Il centenario della rivoluzione d’Ottobre è stato occasione lo scorso anno per numerose iniziative, manifestazioni, convegni, pubblicazioni. Tra i contributi originali si segnala quello del giovane Alessandro Pascale, docente e ricercatore storico milanese, militante comunista membro del CPN di Rifondazione, che ha composto e messo a disposizione un’opera imponente, intitolata In difesa del socialismo reale e del marxismo-leninismo, liberamente scaricabile in formato pdf al link http://intellettualecollettivo.it/
Si tratta di un lavoro che si sviluppa in due volumi e oltre 2.500 pagine complessive, un po’ nell’assemblaggio e nel suo svolgimento , e tale per la sua stessa mole da scoraggiare d’acchito un lettore poco paziente. Tuttavia l’opera, oltre che essere letta al modo tradizionale, seguendo l’ordine delle pagine dall’inizio alla fine, può essere anche più agevolmente utilizzata come strumento di lavoro, grazie alla sua struttura enciclopedico-antologica, seguendo i temi indicati negli indici particolarmente dettagliati all’inizio di ciascuno dei due volumi. Si avrà modo di apprezzare allora i materiali riportati, non sempre di facile reperimento, le informazioni e ricostruzioni bene organizzate, ed anche i giudizi netti e risoluti, che se non sempre condivisibili forniscono comunque stimoli preziosi al confronto e all’approfondimento.
Pur avendo come centro di interesse l’esperienza storica del socialismo a partire dalla rivoluzione d’Ottobre e il recupero teorico del marxismo leninismo con un occhio particolare alla situazione italiana, gli argomenti spaziano liberamente nella storia universale. Così ad esempio nell’ampio spazio opportunamente dedicato alla questione femminile, si parte dal matriarcato per arrivare ai giorni nostri.
Nel trattare le questioni di storia del movimento operaio e comunista merito dell’autore è di non essersi fatto imbrigliare dai luoghi comuni del pensiero dominante nella sinistra nostrana, in particolare dall’antistalinismo e dall’antisovietismo preconcetti e dall’atteggiamento snobistico verso la rivoluzione e il socialismo cinese, e l’incomprensione di una delle contraddizioni fondamentali della nostra epoca, tra l’imperialismo e i popoli emergenti dall’oppressione coloniale e semicoloniale.
Molte pagine ricche di spunti sono dedicate alla storia del Pci, alle ragioni della sua dissoluzione e alle difficoltà della ricostruzione di una forza comunista in Italia. E’ un contributo a una ricerca che giustamente l’autore rivendica che possa essere svolta senza tabù, ma bisogna anche evitare di chiudere in giudizi definitivi che allo stato attuale dell’arte non si possono pretendere. E’ una ricerca e una discussione comuni che è opportuno mantenere aperte. In proposito e come contributo mi pare si debba prestare attenzione all’eredità complessa e contraddittoria del movimento del ’68, che mentre ha dato una poderosa spinta al superamento di arretratezze storiche di costume e di cultura, è stato anche veicolo massivo di una mentalità individualistica piccolo borghese che ha agito fortemente sull’evoluzione del Pci come fattore disgregativo, e con cui la ricostruzione comunista deve tuttora fare i conti.
Non si può dimenticare inoltre nella vicenda del Pci degli anni settanta le difficoltà derivate dal mutamento della strategia anticomunista dell’imperialismo, passato con molta spregiudicatezza e abilità dall’uso del neofascismo e delle stragi indiscriminate all’utilizzo dell’estremismo, in particolare del terrorismo delle BR, a cui l’autore sembra guardi con troppa indulgenza.
Certamente Berlinguer sbagliò nella valutazione della Nato e la sua segreteria ebbe aspetti contraddittori. Così come allo scioglimento del Pci non si arrivò semplicemente per il tradimento di Occhetto. Un criterio questo, di ricerca delle pre-condizioni, da far valere anche per l’Urss e Gorbaciov. Al tempo stesso deve pure far riflettere che sia in Urss che in Italia il capitalismo vittorioso non ha ritenuto di potersi avvalere per il suo programma e i suoi interessi del partito comunista sia pure trasformato, ma ha voluto e dovuto passargli sopra e cercare di cancellarlo. Un elemento storico distintivo, questo, e non di poco conto, rispetto alla socialdemocrazia.
di Ruggero Giacomini