IL MIGLIOR PARTITO ITALIANO

di Redazione. Riceviamo e pubblichiamo queste riflessioni sul PCI del compagno Norberto Natali, svolte nell’ambito di un’iniziativa organizzata il 21 gennaio, anniversario della fondazione del Partito Comunista d’Italia.

Mentre due muratori sono al lavoro, un passante chiede loro cosa stanno facendo. Uno dice “un muro” e l’altro “stiamo costruendo una città”. Il secondo era un comunista, anzi IL comunista.

Con questa penetrante e significativa metafora il compagno Prasca ha aperto il suo intervento all’assemblea che si è svolta il 21 gennaio all’ARCI di Tiburtino III° per ricordare la nascita del PCI, 21 gennaio 1921.

Hanno preso la parola anche la compagna Tina Costa, Partigiana e vicepresidente dell’ANPI di Roma, la quale ha ricordato di essersi iscritta al PCI clandestino da ragazza, nel maggio 1944, e varie altre compagne e compagni, anche di organizzazioni della variegata sinistra.

Il tema era: “il miglior partito italiano”. La tesi è proprio questa: dal tardo ‘800 (dopo il completamento dell’unità d’Italia e il trasferimento della capitale a Roma) fino ad oggi, il miglior partito che ha avuto il Paese è stato il PCI, dal 1921 fino al preannuncio della sua fine, nel 1989.

Non mi riferisco solo a formule politiche, programmi, iniziative parlamentari, ma proprio alla funzione di crescita civile, modernizzazione, dispiegamento della democrazia, emancipazione delle classi altrimenti subalterne che il PCI ha svolto in misura, con intensità ed ampiezza superiore a quella di qualsiasi forza politica passata o presente.

Da sempre ci sono tentativi subdoli -per esempio mascherati da interventi di “storici”- che tentano in vari modi di minimizzare le colpe del fascismo e svalorizzare o negare la forza e i meriti degli antifascisti e della Resistenza (c’è stato perfino chi ha detto che “la Resistenza è un mito”). Oggi questo tentativo è più subdolo e ignobile perché, approfittando dell’80° delle vergognose leggi razziali, si propone di far credere che nessuno si oppose ad esse, che tutto sommato il popolo italiano era d’accordo. Ho sentito questa sciocchezza per la prima volta da un oratore dell’attendibilità come quella di Gianfranco Fini.

Il fascismo ha preso il sopravvento dopo aver sparso il sangue dei lavoratori (comunisti e socialisti più di tutti) ed aver distrutto con il terrore sindacati, cooperative, amministrazioni comunali e provinciali di sinistra, ecc. In seguito (ben dodici anni prima delle leggi razziali) ha istaurato la sua dittatura apertamente terroristica. Ciononostante, anche nel 1938, c’erano migliaia di comunisti che militavano nel Partito clandestino in Italia, altre migliaia riparate all’estero (dove rimanevano organizzati per combattere il regime), almeno 3.000 stavano combattendo in Spagna (nelle Brigate Internazionali) contro il colpo di stato franchista spalleggiato dai nazifascisti ma un numero maggiore di essi riempiva le carceri ed i luoghi di confino.

Senza il Partito Comunista la Resistenza antifascista durante tutta la dittatura e poi la lotta armata partigiana sarebbero state ben altra cosa. Da Salerno in su le truppe alleate hanno trovato tutte le città italiane già libere ed i comandanti nazisti si sono arresi ai Partigiani, non agli angloamericani. Lo stesso tiranno è stato catturato e giustiziato dai Partigiani. Sarebbe stata ben diversa la posizione del nostro paese senza il PCI: forse la Resistenza sarebbe stata condotta (se ci fosse stata) da piccoli e insignificanti gruppi liberali e monarchici, sarebbe stata ininfluente come in certi paesi occupati del nord Europa.

Dopo la guerra, il PCI fu decisivo per lo sviluppo e il progresso del paese.

Benchè ne fosse svantaggiato all’inizio, impose il diritto di voto per le donne e la causa femminile ha fatto grandi passi grazie al PCI, fino all’abolizione del delitto d’onore (ancora vigente quando chi scrive era ragazzo) e poi all’istituzione del divorzio, del diritto all’interruzione volontaria della gravidanza, alla tutela della maternità (in particolare delle lavoratrici madri) e alla lotta incessante contro la disparità di trattamento delle donne nel lavoro.

I lavoratori hanno visto un miglioramento costante e progressivo delle loro condizioni materiali e morali di vita, per quasi un quarantennio. Inizialmente lo slancio del PCI fu indispensabile nella ricostruzione postbellica, per risollevare il paese dalla distruzione e dalla demoralizzazione che una guerra devastante, voluta dal fascismo, aveva provocato. In questo quadro, furono importanti gli “scioperi a rovescio” e nel sud, le occupazioni delle terre, per spezzare un dominio di carattere semifeudale. Il salario nel tempo è cresciuto, si è ridotto l’orario di lavoro, è stata istituita la scala mobile (per proteggerci dal carovita), estese e migliorate le pensioni, sviluppato il diritto all’assistenza sanitaria pubblica e gratuita per tutti i cittadini. Le libertà sindacali sono state via via ampliate fino alla conquista dello statuto dei lavoratori e all’istituzione dei consigli di fabbrica, titolari di precisi diritti che il padronato era tenuto a rispettare.

Anche la Lega non ha inventato nulla: i comunisti hanno combattuto per l’istituzione delle regioni (alle quali si opponeva la destra) ed il costante rafforzamento delle autonomie locali: i governi con Bossi, invece, hanno tolto poteri e fondi ai comuni e alle provincie.

Fino ai primi anni ’70, le autorità sostenevano apertamente (senza vergogna) che “la mafia non esiste”, semmai è una montatura della propaganda comunista. Meno di quarant’anni fa il sottosegretario (democristiano) all’industria firmava la prefazione di un libro di poesie di Raffaele Cutolo, già all’epoca notoriamente capo della camorra; sentenze definitive della magistratura hanno accertato che, in quello stesso periodo, il più noto dirigente del principale partito di governo aveva rapporti con i vertici di “cosa nostra” siciliana. Anche la lotta contro la mafia, a cominciare dal riconoscimento della sua esistenza, non ci sarebbe stata senza il PCI.

Non mi dilungo sulla lotta per la pace (e la solidarietà internazionalista) e contro le angherie a danno di tante minoranze, come sui problemi ambientali e di una concezione sociale della salute e della funzione preventiva della sanità o anche sulla lotta per la casa e altri servizi e diritti sociali. Tutto ciò, ovviamente, a prezzo di dure lotte e sacrifici dei lavoratori, discriminazioni, licenziamenti e rappresaglie antisindacali, arresti e morti, fino alla strategia di sangue e terrorismo adottata per scongiurare il pericolo che il PCI accedesse al governo del paese.

Più in generale -come è proverbiale- il PCI ha insegnato a tutti gli sfruttati a “non togliersi il cappello quando passa il padrone”. Pietro Secchia esprimeva lo stesso concetto in un altro modo. Anticamente, l’arretratezza e l’abulia erano tali che, se un tale veniva a sapere che un asteroide stava cadendo sulla Terra, avrebbe detto con un’alzata di spalle “purchè cada nel villaggio vicino al mio”. Egli spiegava come per merito del PCI, avanguardia del movimento operaio e delle sue lotte, anche questo vecchiume morale fu superato, come indice del contributo dato alla crescita civile, alla modernizzazione della società e all’emancipazione dei lavoratori.

Senza il PCI non si potrebbero immaginare fenomeni di solidarietà e partecipazione di massa quali -per fare qualche esempio- l’impegno dei giovani a salvare Firenze dopo la tragica alluvione del ’66 o ancor di più l’intervento dopo il disastroso terremoto dell’Irpinia nel 1980, quando non esisteva la protezione civile.

Circa quarant’anni fa uscì il noto film “Taxi driver” che mostrava aspetti del degrado morale della società USA. Lo stesso problema veniva confermato, più o meno in quel periodo, da un fatto vero: a New York ci fu un black-out totale (per circa ventiquattr’ore) e si scatenò la barbarie; omicidi, saccheggi, devastazioni, stupri, famiglie aggredite nelle proprie case, ecc. Al tempo, pensare che fenomeni simili potessero succedere in Italia era pura fantascienza, ciò da la misura della funzione del PCI e della differenza che rappresentava tra il degrado degli USA e la coscienza civile del nostro paese.

Finchè c’è stato il PCI nessun lavoratore si è mai trovato da un giorno all’altro in mezzo ad una strada, senza lavoro e senza sapere come fare per mettere insieme il pranzo con la cena, diversamente da quanto accade molto spesso, purtroppo, oggi.

In questo periodo in troppi, soprattutto giovani, si trovano nella condizione potenziale di doversi inginocchiare di fronte a qualcuno per poter lavorare. Ciò, quando c’era il PCI, accadeva molto raramente, in luoghi e per ragioni circoscritte e comunque nessuno si sentiva tanto solo come capita a molti oggi. Insomma, a poco più di un quarto di secolo dalla soppressione del PCI, dobbiamo registrare solitudine, indifferenza, paura, cinismo, demoralizzazione e abbandono alla disperazione o al tentativo di arrangiarsi asservendosi ai potenti e ai prepotenti. Ma per i proletari non era normale, obbligatorio, tutto ciò (salvo eccezioni) grazie al PCI. Forse questa è solo una combinazione ma conviene rifletterci prima di esserne sicuri.

Un’altra “coincidenza” potrebbe essere la seguente: da quasi trent’anni a questa parte, sono state cambiate o abolite molte leggi, norme, contratti di lavoro, significativamente tutte con un’identica caratteristica: a svantaggio dei lavoratori e a favore del padronato. In seguito a tali cambiamenti, il debito pubblico è triplicato e i salari dei giovani e dei lavoratori odierni sono meno della metà -fatte tutte le debite distinzioni e proporzioni- rispetto a quelli di trent’anni fa mentre l’orario di lavoro è aumentato e le libertà sindacali sono state stracciate, le pensioni massacrate e i giovani condannati in massa ad una vecchiaia in miseria.

I vari servizi sociali sono diminuiti nelle prestazioni, peggiorati nella qualità e aumentati di costo. Un calcolo prudenziale ci permette di stimare che -senza i suddetti cambiamenti- oggi almeno 300/400 miliardi di euro all’anno in più sarebbero andati ai lavoratori, alle pensioni, ai giovani, ai servizi e alla realizzazione dei diritti fondamentali. In altri termini, sono “spariti” 300/400 miliardi che sarebbero stati destinati ai lavoratori e alle loro famiglie e -l’espressione è amaramente ironica- non si sa dove vanno a finire.

Ecco cosa ci è costata -ma forse è solo una coincidenza- la mancanza del PCI.

Non solo i lavoratori, i giovani, le donne hanno pagato cara la mancanza del PCI ma anche la sinistra e i “movimenti”. Essi appaiono oggi deboli, divisi, subalterni, ondivaghi e incerti. Gran parte delle masse lavoratrici non vi si riconosce, ne rimane disorientata, a volte si sente respinta, delusa e anche tradita.

Se non è una fortuita combinazione anche questa, può darsi che dalla storia e dalle conquiste del PCI possano scaturire indicazioni e spunti utili per superare tale drammatica situazione. Quello che permise a Brunelleschi di “inventare” la sua cupola (per primo nel Rinascimento) fu lo studio di quelle dell’antichità romana, in particolare del pantheon. Le vecchie conoscenze dei romani erano andate perse ma lui, studiando quel che rimaneva del loro ingegno, riuscì a costruire il suo capolavoro.

Forse oggi, ai lavoratori e alla sinistra, serve qualcosa del genere: riprendere dal patrimonio storico di esperienze del PCI quanto può essere necessario per fermare ed invertire l’andamento costantemente negativo che si registra. Non è un caso che il PCI, tra tutti i partiti, sia quello più occultato (o oscurato) dal potere e dai suoi mezzi di informazione e quando non si riesce a nasconderne l’esistenza la si deforma e falsifica con diffamazioni, manipolazioni, ecc. E’ come un bene archeologico che va salvato, recuperato, messo in sicurezza e valorizzato per consentirne la fruizione a chi ne ha bisogno, oggi e soprattutto domani. Chi vuole che i lavoratori, i giovani, la sinistra continuino a soffrire le attuali condizioni, ha paura dell’esempio del PCI. Perciò cerca di concentrarsi (esagerandoli e distorcendoli) solo sui suoi limiti e difetti: esso è il miglior partito italiano ma ciò non vuol dire che sia stato perfetto o monolitico.

Quei limiti e quei difetti vanno rimossi e superati, con spirito critico e autocritico, tuttavia la loro contestazione non vale il duro prezzo che si paga oggi: meglio avere a che fare con quelli che con le angosce e l’ignominia attuali. Perciò dovrebbero unirsi tutti coloro che condividono questa impresa, rimanendo uniti con intelligenza, evitando gli scogli della attuale frantumazione.

Basta perciò riconoscersi in due semplici principi.

  1. Il PCI è stato il miglior partito che ha avuto l’Italia, anche sotto il profilo degli interessi generali delle masse popolari e dunque del paese.
  2. Sotto il suddetto profilo, non ha avuto effetti positivi lo scioglimento di quel Partito e la sua assenza dalla scena nazionale negli ultimi decenni.

L’unica discriminante deve essere quella antifascista e certo non può unirsi a noi chi si è impegnato -poco più di un anno fa- a sostegno del referendum che minacciava la Costituzione.

 

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