La voce di Berlinguer

Nell’anniversario della morte del compagno Enrico Berlinguer, pubblichiamo un contributo del compagno Giorgio Langella (Direzione nazionale Pci) e, a seguire, un estratto del suo comizio conclusivo al Festival Nazionale dell’Unità di Torino del 1981

di Giorgio Langella, Direzione nazionale Pci

Trentacinque anni fa, l’11 giugno 1984, moriva a Padova Enrico Berlinguer. Qualche giorno prima, il 7 giugno, durante il comizio conclusivo della campagna per le elezioni europee, aveva avuto un gravissimo malore. Testardamente, con la passione che lo distingueva, aveva concluso il suo intervento con queste ultime parole: “ … compagni … lavorate tutti … casa per casa. Azienda per azienda, strada per strada, dialogando coi cittadini … con la fiducia … che … per quanto abbiamo fatto … per le proposte che presentiamo, per quello che siamo stati e siamo, è possibile conquistare nuovi e più vasti consensi alle nostre liste, alla nostra causa che è la causa della pace, della libertà, del lavoro, del progresso della nostra nazione … ” Come avviene ogni anno molti di quelli che, in tutti questi anni, hanno tradito i suoi ideali politici e morali, si affretterano a ricordarlo per dimostrarsi suoi eredi. Lo faranno quei dirigenti dell’ex PCI (a partire da Napolitano) che lo hanno osteggiato fino alla sua morte dimostrandosi distanti anni luce dal ragionamento e dalle convinzioni di Berlinguer, oggi come allora. Lo faranno esponenti del PD ormai makibconicamente schierato da quella parte che, per valori e principi anche morali (non certo moralistici), non ha nulla a che fare con la storia, l’insegnamento e il comportamento di Enrico Berlinguer.

Ci sarà molta ipocrisia in queste “celebrazioni”.

Un’ipocrisia condita da falsità che risulterebbe, proprio a Berlinguer, intollerabile. Tutti si affanneranno ad apparire tristi nel ricordo di un grande uomo che aveva una statura politica e morale assolutamente non comparabile rispetto all’ostentato nanismo degli attuali personaggi che affollano il desolante scenario della politica italiana. Si abbia coscienza che l’adeguamento al “pensiero unico” (sarebbe forse più corretto chiamarlo “pensiero miserabile”) di tutti quei politicanti che invadono da tempo le televisioni, i cosiddetti “social network”, i giornali e li riempiono di pericolosi discorsi pieni di cattiveria, arroganza e simboli religiosi sventagliati durante comizi sempre gridati, di tutti quelli che vogliono limitare spazi di democrazia, di accoglienza, di solidarietà e di giustizia con la loro miserabile necessità di comparire comunque e ovunque, di quelli che ostentano la propensione alla corruzione (i più o meno recenti scandali la dimostrano chiaramente), sono caratteristiche che nulla hanno a che fare con l’onestà e la passione politica di Enrico​Berlinguer. Dopo la morte di Berlinguer hanno trionfato gli “altri”, i suoi nemici, chi lo combatteva più o meno apertamente. Hanno trionfato i malfattori e i truffatori, gli evasori, quelli che occupano le istituzioni, quelli che hanno trasformato i partiti in comitati d’affari, quelli che “fanno politica” come un “mestiere” che serve ad accumulare ricchezze impensabili, quelli che urlano slogan ad effetto per nascondere l’inesistenza di un progetto di trasformazione del modello di sviluppo e della società. Hanno trionfato gli “altri” che hanno divorato qualsiasi cosa rendendo l’Italia ben peggiore di quanto paventava Enrico Berlinguer nella famosa intervista sulla “questione morale”. E, allora, cerchiamo di non prestare attenzione alle vuote celebrazioni di chi tenta di sfruttare il ricordo di Enrico Berlinguer per i propri miseri scopi. Ricordiamolo, invece, con le sue parole, con i suoi scritti, con quello che ci ha insegnato. Forse capiremmo che una Politica onesta è stata possibile nel nostro paese. Una Politica seria e “nobile”.

La Politica di un grande comunista italiano. Perché questo era Enrico Berlinguer. Diceva Berlinguer: “ Primo, noi vogliamo che i partiti cessino di occupare lo Stato. I partiti debbono, come dice la nostra Costituzione, concorrere alla formazione della volontà politica della nazione; e ciò possono farlo non occupando pezzi sempre più larghi di Stato, sempre più numerosi centri di potere in ogni campo, ma interpretando le grandi correnti di opinione, organizzando le aspirazioni del popolo, controllando democraticamente l’operato delle istituzioni. Ecco la prima ragione della nostra diversità.” ” Noi pensiamo che il privilegio vada combattuto e distrutto ovunque si annidi, che i poveri e gli emarginati, gli svantaggiati, vadano difesi, e gli vada data voce e possibilità concreta di contare nelle decisioni e di cambiare le proprie condizioni, che certi bisogni sociali e umani oggi ignorati vadano soddisfatti con priorità rispetto ad altri, che la professionalità e il merito vadano premiati, che la partecipazione di ogni cittadino e di ogni cittadina alla cosa pubblica debba essere assicurata.” “ La questione morale non si esaurisce nel fatto che, essendoci dei ladri, dei corrotti, dei concussori in alte sfere della politica e dell’amministrazione, bisogna scovarli, bisogna denunciarli e bisogna metterli in galera. La questione morale, nell’Italia d’oggi, fa tutt’uno con l’occupazione dello Stato da parte dei partiti governativi e delle loro correnti, fa tutt’uno con la guerra per bande, fa tutt’uno con la concezione della politica e con i metodi di governo di costoro, che vanno semplicemente abbandonati e superati. Ecco perché dico che la questione morale è il centro del problema italiano.” “ Noi restiamo convinti che per rinnovare noi stessi e spingere gli altri a rinnovarsi dobbiamo mantenere ben netti e riaffermare i caratteri che ci contraddistinguono e ci fanno diversi. Bisogna infatti che, in linea di partenza, sia dispersa ogni illusione di una nostra possibile resa o collusione od omertà, presente e futura, verso quei metodi di gestione tra i partiti e tra questi e il governo e le istituzioni e la vita economica e la società, fino alle degenerazioni che stanno corrodendo le fondamenta della nostra repubblica.” “ La lotta, la pressione di massa saranno sempre necessarie. Certo si può immaginare un mondo nel quale la politica si riduca solo al voto e ai sondaggi; ma questo sarebbe inaccettabile perché significherebbe stravolgere l’essenza della vita democratica.” “ Noi comunisti siamo stati e dobbiamo essere i primi assertori di una politica di rigore, di serenità e di severità in ogni campo: nella vita economica e sociale, nella convivenza civile, nello studio e nel lavoro, nell’attività dello stato e dei suoi apparati, nel funzionamento delle istituzioni democratiche e, non dimentichiamolo, nella vita dei partiti. Ma severità e rigore è possibile esigerli e ottenerli soltanto se a loro fondamento e come loro obiettivo stanno il progredire della giustizia sociale e il compiersi di un rinnovamento.” “ La verità è che ciò che ci si rimprovera oggi, come sempre, è che un partito del movimento operaio qual è il PCI non ha rinunciato a perseguire l’obiettivo e a lottare per un mutamento radicale della società. Si vorrebbero partiti di sinistra che di fatto si accontentano di limitare la loro azione a introdurre qualche correzione marginale all’assetto sociale esistente, senza porre mai in discussione e prospettare una sistemazione profondamente diversa dei rapporti che stanno alla base della struttura economica e sociale attuale. La principale diversità del nostro partito rispetto agli altri partiti italiani, oltre ai requisiti morali e ai titoli politici che noi possediamo e che gli altri stanno sempre più perdendo, sta proprio in ciò: che​noi comunisti non rinunciamo a lavorare e a combattere per un cambiamento della classe dirigente e per una radicale trasformazione degli attuali rapporti tra le classi e tra gli uomini. Nella direzione indicata da due antiche e sempre vere espressioni di Marx: che non rinunciamo a costruire una ‘società di liberi ed uguali’, non rinunciamo a guidare la lotta degli uomini e delle donne per la ‘produzione delle condizioni della loro vita’. L’obiezione che ci viene fatta è che questo nostro finalismo sarebbe un modo di voler imporre alla storia una destinazione. No, questo è il modo in cui noi stiamo nella storia, è la tensione e la passione con cui noi agiamo in essa, è la speranza indomabile che ci anima in quanto rivoluzionari.” “ Non mi è accaduto, e questa la considero la più grande fortuna della mia vita, di seguire quella famosa legge per la quale si è rivoluzionari a 18, 20 anni e poi si diventa via via liberali, conservatori e reazionari. Io conservo i miei ideali di allora.” “ Attraverso alcune delle «riforme» di cui si sente oggi parlare si punta a piegare le istituzioni, e perciò anche il parlamento, al calcolo di assicurare una stabilità e una durata a governi che non riescono a garantirsele per capacità e forza politica propria. Ecco la sostanza e la rilevanza politica e istituzionale della «questione morale» che noi comunisti abbiamo posto con tanta decisione. Anche la irrisolta questione morale ha dato luogo non solo a quella che, con un eufemismo non privo di ipocrisia, viene chiamata la Costituzione materiale, cioè quel complesso di usi e abusi che contraddicono la Costituzione scritta, ma ha aperto anche la strada al formarsi e al dilagare di poteri occulti eversivi – la mafia, la camorra, la P2 – che hanno inquinato e condizionato tuttora i poteri costituiti e legittimi fino a minare concretamente l’esistenza stessa della nostra Repubblica. Di fronte a questo stato di cose, di fronte a tali e tanti guasti che hanno una precisa radice politica, non si può pensare di conferire nuovo prestigio, efficienza e pienezza democratica alle istituzioni con l’introduzione di congegni e meccanismi tecnici di dubbia democraticità o con accorgimenti che romperebbero formalmente l’equilibrio, la distinzione e l’autonomia (voluti e garantiti dalla Costituzione) tra Legislativo, Esecutivo e Giudiziario, e accentuerebbero il prepotere dei partiti sulle istituzioni.”

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” Scommetterrei che in questo momento di fronte a questo spettacolo straordinario di folla serena, attenta e appassionata, stiamo pensando quasi tutti la stessa cosa: non si direbbe che il Partito Comunista sia isolato. Cari compagni, ma vi sentite davvero degli isolati? E da chi e da che cosa lo sareste? Non certo dalla classe operaia, dalle grandi masse popolari, dalla gente semplice e onesta; e lo si è visto anche qui durante i quindici giorni del festival nazionale e nelle migliaia di feste dell’Unità che si sono svolte questa estate in tutta Italia. Solo qui a Torino, i compagni hanno calcolato in circa due milioni le persone che hanno visitato il festival. Ci sono poi cose che si vedono a occhio nudo. Anche dalle feste ad esempio. Dopo la prova recente ed esaltante del referendum sull’aborto viene una conferma di una più vasta presenza del nostro partito fra le grandi masse femminili, e i legami sempre più profondi, e di cui tuttavia non ne ignoriamo la complessità, che siamo venuti stabilendo con quei movimenti di emancipazione e liberazione della donna che hanno segnato in modo indelebile la vita italiana di questi ultimi anni.

So, compagne e compagni, che tanti nostri interlocutori o avversari si inalberano o fingono di adontarsi quando noi insistiamo nel rilevare le diversità del partito comunista. A sentirli sembrerebbe che dovremmo essere noi a chiedere scusa per il fatto che rappresentiamo una parte essenziale delle immense energie sane ed oneste della società italiana del fatto che i nostri dirigenti e militanti non hanno alcuna dimestichezza con gli elenchi della P2 per il fatto che, nel corso della loro storia, i comunisti hanno accumulato un grande patrimonio morale e ideale che non intendono né disperdere né contrapporre al resto del paese e delle forze democratiche. Ma al contrario intendono sempre più porre al servizio di tutto il paese, di tutte le forze disposte a battersi per il suo risanamento e rinnovamento.

Non siamo dunque né isolati né settari, ma non corrisponde minimamente al vero neppure quell’altra immagine di partito antiquato legato a logori schemi ideologici, incapace di comprendere le modernità del nostro tempo che i nostri avversari tentano con tanto affanno di accreditare. Ma di quale modernità vanno mai parlando? Che cosa c’è di moderno nel loro modo di far politica, nell’arroganza e nelle malversazioni del loro sistema di potere? Negli scandali a ripetizione, negli eterni scontri e nelle dispute bizantine inestricabili di correnti e fazioni? E che cosa, invece, ci può essere di più moderno oggi delle grandi questioni che noi comunisti poniamo al centro della nostra iniziativa e su cui sollecitiamo la tensione e l’intervento consapevole degli uomini, delle donne, dei giovani di ogni tendenza, dei partiti, delle associazioni democratiche e dell’intera opinione pubblica?

Siamo proprio noi a porre le questioni che sono davvero decisive per l’Italia e per il mondo. Le questioni dalla cui soluzione dipendono la sopravvivenza stessa dell’umanità d’oggi e il futuro dell’Italia. Sono tre, oggi, queste questioni decisive. Prima di tutto, la pace. La difesa della pace da pericoli che sentiamo oggi più vicini e incombenti.

C’è poi, strettamente connessa, la questione del tipo di sviluppo economico e sociale e vi sono dunque i problemi dell’uso delle risorse, del superamento dell’arretratezza e della fame in tante parti del mondo e della qualità del lavoro e della vita. Da noi e ovunque. E c’è, infine, il problema sempre più acuto del risanamento della società e dello Stato, della soluzione di quella che abbiamo chiamato “la questione morale”. La seconda grande questione è quella messa in luce e che si presenta con crescente acutezza nei paesi che hanno conosciuto e raggiunto il più alto sviluppo industriale. In questi paesi, e lo tocchiamo con mano anche noi ogni giorno di più, da un lato, contrariamente a tutte le previsioni che facevano fino a qualche anno fa gli apologeti del capitalismo, aumenta tendenzialmente l’area della disoccupazione, della inoccupazione e più in generale della emarginazione; dall’altro lato anche negli strati che godono di una condizione di vita non più misera e che sono oggi, grazie a grandi lotte sindacali e politiche, ben più larghi di 30 anni fa visto che l’antica miseria e povertà, caratteristica delle masse popolari italiane, è stata in gran parte debellata; anche in questi strati, che hanno raggiunto un certo benessere materiale, cresce una insoddisfazione di fondo, una frustrazione direi esistenziale.

Questo ritorno a interrogarsi sull’antico quesito su che cosa siano felicità e infelicità, oggi così diffuso e dibattuto soprattutto fra i giovani, non è forse anch’esso una prova dell’incapacità di queste società sviluppate di dare una risposta adeguata alle più genuine aspirazioni dell’uomo di oggi? La conclusione dovrebbe essere evidente non solo a noi. Il tipo di sviluppo che finora c’è stato non soddisfa le necessità primarie ed elementari di sussistenza fisica, di vita elementare di miliardi di uomini nei paesi del terzo e quarto mondo e di masse crescenti negli stessi paesi industrializzati. Al tempo stesso è un tipo di sviluppo che non appaga le esigenze più profonde, propriamente umane, degli stessi strati che sono usciti dalla miseria e dalla povertà. E qui viene la seconda conseguenza, il problema che più direttamente ci riguarda come forza di rinnovamento e di trasformazione che opera in questa area del mondo, cioè come comunisti italiani, europei, occidentali: uno sviluppo che si fondi essenzialmente sull’acquisizione di un incessante aumento di redditi, di beni, di consumi individuali, da un lato non arriva a coprire le necessità di tutti, dall’altro lato, come abbiamo visto, non appaga, non soddisfa vaste parti della società che pure ne usufruiscono, perché è uno sviluppo che non migliora la qualità della vita. Su un nuovo fulcro va perciò impiantato e costruito uno sviluppo più esteso, più ampio e più rigoroso e al tempo stesso più giusto e più umano. Siamo arrivati infatti al punto in cui le attuali forme e i meccanismi dell’economia, della società e dello Stato scatenano una rincorsa affannata e una competizione sfrenata fra le varie categorie e gruppi sociali, la quale lacera il tessuto unitario del mondo del lavoro e del paese. Noi poniamo, infatti, al centro della nostra azione un obiettivo che va al cuore delle questioni che travagliano la complessiva condizione della società e degli uomini. Un obiettivo che è radicalmente rinnovatore e insieme democratico e unitario.

Per noi il nuovo valore da affermare, il nuovo fulcro dello sviluppo, il fine verso cui far convergere gli sforzi della società è il miglioramento e arricchimento continuo della qualità della vita. Mi rendo conto per primo che sto esponendo concetti generali ma essi non sono parto di pura fantasia, non sono astrazione, non sono vaghe utopie. Essi muovono da un’analisi che guarda realisticamente ai processi in corso nel mondo intero e cerca di interpretare i bisogni più veri e profondi della gente. Questi concetti derivano inoltre da un giudizio storicamente meditato sul cammino compiuto dal movimento operaio italiano, europeo e mondiale, sulle conquiste che esso ha raggiunto (e che sono grandi), sulle varie esperienze negative che esso ha fatto e sulle difficoltà che esso oggi incontra. Tali concetti, infatti, cercano di cogliere e sviluppare i germi di iniziative, realizzazioni, progetti economici, sociali, culturali che specialmente da alcuni anni in qua si sono venuti sviluppando qui in Italia ed estendendo per opera di regioni, province e soprattutto comuni diretti dai comunisti con altre forze popolari e di sinistra.

Abbiamo posto al centro della battaglia di questa alternativa democratica la questione morale. Non perché ci piace o perché vogliamo fare i moralisti, come cercano di far credere certi nostri avversari e interlocutori per negare alla radice le ragioni della nostra battaglia. L’abbiamo posta al centro perché pensiamo che i processi degenerativi che si sono andati sviluppando nel nostro paese, si sono sviluppati in modo tale che hanno inquinato lo Stato, le istituzioni, i partiti governativi in modo così profondo e così ramificato che non solo ha dato origine a una serie di scandali sempre più gravi fino alla P2 ma ha prodotto uno stravolgimento di principi e di norme volute dalla Costituzione per regolare le funzioni che rispettivamente competono ai partiti, alle istituzioni, allo Stato generando così una confusione e una decadenza, una inefficienza che stanno toccando ormai il loro culmine. Qui sta il nocciolo della questione morale, la nostra è una battaglia politica che, mentre combatte la corruzione, le spartizioni e le lottizzazioni, gli inauditi sperperi clientelari, la sfrontatezza nell’uso privato di potere e denaro pubblico, mira al ripristino della correttezza e della distinzione dei ruoli fissati dalla Costituzione ai partiti, allo Stato, alle istituzioni. Sarebbe assurdo avere paura che la coerenza su questa linea possa condurci all’isolamento e all’immobilismo. Essa ci conduce certo a polemiche e contrasti con esponenti di altri partiti e con quanti hanno da perdere dal successo di una politica risanatrice, ma essa ci collega, d’altra parte, ai sentimenti di indignazione, alle speranze e al bisogno di pulizia di un numero grandissimo di cittadini di ogni ceto sociale ai quali dovremmo tutti parlare in modo sempre chiaro e veritiero, non allusivo e contraddittorio.

E sono anche certo che la nostra battaglia per il risanamento dello Stato e della vita politica troverà rispondenza anche negli altri partiti. “

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