di Giorgio Langella, Responsabile Dipartimento Lavoro PCI
e Dennis Vincent Klapwijk, Responsabile Dipartimento Lavoro FGCI
Oggi un altro morto sul lavoro in provincia di Varese. Un lavoratore di 49 anni è stato schiacciato da una fresa.
Un’altra morte orribile dopo quella di Luana D’Orazio, operaia tessile di 22 anni, a Prato due giorni fa. I giornali on line riportano la notizia e qualcuno si interroga se sia ammissibile questa strage in un paese che si dice civile. Fino a qualche giorno fa nessuno (o pochissimi) chiedevano di fare qualcosa al riguardo.
Azioni che andassero al di là della solidarietà e della costernazione. Noi comunisti tra i pochi ponevamo il problema di capire cosa sta succedendo, se fosse giusto continuare con un modello di sviluppo che considera chi lavora e la sua sicurezza costi che “fanno male” al profitto.
Nel frattempo abbiamo sentito di tutto e di più da parte di “lorpadroni”. In questi ultimi decenni di sostanziale regime liberista gli obiettivi del padronato di cancellare le sanzioni nei confronti delle imprese che non ottemperavano alle norme di sicurezza sono stati raggiunti. Adesso esistono, forse, leggi e regole ma, di fatto, senza sanzioni e, tantomeno, pene.
Così abbiamo assistito a processi finiti quasi sempre con l’assoluzione degli “imputati eccellenti” o la prescrizione dei reati loro ascritti.
Si è andati, progressivamente, verso il trionfo della precarietà, spinti da quel “realismo capitalista” che inculca l’idea che lavorare sia un privilegio e che bisogna mettersi in competizione tra chi lavora, accettando qualsiasi sacrificio e qualsiasi condizione. Si è andati avanti così, nonostante migliaia di morti nei luoghi di lavoro, incalcolabili i decessi per malattie professionali o quelli per inquinamento prodotto da un modello di produzione “tossico” (l’amianto, solo nel 2020, ha provocato 7000 morti, numero stimato in difetto).
E via a privatizzare tutto e di più, a lasciare che trionfassero condizioni di lavoro e di sicurezza indecenti, ad affermare che si doveva scegliere tra la salute e il lavoro, tra l’ambiente e il lavoro. Scelte politiche fallimentari se viste dalla prospettiva di chi vive del proprio lavoro, una “ottima” politica, invece, se valutata dal punto di vista di “lorpadroni” che hanno visto aumentare a dismisura la propria ricchezza proprio mentre lavoratrici e lavoratori venivano licenziati, si ammalavano, morivano, diventavano sempre più poveri.
E adesso? Adesso qualcuno si sta accorgendo di tutto questo disastro o fa finta di rendersene improvvisamente conto solo perché la notizia delle ultime morti nei luoghi di lavoro scuote l’opinione pubblica e “vende di più”. Lo si fa perché si è convinti che bisogna cambiare o perché, così, con qualche lacrima e apparente sdegno ci si mette a posto la coscienza?
A leggere alcune notizie si direbbe che la risposta è che tutto, passato qualche giorno, tornerà nell’indifferenza sostanziale. Che l’indignazione dei politicanti che occupano le istituzioni e di un’informazione asservita si trasformerà presto in qualcosa che neppure si riesce a ricordare.
Mi riferisco all’incontro avvenuto ieri tra il gruppo parlamentare della Camera del PD e il presidente di Confindustria Bonomi. Mi riferisco all’intervista di Bonomi come riportata sul sito di confindustria in data odierna. Ebbene il tema della salute e della sicurezza nei luoghi di lavoro, da come vengono riportate le notizie, non viene sfiorato. Si parla di necessità di rilanciare le imprese, di perfetta identità di vedute tra governo e Confindustria. E Bonomi, nell’intervista al Corriere, afferma (fonte confindustria.it): “Per 25 anni ci è sempre stato detto che non c’erano risorse per sostenere i costi sociali delle riforme. Ora le abbiamo. Quel che manca nel testo, se si vuole, è la partnership pubblico-privato.
Credo che sia nell’interesse del presidente Draghi aprire su questo un’interlocuzione con il settore privato: lo svincola da chi vuole solo lo status quo. Il punto del piano è mettere risorse pubbliche, perché facciano da leva agli investimenti privati. Ecco perché dobbiamo capire come il Governo intende eseguire le riforme. Infatti, se poi le imprese non capiscono e non condividono, gli investimenti privati non arrivano, l’Italia non diventa attrattiva, il Pil cresce meno, abbiamo meno occupati e quindi il debito è meno sostenibile” … “In Italia l’industria privata ha una buona produttività, ma il mondo dei servizi erogati a concessione e a tariffa amministrata no, e nemmeno la pubblica amministrazione.
Infatti, questa componente dei servizi è completamente a terra e secondo me ciò è dovuto in parte al fatto che non si è mai sviluppata concorrenza reale in quel mondo.
Bisogna intervenire, e serve farlo anche sul codice degli appalti” … Il discorso è sempre lo stesso, il pubblico e inefficiente, il privato è bello (nonostante quanto successo nella sanità in questo ultimo anno) … Lo Stato deve dare soldi ai privati che se non ottengono quello che vogliono non investono. Una sorta di ricatto bello e buono che nasconde (neppure troppo) il vero obiettivo di “lorpadroni”: i soldi del recovery fund, loro li vogliono tutti; allo Stato (e, quindi ai cittadini che pagano le tasse) dovrà restare il debito, tutto e per sempre.
È la solita vecchia storia di sfruttamento e sperequazione. A “lorpadroni”, della salute e della sicurezza di lavoratrici e lavoratori, non interessa nulla. In definitiva, come si cantava tempo fa, cosa pretendono questi “quattro straccioni”? Vorrebbero, forse, un futuro da vivere? Non basta loro eterno presente fatto di precarietà, fatica e miseria?
Proviamo a ragionare. L’ideologia di “lorpadroni” è qualcosa di profondamente indecente e ingiusto. Proviamo a pensare che, sì, noi, lavoratrici e lavoratori, vogliamo un futuro, magari migliore del nostro sogno più bello. E lo vogliamo tutto, adesso, subito. E, infine, prediamo coscienza che è giusto lottare per questo, lo dobbiamo a noi stessi e a tutte le persone alle quali è stata tolta la vita e la salute per il profitto dei soliti noti.