di Stojan Spetic, Comitato centrale Pci e Dipartimento Esteri
Cosa sta succedendo in Russia? C’è una crisi di governo? Perchè la proposta di Putin di una riforma costituzionale?
A tutte queste domande i nostri giornali ed i commentatori televisivi cercano di dare risposte banali ed aprossimative con previsioni basate essenzialmente su una serie di stereotipi in assenza di una seria analisi. E quello che cercheremo di fare essenzialmente leggendo i documenti, i verbali, il dibattito parlamentare ed in particolare le analisi del Partito comunista della federazione russa.
La crisi in Russia non è esplosa improvvisamente o inaspettatamente, ma covava sotto la cenere da qualche anno.
Sullo scacchiere internazionale la Russia continua a giocare un ruolo da potenza, tutelando anche militarmente i propri interessi, specie in Medio oriente e nel Mediterraneo. Ma la situazione interna è tutt’altro che tranquilla, causa le politiche economiche e sociali di stampo neoliberista condotte da tutti i governi che si sono succeduti dal crollo dell’Unione sovietica fino ad oggi. Cresce la povertà che investe un terzo almeno della popolazione. Sono sempre più carenti i servizi sociali e non è un caso che due terzi della popolazione russa rimpiangano i tempi sovietici. L’economia è in fase di stagnazione anche come conseguenza delle mutate condizioni sui mercati mondiali delle fonti energetiche (petrolio e gas) di cui abbonda la Russia che però soffre anche per le crescenti sanzioni comminate dagli USA e dall’UE dopo la crisi ucraina ed il ricongiungimento della Crimea alla madrepatria.
In conseguenza di una situazione di crisi cui il governo neoliberale espressione della burocrazia e di una mezza dozzina di potenti oligarchi la Russia sta soffrendo anche una grave crisi demografica. In seguito alla dissoluzione dell’URSS un quarto dei russi vive in altri stati, specie in Asia centrale ed Ucraina, mentre la Federazione russa risente di un forte calo della popolazione paragonabile a quello subito dopo la seconda guerra mondiale. E’ una crisi di fiducia. Una politica di rafforzamento richiede pertanto nuove basi economiche, politiche sociali e di assistenza alle famiglie, insomma un generale miglioramento della qualità della vita della popolazione comune. Gente che comincia a reagire sia scendendo in piazza contro la riforma del sistema pensionistico (una specie di Fornero in salsa russa) che punendo nelle elezioni regionali il partito di governo “Russia unita” e premiando invece i candidati comunisti.
Di tutto ciò si è evidentemente reso conto lo stesso presidente Vladimir Vladimirovič Putin che ha già nei mesi scorsi avuto una serie di colloqui con i capi dei partiti presenti nel parlamento russo, la Duma. Ben quattro sono stati gli incontri con il leader del PCFR Gennadij Andreević Zjuganov ed altri dirigenti comunisti. Lo stesso Zjuganov ha rivelato che una delle precondizioni per un dialogo costruttivo erano le immediate dimissioni del governo Medvedjev colpevole di aver perseguito una politica antipopolare.
La risposta è stato il discorso di fronte all’assemblea federale di deputati, governatori ed altre personalità rappresentative tenuto da Putin a metà gennaio e trasmesso in diretta dalle televisioni russe. Il governo Medvedjev si è infatti dimesso immediatamente e Putin ha designato come nuovo mandatario il capo dei servizi fiscali Mihail Vladimirović Mišustin che è stato confermato dalla Duma con l’astensione dei 41 deputati comunisti.
Cosa ha detto Putin? Abbandonando ogni frasario trionfalistico il presidente russo ha dovuto riconoscere le difficoltà che attraversa il paese e sulla grave crisi demografica che si riflette sulla vitalità della società russa. Di fronte a tutto ciò egli ha proposto un “cambio di passo” nelle strategie economiche e sociali, maggior interesse al miglioramento del tenore di vita della popolazione e del rafforzamento dei servizi sociali ormai evanescenti. Per fare tutto ciò è necessario un accordo tra le forze politiche del paese nello spirito di una rinnovata unità nazionale.
In questo senso ha proposto una modifica del sistema politico e della Costituzione del ’93, scritta nell’epoca di Jelcin. Riforma costituzionale che potremmo definire “semipresidenziale” con una riduzione dei poteri del presidente della federazione ed un rafforzamento dei poteri della Duma che avrebbe il compito di eleggere il premier ed i ministri del suo governo. La riforma dovrebbe anche rafforzare le autonomie regionali. Per la stesura della nuova costituzione Putin ha indicato una commissione composta da rappresentanti dei partiti e della società civile, esperti giuristi ed esponenti della cultura russa. Il risultato del loro lavoro, la nuova costituzione, sarà comunque sottoposto ad un referendum popolare.
Le reazioni al discorso ed alle proposte di Putin sono state immediate. C’è chi ha visto in tutto ciò soltanto un tentativo di riposizionamento di Putin che dal 2024 non potrà più ricandidarsi al posto di Capo dello stato, altri ritengono che le sue proposte abbiano un respiro più ampio, di spessore strategico, pur non negando la possibilità che Putin cerchi di ritagliarsi un ruolo rilevante in questa fase della storia russa.
Comunque sia, la Duma ha già iniziato a discutere sul nuovo governo dando delle indicazioni al premier incaricato Mišustin.
In particolare il capo dei comunisti Zjuganov ha sottolineato che si attende dei precisi segnali di attenzione ai 10 punti di programma proposti dal PCFR specialmente per quel che riguarda la politica economica da reindirizzare su binari “keynesiani”, con maggiori interventi pubblici, stimoli all’autogoverno delle aziende, politiche di stimolazione alla innovazione tecnologica in seguito ad una generale rafforzamento dei settori della ricerca. Zjuganov ha indicato la necessità di raggiungere in breve tempo ritmi di crescita tra i 5 e 7 per cento, raggiungibili secondo i modelli di sviluppo realizzati proprio dalle regioni siberiane governate dai comunisti e, nel campo agricolo, dall’esperienza delle nuova aziende cooperative come quella creata dal candidato presidenziale comunista Grudinin.
Il leader comunista ha sottolineato che valuterà e collaborerà col governo soltanto se questo adotterà punti significativi del programma del PCFR e le sue proposte. In breve, i comunisti possono collaborare soltanto se ci sarà una decisa svolta rispetto alle politiche neoliberiste perseguite dai governi del passato. Hanno apprezzato già i primi accenni fatti da Mišustin nel suo primo intervento alla Duma ma un giudizio più preciso verrà dopo la presentazione della squadra di governo dalla quale dovrebbero uscire definitivamente i ministri legati alle varie oligarchie finanziarie o alle multinazionali.