno titolo nell’iniziativa.

Perché i cinesi dovrebbero investire nei nostri porti?

Abbiamo tutto l’interesse a valorizzare il nostro sistema portuale. Anche in questo caso basta snocciolare alcune numeri per capire la dimensione del fenomeno. Il 90% dei traffici tra Cina ed Europa passa lungo la Via della Seta marittima. Un terzo del volume mondiale di container transita attraverso i porti della Cina, che detiene i due terzi dei maggiori porti mondiali. Stando ai dati elaborati da Deloitte, la Cina nel 2016 ha investito 20 miliardi di dollari nei porti stranieri, il doppio rispetto al 2015. Risultato? I cinesi partecipano alla gestione di circa 80 porti in tutto il mondo. Nel Mediteranno il numero di navi porta container è cresciuto negli ultimi 5 anni del 20%.  A questo si è arrivati grazie al raddoppio del Canale di Suez, al flusso di investimenti nei porti stranieri, e al fenomeno del gigantismo navale (maggiore capienza dei portacontainer).

L’Italia è dunque in una posizione strategica…

I flussi si dirigono nel Mediterraneo, specificamente nell’aerea denominata MENA (Middle East and North Africa, una regione che include circa 22 Paesi).  Si calcola che in questa area tra il 2001 e il 2015 il flusso commerciale si sia decuplicato, e nello stesso periodo i volumi di traffico nel Canale di Suez siano aumentai del 124% . Oltre alla possibilità di intercettare commerci, nessun Paese più dell’Italia ha interesse a puntare sullo sviluppo economico e alla stabilità di aree quali MENA, Africa e Mediterraneo.

Il surriscaldamento globale spingerà i cinesi a usare la rotta artica per raggiungere il Nord Europa (il governo cinese ha pubblicato la settimana scorso il Libro Bianco sulla via della seta polare), e secondo una ricerca danese il Mediterraneo  rischia di perdere centralità…

Speriamo che i cinesi, che hanno ribadito l’impegno nella lotta al cambiamento climatico e molto stanno investendo in questo campo, aiutino piuttosto a ritardare lo scioglimento dei ghiacci…

Torniamo ai porti italiani

La portualità italiana ha una importanza potenzialmente enorme, è ovvio…

Cosco ha investito nel Pireo. Ci spieghi meglio

È vero: i cinesi hanno fatto forti investimenti nel porto greco, ma il governo italiano non considera il Pireo in contrasto con l’offerta dei nostri porti, anzi, sono complementari.

Perché?

Non solo perché abbiamo acquistato le ferrovie greche e lo sviluppo di flussi commerciali ci fa comodo. Dal Pireo per arrivare all’Europa centrale e occidentale, bisogna costruire infrastrutture che hanno un costo elevato e che attraversano una serie di Paesi, alcuni di questi europei con precise regole di procurement (la linea ferroviaria Belgrado-Budapest al momento ferma e in fase di revisione per presunte irregolarità rispetto alle normative dell’Unione Europea, ndr). Noi invece abbiamo un sistema portuale efficace, con procedure di sdoganamento tra le più veloci in Europa, e siamo più vicini al centro Europa. Sia il sistema dell’Alto Adriatico che dell’Alto Tirreno hanno interconnessioni ferroviarie già pronte ed efficaci da mettere a disposizione dei cinesi.

Ferrovia e porti servono mercati diversi…

Esatto, non sono in competizione. Partiamo dai volumi di traffico. L’Ocse prevede che nel 2030 trasporti ferroviari tra Asia ed Europa saranno in grado di movimentare non più di un milione di container all’anno, una cifra che impallidisce se raffrontata ai 20 milioni che già oggi potenzialmente transitano via nave. Secondo dati elaborati dall’Ambasciata, dei 12 milioni di container da 20 teu che nel 2016 hanno viaggiato tra Cina ed Europa, solo una parte limitata può essere trasportata su strada ferrata.

Qual è il vantaggio di spedire le merci via treno?

La ferrovia è più veloce della nave (si risparmiano circa 40 giorni di viaggio). Il 17 dicembre è arrivato a Chengdu il primo treno merci partito dal polo logistico di Mortara. Trasportava macchinari, componenti, prodotti di metallo, mobili, piastrelle, automobili. Il treno è un’ottima opzione per i prodotti deperibili, come quelli alimentari (la compagnia logistica Changjiu Group ha detto che si doterà presto di container refrigerati, ndr) o che hanno tempi di consegna ridotti, come la moda. Abbiamo interesse a sviluppare questo segmento. A Yanqi lake è stato firmato un importante accordo tra Italferf e il colosso statale China Railway Signal & Communication per una collaborazione nei paesi terzi. Un tema di cui hanno parlato il 12 dicembre scorso a Roma il ministro Calenda e il vice Primo Ministro Ma Kai, il quale ha confermato l’interesse della Cina a rafforzare il rapporto bilaterale nel quadro Bri, a partire da specifiche intese per la realizzazione di progetti in paesi terzi.  Un aspetto delle relazioni bilaterali passato in rassegna anche dal ministro degli Esteri Alfano e l’omologo cinese Wang Yi alla ottava riunione del comitato governativo Italia-Cina a Pechino. Questo è importante perché significa che abbiamo anche noi una visione ampia.

Di quali paesi terzi parliamo?

Africa, Balcani, e America Latina. L’ accordo di Italferr, ad esempio, è ideale per lo sviluppo di progetti nei Balcani.  Sono molte le aziende italiane interessate a investire in progetti infrastrutturali, e sfruttare le opportunità che derivano dai progetti Bri, come emerso  dalla tavola rotonda organizzata il 26 gennaio dal MEF e da Confindustria a cui hanno preso parte anche il ministro Padoan e Jin Liqun  il Presidente dell’Asian Infrastructure Investment Bank (AIIB, uno dei bracci finanziari di Bri di cui l’Italia è azionista).

Mattarella, Delrio, Alfano (visita di stato a febbraio), Gentiloni (maggio), Calenda (dicembre), Scalfarotto (dieci missioni solo l’anno scorso). Diciamo la verità: la diplomazia ha giocato un ruolo decisivo nello sviluppo del business, abbiamo imparato a fare sistema.

A Pechino abbiamo un caso unico in tutta la rete diplomatica: un funzionario del ministero dell’Economia e delle Finanze incardinato presso l’Ambasciata con il compito di raccordarsi con l’Aiib, favorire i contatti con le nostre imprese, e un bravissima diplomatica che lavora a tempo pieno sui trasporti e i progetti che riguardano la collaborazione in paesi terzi.

Non si parla invece mai del trasporto aereo

Non è ancora sviluppato come dovrebbe. I cinesi vogliono trovare il mix ideale in termini di tempi, costi e quantità tra ferrovia e cargo. Più aumenta la connettività, maggiore il numero di merci che per tempistica ha più senso far volare. Bri può contribuire a migliorar la connettività digitale con lo sviluppo dell’e-commerce che favorisce una serie di servizi, come l’e-banking. Non a caso si parla già di una via della seta digitale.

Per oggi di concreto c’è il 40% di Cosco a Vado Ligure  

Abbiamo fatto grandi passi avanti definendo la proposta globale della nostra portualità. Ora dobbiamo tradurre l’input politico in un output concreto. Tenendo presente che Bri da un lato consentirà l’espansione del commercio attraverso migliori infrastrutture tra Paesi che sono già partner commerciali, dall’altro svilupperà anche altre rotte liberando potenzialità inespresse. Non solo porti e ferrovie: un aspetto importante riguarda le infrastrutture istituzionali, ovvero tempi di sdoganamento, regolamenti più standardizzati, e così via. La Via della Seta dà una spinta generale a essere più efficienti, più veloci. Ed è con la carta dell’efficienza che si gioca la partita della connettività e dell’integrazione eurasiatica.

[Fonte: https://www.agi.it/estero/via_della_seta_italia_porti-3434786/news/2018-02-02/]

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