di Luca Cangemi, Segreteria nazionale PCI e Responsabile nazionale scuola
Qualche giorno fa Di Maio è stato in Veneto a dire (in particolare a padroni e padroncini) che l’autonomia differenziata, cavallo di battaglia della Lega, sarà completamente appoggiata dal M5S e presto sarà realtà.
Gli accenti che usano i pentastellati al Sud sono, ovviamente, diversi in particolare sulla devoluzione completa alle regioni delle competenze dell’istruzione.
Il PCI ha l’orgoglio di parlare la stessa lingua nel Nord e nel Sud del paese, di affermare una visione nazionale dei problemi.
Il 10 novembre a Padova abbiamo lanciato la nostra campagna per una scuola pubblica, unita e giusta che ha al suo centro il rifiuto di un sistema regionalizzato dell’istruzione che rompe l’unità culturale del paese e l’uguaglianza dei diritti dei cittadini, rappresenta un ulteriore colpo al contratto nazionale di lavoro.
Il 10 dicembre dalla Sicilia rilanciamo la stessa posizione, focalizzando i gravi problemi della scuola meridionale.
I dati sono ampiamente noti. Già la riforma Gelmini concentrò il 90% del più grande taglio di posti di lavoro della storia repubblicana (decine di migliaia di cattedre cancellate con un tratto di penna, diminuendo orari di lezione e aumentando l’affollamento delle classi) nella scuola del mezzogiorno che mai è stata risarcita. La scuola è, contemporaneamente, il più grande canale di emigrazione intellettuale dal sud al nord e la prima vittima dello spopolamento delle regioni meridionali. Si allarga sempre di più la forbice di strutture e servizi: a Milano il 90% dei bambini della scuola primaria può frequentare classi a tempo pieno, a Palermo questa percentuale scende al 5%. Ancor più drammatico il quadro delle misure di sicurezza e prevenzione (comunque carenti in tutto il paese): oltre il 98% delle scuole siciliane si trovano in aree a rischio sismico ma solo poco più del 2% di esse ha fatto la verifica di vulnerabilità sismica.
È chiaro che, in questa situazione, il combinato disposto dell’assenza d’investimenti (che la manovra economica dal governo gialloverde non prevede, a parte qualche misura propagandistica) e della divisione istituzionalizzata con la devoluzione di potere e risorse alle regioni più ricche non può che essere disastroso.
È necessario fermare questo disastro, è necessario salvare la scuola pubblica, che nonostante le sue ferite, rappresenta in questo paese un elemento decisivo, culturale e civile, dell’unità nazionale e uno spazio sociale essenziale, in particolare nelle situazioni più difficili, dalle periferie metropolitane ai piccoli centri delle zone interne.
Per questo stiamo sviluppando una campagna in tutto il paese che chiama al confronto i protagonisti del mondo della scuola (studenti, docenti, lavoratori tecnici e amministrativi) e tutti i cittadini. Una campagna di discussione e di denuncia che costruisca una nuova fase di mobilitazione.
La difesa della scuola pubblica e del suo carattere unitario, l’abolizione della legge 107 (promessa non mantenuta dell’attuale maggioranza), la fine del dominio della cultura aziendalistica (simboleggiata da Invalsi ed alternanza scuola/lavoro), la soluzione del problema del precariato sempre più grave, un grande piano per riqualificare il patrimonio di edilizia scolastica: questi alcuni precisi punti su cui riaprire una battaglia in ogni scuola, in ogni territorio.