AUSTERITÀ, MODELLO DI SVILUPPO E LIBERAZIONE DELLA DONNA IN ENRICO BERLINGUER

Intervento di Maria Carla Baroni durante un’iniziativa a Milano (20/05/2022) riguardante il centenario della nascita di Enrico Berlinguer.

Desidero parlare dei due discorsi sull’ austerità del  1977, quello agli intellettuali tenuto a Roma e quello all’assemblea degli operai comunisti lombardi a Milano, pubblicati dagli Editori Riuniti con il titolo “Austerità occasione per trasformare l’Italia”, che propongono in sostanza un nuovo modello di sviluppo; a mio parere il punto più alto del pensiero di Enrico Berlinguer. Ma prima  ritengo indispensabile  situare questi discorsi nel contesto degli anni ‘70, prevalentemente ricordati come gli anni di piombo. 

Gli anni ‘70, o più precisamente gli anni dal ‘68 all’81, furono soprattutto un periodo straordinario di rinnovamento, democratizzazione e laicizzazione del Paese, in cui furono conquistati  diritti,  leggi (molte presentate dal PCI) e servizi pubblici fondamentali ancor oggi e che in parte ci sono stati tolti e in parte sono stati privatizzati e snaturati, e comunque sempre attaccati, nell’ambito dell’involuzione subita dal nostro sistema socio politico culturale dall’inizio degli anni ‘90 in poi.

Ci fu allora il ‘68 studentesco, il ‘69 operaio e dall’inizio degli anni ‘70 il movimento delle donne. La CGIL era allora un sindacato di classe, in fase espansiva in tutto il mondo del lavoro e in fase montante quanto a obiettivi di rivendicazione e di lotta, tra cui in primo luogo la conquista di una riforma sanitaria universalistica e più case popolari.

In quell’arco di tempo si ottennero fondamentali avanzamenti sul piano istituzionale  (con l’istituzione delle Regioni -legge 281/1970-, poi  degradatasi, a seguito della modificazione del Titolo V della Costituzione – legge costituzionale 3/2001 – , a un sistema di più o meno ampie autonomie differenziate); sui diritti del lavoro (Statuto dei diritti dei lavoratori, legge 300/1970; tutela delle lavoratrici madri, legge 1204/1971); sui diritti civili (divorzio, legge 898/1970 e vittoria del No al referendum abrogativo del 1974; nuovo diritto di famiglia, legge 151/1975; legge del 1975 sull’abbassamento della  maggiore età a 18 anni; riconoscimento dell’obiezione di coscienza al servizio militare, legge 772/1972); per la liberazione delle donne (consultori pubblici, legge 405/1975; riconoscimento dell’interruzione volontaria di gravidanza, legge 194/1978, riconfermata con il  referendum del 1981); in campo sociosanitario (istituzione del Servizio Sanitario Nazionale universalistico basato sulla prevenzione, legge 833/1978; riforma psichiatrica con l’abolizione dei manicomi, legge 180/1978, l’apprezzatissima e imitata all’estero legge Basaglia); in materia di partecipazione (decreti delegati sulla scuola, dal luglio 1973 al maggio 1974); in materia urbanistica (regime dei suoli, legge 10/1977., nota anche come legge Bucalossi) e della casa (piano decennale casa per l’edilizia residenziale pubblica, legge 457/1978; equo canone, legge 392/1978). 

Nel 1972 il Club di Roma guidato da Aurelio Peccei (dirigente industriale ed economista illuminato) aveva commissionato il rapporto, pubblicato con il titolo “ I limiti dello sviluppo” (Mondadori, 1972), elaborato dal System Dynamics Group del Massachusetts Institute of Technology di Boston, che per la prima volta calcolava i limiti della crescita umana sul pianeta Terra, prendendo in esame cinque variabili: popolazione, disponibilità di alimenti, produzione industriale, risorse non rinnovabili e inquinamento. Sempre nel 1972 era anche stata fondata, da Giulio Maccacaro, (medico e docente all’Università di Milano) e da Luigi Mara (del Consiglio di Fabbrica della Montedison di Castellanza) Medicina Democratica, nata alla fine degli anni ‘60 come movimento di lotta per la salute a partire dai luoghi di lavoro, divenuta cooperativa a responsabilità limitata nel 1978 a Milano e infine associazione Onlus  nel 2003.     Laura Conti (medica comunista, consigliera regionale in Lombardia e poi parlamentare) nel 1976/1977, analizzando le conseguenze sull’ambiente e sugli esseri umani della disastrosa fuoriuscita di diossina dall’Icmesa di Seveso, aveva fondato la scienza ecologica in Italia (“Visto da Seveso”, Feltrinelli, 1977) e iniziava a porsi le questioni che nel 1980 l’avrebbero portata  a fondare la Lega per l’Ambiente, attualmente Legambiente. Negli stessi anni faceva uscire sull’Unità il mitico articolo “Fermate lo sviluppo: voglio scendere!” e maturava “Questo pianeta” (Editori Riuniti, 1983), il suo capolavoro, attuale quanto mai.

In tale contesto di fermento e di presa di coscienza critica (ignorati dalle istituzioni e dalla politica) , Enrico Berlinguer operò un salto di qualità  rivoluzionario: il cambiamento del modello di sviluppo era una scelta obbligata  che doveva essere fatta propria non tanto  genericamente dalle persone, come sosteneva ad es. Aurelio Peccei,     ma dalla classe operaia. 

Dico subito che a mio parere Berlinguer sbagliò l’uso del termine con cui chiamare la sua proposta, uno dei motivi per cui non fu capito e fu osteggiato. Nell’accezione corrente usata in politica economica per “austerità” si intende il severo contenimento della spesa pubblica e dei consumi privati, e cioè il fare sacrifici, che ovviamente vengono intesi solo a carico delle classi subalterne. E sembrò il colmo (soprattutto a chi si fermo’ al titolo senza leggere il testo) che una proposta del genere dovesse essere fatta propria, per sua stessa iniziativa, dalla classe operaia. Ricordiamo tutti/e che a sinistra ci siamo scagliati per anni contro l’austerità impostaci dall’Unione Europea: che tale austerità ci fosse davvero imposta o che questa fosse la scusa adottata dai nostri governi conservatori per tagliare diritti e servizi pubblici.

Se Berlinguer avesse usato, ad es., il termine “sobrietà”, forse le cose sarebbero andate, almeno in parte, diversamente.

Ricordiamo inoltre che nell’ottobre 1973 era scoppiata, a seguito della guerra di Egitto e Siria contro Israele, la “crisi energetica”, con una impennata dei prezzi del greggio e dei suoi derivati e con la consistente riduzione dell’approvvigionamento di petrolio dai Paesi arabi ai Paesi sostenitori di Israele. Tale crisi aveva innescato ripercussioni sulla produzione industriale e messo in luce la dipendenza e quindi, la fragilità del sistema economico/produttivo occidentale nel suo complesso, con ovvie ricadute sulle classi lavoratrici. (L’analogia con la situazione odierna di dipendenza energetica  e di indispensabilità di passare su larga scala alle energie rinnovabili è impressionante…).

A questo punto non resta che riportare i punti salienti dei discorsi di Berlinguer. “Per noi l’austerità è il mezzo per contrastare alle radici e porre le basi del superamento di un sistema i cui caratteri distintivi sono lo spreco e lo sperpero, l’esaltazione di particolarismi e dell’individualismo più sfrenati, del consumismo più dissennato. L’austerità significa rigore, efficienza, serietà e significa giustizia; cioè il contrario di tutto ciò che abbiamo conosciuto e pagato finora, e che ci ha portato alla crisi gravissima…che oggi si manifesta in Italia in tutta la sua drammatica portata”.

“ Così concepita l’austerità diventa arma di lotta moderna e aggiornata …contro una società destinata organicamente a rimanere arretrata…, sempre più squilibrata, sempre più carica di ingiustizie, di contraddizioni, di disuguaglianze”.  “Può essere una scelta che ha un avanzato, concreto contenuto di classe, …attraverso cui il movimento operaio si fa portatore di un modo diverso del vivere sociale, attraverso cui lotta per affermare, nelle condizioni di oggi, i suoi antichi e sempre validi ideali di liberazione”.

“Per uscire sicuramente dalle sabbie mobili in cui rischia di essere inghiottita l’odierna società , è indispensabile introdurre in essa alcuni elementi, valori, criteri propri dell’ideale socialista”. “..poniamo l’obiettivo di una partecipazione dei lavoratori e dei cittadini al controllo delle aziende, dell’economia, dello Stato.”. “quando poniamo obiettivi di tal genere che cos’altro facciamo se non proporre forme di vita e rapporti tra gli uomini e fra gli Stati più solidali, più sociali, più umani e dunque tali che escono dal quadro e dalla logica del capitalismo?”. “… questi criteri, questi valori, questi obiettivi…esprimono un’esigenza che oggi può venire – e anzi viene già – anche da strati di popolo e di lavoratori di altre matrici ideali, in primo luogo di matrice e ispirazione cristiana”.

“La politica di austerità quale è da noi intesa…può condurre verso un assetto economico e sociale guidato dai principi della massima produttività generale, della razionalità, del rigore, della giustizia, del godimento di beni autentici quali sono la cultura, l’istruzione, la salute, un libero e sano rapporto con la natura”.

In seguito, in un editoriale su “Rinascita” del 24 agosto 1979, Berlinguer  riprese il tema dell’austerità sia trattando la questione del rapporto tra la qualità e la quantità delle produzioni e le scelte economiche, sia ponendo una domanda fondamentale per capire la natura stessa del modello di sviluppo: perché e che cosa produrre? Tema che in quegli stessi anni si poneva anche la Fiom-Cgil, soprattutto propugnando la necessità di riconvertire le fabbriche di armi a produzioni civili.

Scrisse Berlinguer: “ Il nostro discorso pone alla società italiana…una politica economica nuova, nella quale i problemi della quantità dello sviluppo e della sua qualità, della sua espansione e delle sue finalità si saldino e si esprimano anche in un intervento nuovo  della classe operaia non solo sulla distribuzione del reddito, … ma anche sulla forma e sulla qualità dei consumi e quindi su processo stesso di accumulazione. ….Si tratta di vedere se non possono essere ricercate soluzioni e strumenti nuovi , che consentano alla classe operaia di controllare in modo autonomo e diretto almeno una parte dell’impiego delle risorse…avviando a soluzione, in primo luogo, la questione meridionale” e ponendo pure, più oltre, la questione dell’energia (risparmio energetico, fonti alternative al petrolio, sul che per cosa occorre energia).

Non a caso per queste sue posizioni Berlinguer è stato posto tra i precursori della decrescita in una collana diretta da Serge Latouche (“Berlinguer. L’austerità giusta” a cura di Giulio Marcon, Jaca Book, 2014.). Decrescita che non significa né recessione, né impoverimento generalizzato, né ascetismo, né ritorno al Medioevo, ma soltanto ( soltanto? ) che una crescita illimitata della produzione e del consumo materiali, come quelli a cui tende il capitalismo per massimizzare sempre e comunque il profitto d’impresa e l’accumulazione del capitale, non sono sostenibili su un pianeta dalle risorse finite. Decrescita significa in buona sostanza porsi concretamente e urgentemente la questione del che cosa, per chi, quanto e come produrre.

Nelle conclusioni al convegno romano degli intellettuali sull’austerità Berlinguer aveva individuato, tra gli obiettivi da perseguire, anche quello della “piena uguaglianza e dell’effettiva liberazione della donna, che è oggi uno dei più grandi temi della vita nazionale e non solo di essa”. A parte il fatto che non ha senso parlare di “donna” come se fosse un archetipo, mentre esistono sul pianeta miliardi di donne concrete ognuna con la sua multiforme individualità, è indispensabile riconoscere a Berlinguer la lungimiranza di aver usato, oltre alla parola “uguaglianza” (giuridica, formale), il termine ”liberazione”, obiettivo del movimento femminista di quegli stessi anni (e di oggi), quando lo stesso Lenin, nella raccolta dei suoi scritti uscita in Italia con il titolo di “L’emancipazione della donna” (Editori Riuniti, 1970) aveva usato indifferentemente i termini uguaglianza, emancipazione, liberazione.

Non posso fare a meno di riportare i principali enunciati del discorso a Piazza Siena “Per la liberazione della donna” del maggio 1979. “Nella società capitalistica, insieme con l’oppressione di classe, si prolunga in nuove forme la più antica soggezione imposta alle donne: quella nei confronti dell’uomo”….”Il processo della rivoluzione sociale e quello della liberazione della donna da ogni forma di oppressione, compresa quella che si è storicamente determinata nel campo della sessualità, devono procedere di pari passo e sostenersi l’uno con l’altro”. E ancora: “…la forza rinnovatrice dei movimenti autonomi delle donne rappresenta una potenza che deve servire a trasformare, con la condizione delle donne, l’intera società.”

Per concludere: grazie a Enrico Berlinguer, in qualche modo e in qualche misura figlio dei mitici anni ‘70, ma anche loro indiscusso protagonista.

Maria Carla Baroni

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