di Mauro Alboresi, Segretario Nazionale PCI
E’ assai probabile, vista anche la campagna mediatica in atto, che dopo dieci anni esatti dall’affermazione di quello presieduto da Mario Monti, si giunga nel volgere di qualche giorno all’affermazione di un altro governo cosiddetto tecnico, stavolta a guida Mario Draghi.
Questa è del resto la soluzione proposta, al lordo dei passaggi istituzionali previsti, dal Presidente della Repubblica alla crisi del governo Conte bis, provocata nei giorni scorsi da Italia Viva, prima con il ritiro da tale compagine governativa dei propri rappresentanti, poi con l’indisponibilità a
favorire l’affermazione di un governo Conte ter.
Anche per noi, così come sottolineato da alcune parti, si tratta di una crisi fortemente voluta dai cosiddetti poteri forti.
Dieci anni fa la posta in palio era quella di chi doveva essere chiamato a pagare il prezzo della crisi finanziaria deflagrata nel 2008, delle sue ripercussioni, e la risposta messa in campo dal governo “tecnico”, al grido “ce lo chiede l’Europa”, fu quella di politiche che all’insegna dell’austerità hanno salvaguardato i grandi gruppi finanziari ed economici e progressivamente determinato un drastico peggioramento delle condizioni di vita dei ceti popolari.
Oggi la posta in palio è ancora quella del chi sarà chiamato a pagare il prezzo di quella crisi per tanta parte mai risolta, e da un anno drammaticamente amplificata sul piano economico e sociale dalla pandemia da Covid-19, del chi sarà chiamato a gestire le politiche largamente eterodirette dall’Unione Europea attraverso il “combinato-disposto” rappresentato dal Recovery fund e dal Recovery plan, a garantirne la finalizzazione a favore di quegli stessi gruppi.
Politiche largamente finanziate attingendo a prestiti, alla cui restituzione l’Italia, che evidenzia un debito pubblico in rilevante crescita, sarà comunque chiamata, e sullo sfondo, con la riproposizione del “ce lo chiede l’Europa”, aleggia il ripristino del patto di stabilità europeo ad oggi sospeso.
Il venire meno del governo Conte bis, stante anche alcune sue eterodossie (si al memorandum con la Cina relativamente alla nuova via della seta, no al ricorso al MES per la spesa sanitaria) suona anche come una scelta volta a normalizzare il quadro politico dato in una chiave pienamente europeista ed atlantista.
Da più parti si sottolinea che l’affermazione del governo “tecnico” rappresenta una sorta di “abdicazione della politica” dal proprio ruolo, dalla propria funzione, in realtà quanto si prospetta, al di là del carattere che gli si attribuisce, è un atto compiutamente politico, pienamente dentro la logica che sostanzia il processo di Unione Europea affermatosi, che contempla tra l’altro una progressiva riduzione del ruolo e della funzione dei governi, dei parlamenti.
Va da sé che l’affermazione del governo “tecnico” a guida Mario Draghi sgombera il campo da qualsiasi ipotesi di elezioni anticipate, con buona pace di quella destra sovranista ed antieuropeista che continua ad invocarle.
Noi non siamo in Parlamento, se vi fossimo, per le ragioni più volte sottolineate, avremmo condotto nel tempo una ferma opposizione al governo Conte, ed oggi non ci renderemmo disponibili a sostenere un governo “tecnico” in nome di un richiamo in tanti casi astratto agli
interessi del Paese, che finiscono con l’essere soprattutto gli interessi di una parte di esso, quella più garantita, come tante, troppe volte evidenziato, anche in questi ultimi anni, dalla forbice delle disuguaglianze, mai così ampia.
Vedremo nei prossimi giorni quali saranno le scelte delle diverse forze politiche chiamate a pronunciarsi, in particolare di quelle che si sono proposte in chiave alternativa nei confronti del quadro politico dato.
Ciò che si prospetta è una situazione nella quale a pagare il prezzo della crisi saranno nella sostanza chiamati i soliti noti, ossia il mondo del lavoro, mai così frammentato e mortificato sul terreno della tutela, i pensionati, i ceti popolari, mai così lontani dal vedere rappresentate e risolte le loro istanze.
Ciò che serve, lo abbiamo più volte sottolineato, non sono generici appelli agli interessi del Paese, all’unità, né la promozione di governi cosiddetti tecnici.
Servono politiche in assoluta discontinuità rispetto a quelle date, a quelle prospettate, le une e le altre, infatti, muovono all’interno di un quadro di compatibilità dato dai cosiddetti poteri forti, entro cui gli interessi del blocco sociale al quale noi guardiamo, che assumiamo come riferimento, non possono trovare risposta.
Insistiamo: occorre promuovere, attorno ad una qualificata piattaforma alternativa, la più ampia unità d’azione possibile tra tutte le soggettività politiche e sindacali che non si rassegnano alla situazione data, la più ampia mobilitazione sociale, proporsi di acquisire il massimo consenso.
Si deve e si può cambiare, e noi, il PCI, ci siamo.
Concordo totalmente. Ma ormai siamo all’ammicchiata/inciuccio più svergognato/a mai visto nella storia politica di questo paese, almeno negli ultimi 10 anni. Neppure con l’illusionista del debito pubblico Monti e della lacrime di coccodrilla fornero, fu così.
Si sente la mancanza di una forza politica comunista che si contrapponga risolutamente a questo attendismo, all’ulteriore degrado e servilismo all’Ue delle attuali forze politiche parlamentari.
Non c’è nessuno, in questa fase politica che provi e difendere e rassicurare i ceti popolari dall’ulteriore aggressione dei loro livelli di vita. Cordialmente saluti.