di Luca Cangemi, Segreteria Nazionale PCI
Bisogna avere rispetto per la storia. Sempre.
E un titolo come quello dell’intervista (Repubblica 20 gennaio 2021) di Ezio Mauro a D’Alema “Il PCI è sempre stato riformista” non ne ha. Il PCI è stato fondato per la rivoluzione, appassionatamente e lucidamente.
La stessa lotta antifascista fu condotta dentro l’orizzonte rivoluzionario, senza alcun rimpianto della comune militanza con i riformisti, la rottura con i quali fu vista, anzi, come precondizione essenziale per un’azione rigorosa ed efficace.
Tentare di cancellare questa storia, proporre la favola di un partito che – addirittura dalle origini – avrebbe praticato un riformismo carbonaro, non ha senso. O meglio ha il senso non dell’analisi storica, ma della manovra politica di piccolo cabotaggio.
A Livorno inizia una storia rivoluzionaria, parte integrante e notevole della vicenda del movimento comunista internazionale. Chi pensa che questo mondo abbia più di ieri necessità di trasformazioni rivoluzionarie trova in quella storia un patrimonio enorme di passione, idee, strumenti.
Chi invece pensa possibile e utile praticare la gestione dell’esistente può senz’altro trovare altri riferimenti.
Berlinguer definì nel 1978 il PCI Rivoluzionario e Conservatore. Cambiare le molte cose che di questa società non vanno assolutamente bene e realizzare fino infondo la Carta del 1947 scritta dopo una rivoluzione di popolo contro il nazifascismo Ivano Del Furia.