Accade in Perù (ma nessuno ne parla)

Giorgio Langella – Segreteria Nazionale PCI

Perché la grande informazione nazionale dice poco o niente di quanto sta succedendo in Perù? Eppure, in questi ultimi giorni, ci sono proteste spontanee di massa, occupazioni di aeroporti, blocco di importanti arterie di comunicazione, scontri con la polizia. Eppure, fino a poche ore fa, i morti tra i manifestanti sono stati 8 (tra i quali due adolescenti) e decine i feriti. Eppure vengono sospesi i diritti personali per 30 giorni con la dichiarazione dello “stato di emergenza”. Eppure, nonostante questo, decine di migliaia di persone scendono ancora in piazza a Lima e in gran parte del paese.

In poche parole siamo di fronte a una ribellione popolare contro quella che è, di fatto, la presa del potere da parte di un parlamento a maggioranza di destra dopo il “suicidio politico” del presidente eletto Pedro Castillo che aveva dichiarato sospeso temporaneamente il parlamento stesso. Castillo è stato accusato di tentato golpe, sedizione e subito incarcerato. Un conflitto tra potere legislativo e giudiziario da una parte e potere esecutivo dall’altra che dura da quando Castillo fu eletto presidente circa un anno e mezzo fa.

Numerosi sono stati gli errori di Pedro Castillo e sarebbe sbagliato non tenerne conto, ma un fatto è certo, di fronte a un boicottaggio continuato da parte dei gruppi parlamentari di destra non ha mai potuto mettere in pratica il programma politico con il quale si era presentato alle elezioni e le aveva vinte. Vari tentativi di deporlo sono falliti e, con tutta probabilità, sarebbe fallito anche l’ultimo salvo che è stato preceduto da un suo messaggio alla nazione con il quale preannunciava la sospensione temporanea del parlamento e la necessità di indire nuove elezioni che portassero anche alla definizione di un’assemblea che avrebbe dovuto scrivere la nuova Costituzione. Una mossa controproducente e incomprensibile che ha fornito a quell’oligarchia corrotta che controlla molte leve del potere il pretesto della sua destituzione, del suo arresto preventivo e la sua sostituzione alla presidenza della repubblica con la signora Dina Boluarte.

Un cambio di governo quasi o del tutto indolore? Non sembra proprio. Le numerose e massicce mobilitazioni popolari di queste ore stanno dimostrando la volontà di parte del popolo peruviano (quella più “umile” della quale fanno parte contadini, minatori, lavoratori … una classe che praticamente da sempre è soggiogata alle classi dominanti ricche e prepotenti) di non accettare l’ennesima normalizzazione. Il popolo peruviano sta dimostrando che vuole alzare la testa, essere protagonista e tentare una vera e propria insurrezione. Lo fa con la volontà di dire “basta!”, una volta per tutte, a un sistema corrotto che si dà una patina di democrazia utilizzando le crepe di una costituzione fascistoide e additando Pedro Castillo come il “male” e unico responsabile di una situazione diventata ingovernabile. Disturbava che fosse stato eletto un presidente “cholo”, un maestro di umili origini che parlava in  quechua e che aveva ottenuto un consenso enorme nelle zone più povere e rurali del paese ma non a Lima. Qualcosa di impensabile che era successo  anche perché l’antagonista di Castillo al ballottaggio era la figlia di Fujimori, presidente-dittatore del Perù nell’ultimo decennio del secolo scorso. Comunque la “presidenza Castillo” era una anomalia che doveva essere risolta, magari in maniera apparentemente legale, con la sua cacciata e l’arresto.

Si ascoltino il silenzio e i pochi “sussurri” dell’informazione nostrana e si provi a ragionare. In Perù sta succedendo qualcosa che, se fosse successo in altri paesi, sarebbe seguito costantemente da tutti i mezzi di comunicazione nazionali. L’avrebbero chiamata la nuova “rivoluzione colorata”, una di quelle che tanto piacciono all’occidente. Ma adesso in Perù sta accadendo altro. Intere province e regioni si ribellano a una politica basata sull’inganno e la corruzione. Una politica che vuole perpetuare la propria sudditanza a un modello iperliberista non solo sbagliato, dannoso. Una politica per la quale è una bestemmia anche solo pensare di poter conquistare i diritti che possano migliorare la vita di chi appartiene alle classi più sfruttate e misere.

Chi, oggi, si sta ribellando e chiama all’insurrezione chiede dignità, urla che ha votato un presidente e che lo riconosce, come appartenente al popolo. Lo riconosce nonostante tutte le ingenuità e gli errori, nonostante che la corruzione abbia toccato anche parte del suo governo, nonostante il suo “suicidio politico” che ha fornito la scusa per un pronunciamento parlamentare che si è rivelato il vero colpo di stato che dovrebbe “normalizzare” l’anomalia peruviana.

Quello che sta accadendo in Perù è una ribellione di stampo socialista? Forse no o non prorpio. Ma chiedere, anzi pretendere, una nuova Costituzione che spazzi via quella di Fujimori e nuove elezioni legislative dopo l’immediato scioglimento di un Parlamento che è ritenuto (e giustamente) un posto pieno di politicanti e oligarchi corrotti è certamente un cambio di passo che può andare nella direzione di un cambiamento radicale di sistema.

“Tutti a casa” è lo slogan. È populismo? No. È l’aspirazione a ottenere finalmente giustizia e diritti che siano veramente per tutti.

Nel suo ultimo comunicato il Partito Comunista del Perù – Patria Roja scrive: Abbiamo urgente bisogno di un cambio di rotta con un rinnovamento intellettuale e morale. Recuperare il senso etico, umano e di servizio della politica, diverso e opposto alla sua mercificazione e ai privilegi di pochi oggi dominanti. Per questo è fondamentale costruire, a partire dalle persone e dalle loro organizzazioni, un consenso per dare il via a una nuova Costituzione e a una nuova Repubblica, che ridefinisca il ruolo dello Stato, ne garantisca la responsabilità sociale, ponga le basi per una partecipazione democrazia e metta fine a tutte le forme di esclusione, centralismo e dipendenza. (…) È possibile uscire dal cerchio dell’arretratezza e della povertà. Avere un’istruzione e una sanità pubblica di qualità. Combattere le cause e le conseguenze della violenza sociale e del traffico di droga in espansione. Spegnere le tendenze autoritarie e fasciste. Il governo Castillo è finito e deve finire un Congresso altrettanto corrotto e incapace. È tempo di un profondo rinnovamento del Paese.”

Ecco, è di questo il Perù ha bisogno.

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