Succede in Perù.

Ieri, 28 luglio, Pedro Castillo Terrones, proclamato Presidente del Perù, ha assunto ufficialmente l’incarico e ha pronunciato il tradizionale discorso di fronte al congresso. È stato discorso intenso che ha descritto al popolo peruviano, al quale si è esplicitamente rivolto, il programma di governo che intende attuare nei prossimi cinque anni.

Ci sono molte novità rispetto ai governi precedenti. Una svolta netta, nella sostanza e nei simboli.
Innanzitutto il Presidente ha evidenziato come la storia del Perù sia stata una storia piena di ingiustizie dovute inizialmente alla conquista da parte degli spagnoli e proseguite, dopo l’indipendenza avvenuta esattamente 200 anni fa, fino ai giorni nostri ad esclusione di alcuni brevi periodi.

Ingiustizie dovute a una sudditanza dei governi al capitalismo globale con conseguenti discriminazione e soprusi verso i popoli autoctoni e le loro culture. Tutto questo non è più tollerabile.
È con questa premessa che Castillo ha sviluppato il suo progetto. Un progetto di trasformazione della società che deve partire dai diritti, dai bisogni e dalle aspirazioni dei popoli.
La priorità è la salute di ognuno. In tempi di pandemia ha ribadito come lo sforzo che deve essere fatto e per il quale si impegna è quello di immunizzare almeno il 70% della popolazione entro il 2021. Una campagna di vaccinazione capillare ed estesa che ponga le basi di un sistema sanitario pubblico, gratuito e diffuso nel territorio, rompendo l’attuale centralizzazione che è fonte di disagi e discriminazione. La sanità non è un servizio è un diritto, così come l’istruzione (altro punto fondamentale del programma). L’educazione e l’istruzione devono essere anch’esse pubbliche e gratuite.

Ognuno deve poter accedere al massimo grado di istruzione per essere veramente libero. Lo sviluppo economico deve vedere la presenza attiva dello Stato anche rispettando la proprietà privata, ma ponendo davanti a tutto gli interessi della nazione e del popolo. Lo Stato opererà per cancellare gli abusi dei monopoli, dei consorzi che corrompono e speculano su servizi di base e beni comuni. È necessario, perciò, superare il modello economico liberista tenendo presente che ogni nuovo progetto e ogni sviluppo deve garantire un profitto sociale condiviso, altrimenti non potrà sussistere. Naturalmente bisogna garantire la sostenibilità ambientale e sociale. La ricchezza prodotta dovrà essere
distribuita al fine non solo di giustizia ed equità ma per debellare la povertà.

Nel suo discorso, Pedro Castillo, ha dato risalto ad alcune cose che, di solito, non rientrano nella normalità della storia recente del suo paese.
La prima è la costituzione di un nuovo ministero della scienza, della tecnologia e dell’innovazione, che deve permettere la crescita del paese e la distribuzione della conoscenza e dei risultati dell’innovazione tecnologica alla popolazione.

Scienza, tecnologia e innovazione diventano anch’esse diritti e non servizi che devono essere pagati per poterne usufruire.
La seconda è il ruolo delle forze armate che in tempo di pace devono partecipare ai progetti di sviluppo del paese (e non alla repressione poliziesca).
La terza riguarda la necessità di consentire ai popoli che costituiscono l’insieme dei peruviani di mantenere le proprie culture e i propri idiomi.

Affermare che le leggi e le comunicazioni verranno fatte nelle varie lingue (quechua, aymara …). Una trasformazione linguistica del paese che significa rendere partecipi intere popolazioni oggi escluse per il semplice fatto che hanno difficoltà di comprendere i loro diritti e i loro doveri. Una proposta, questa, che era stata fatta propria dal governo militare rivoluzionario di Velasco Alvarado circa cinquanta anni fa quando il quechua era diventato lingua ufficiale.

Poi alcune decisioni “simboliche” (ma che tali non sono).
La trasformazione del ministero della cultura in “ministero delle culture” per evidenziare come il Perù diventerà un paese plurinazionale nel quale ogni cultura e tradizione autoctone avranno pari dignità.
La decisione di trasformare il palazzo presidenziale in un museo della storia del Perù di competenza del ministero delle culture. Questo cambio di destinazione d’uso ha una forte valenza simbolica perché il palazzo presidenziale è chiamato “casa di Pizarro” un simbolo coloniale con il quale bisogna porre termine.

La decisione di rinunciare allo stipendio di presidente della repubblica e di mantenere quello di maestro.
Infine la necessità di cambiare la Costituzione del 1993, quella di Fujimori, che impone vincoli che impedirebbero la profonda trasformazione descritta.
Per questo, nel pieno rispetto della legalità, si procederà a scriverne una nuova che sarà sottoposta a referendum popolare.
Per il progetto illustrato in maniera puntuale e approfondita (cosa non scontata in un discorso di insediamento), perché il programma non rimanga una serie di promesse, è necessaria l’unità popolare.

E, vorremmo aggiungere, il sostegno internazionale dei progressisti, dei socialisti, dei comunisti. Governare il Perù per trasformarlo in un paese giusto, senza discriminazioni e povertà sarà complesso e difficile. Molti saranno i “disturbi” provenienti dall’interno e dall’esterno (è facile prevedere da chi). Ci vuole come ha detto Castillo terminando il suo discorso: “Huk umalla huk sunquilla hus maquilla!” Cioè “Una sola forza, un solo cuore, una stessa direzione!

Che è la direzione del progresso e della giustizia sociale per tutti i peruviani.

Lascia un commento

Il tuo indirizzo email non sarà pubblicato. I campi obbligatori sono contrassegnati *