I molteplici attacchi della destra alla scuola pubblica per nascondere una politica dell’istruzione fallimentare

L’ultima trovata della Lega razzista è stata quella di sfruttare l’occasione della tragica recrudescenza del conflitto israelo-palestinese per riproporre l’introduzione a scuola di “lezioni di antiterrorismo”, ripescando un testo di legge del febbraio 2020 accantonato dal dibattito parlamentare, che ipotizza corsi formativi ed esercitazioni contro “attacchi terroristici alle istituzioni scolastiche”.


Una riproposta che, come hanno osservato in molti, mira a ben altri obiettivi che quello dichiarato di raggiungere “la sicurezza dei plessi scolastici e la loro piena funzionalità”, e punta invece a trasformare le attività scolastiche di orientamento (lezioni, laboratori) in forme di addestramento alla difesa, attraverso apposite simulazioni di evacuazioni a seguito di ipotetiche minacce esterne. Una proposta in linea con una pericolosa tendenza già in atto da tempo ad insinuare nelle scuole, per passaggi successivi, attività che inducono nelle giovani generazioni una sorta di assuefazione alle logiche di guerra e contribuiscono ad alimentare il clima di paura nel corpo sociale del paese in funzione di una “strategia della tensione” in chiave islamofobica.


Per tali attività destinate alla “cultura della difesa”, si dovrebbero utilizzare le ore di alternanza scuola lavoro, soprattutto all’interno dei PCTO, prevedendo anche l’introduzione nelle scuole pubbliche di esponenti di associazioni o organi militari con funzioni di docenza. E, mentre si lesinano fondi di bilancio per le strutture scolastiche o per un’adeguata copertura del personale scolastico, per queste attività militaresche si troverebbe subito la copertura finanziaria di oltre un milione di euro attraverso il ricorso al fondo di emergenza.


All’iniziativa della Lega si somma l’ennesima scesa in campo del ministro del merito Valditara che, in un irresponsabile comunicato ha annunciato “ispezioni in quegli istituti scolastici ove emergessero atteggiamenti di odio contro Israele e di esaltazione di Hamas”. Nel comunicato del ministro si confondono, per insipienza o per disonestà, l’antisemitismo e la Shoah con la protesta contro i crimini di guerra del governo di Netanyhau, legittimamente espressa da molti studenti e docenti, nelle scuole italiane come in quelle di tutta Europa, e si pretende di dettare alle comunità scolastiche una scelta di campo obbligata, dalla parte dello Stato d’Israele, senza far cenno alla condizione della martoriata popolazione palestinese. Una nuova inappropriata ingerenza nell’attività della comunità scolastica come luogo di libero apprendimento, confronto e discussione, e una nuova minaccia di agire per via disciplinare, o addirittura penale, contro studenti, insegnanti e personale della scuola di ogni ordine e grado che esprimano idee non conformi alla linea del governo.


In aggiunta a tutto ciò, mentre dal palazzo si soffia strumentalmente sull’emergenza terrorismo, dalla strada un manipolo di giovani neofascisti inscena una parodia di sit in davanti al MIUR a sostegno del governo, urlando di volere “l’ANPI e il gender fuori dalle scuole”.
Tre fatti che, sommati alla totale inerzia ad ogni livello nella ricerca di soluzioni al problema della cronica mancanza di spazi per le scuole, alla carenza di strutture scolastiche adeguate, al sottofinanziamento dell’istruzione pubblica in generale, sono altrettanti segnali di una deriva pericolosissima che non è cominciata oggi, ma dal governo Meloni riceve una spinta micidiale verso nessun’altra prospettiva che non sia quella della demolizione della scuola pubblica e laica, democratica e costituzionale.


Agli interventi legislativi sulla scuola degli ultimi decenni, che sono andati regressivamente modificando la scuola italiana in nome di esigenze economiche e gestionali antipedagogiche e contrarie ai principi costituzionali – che tutelano l’uguaglianza e la rimozione degli ostacoli di ordine economico e sociale che la limitano – si aggiungono gli interventi a gamba tesa contro la libertà di opinione, compresa quella di insegnamento, in nome di strategie securitarie e “della difesa” che contrastano con i principi costituzionali, compresi quelli di salvaguardia della pace e ricerca di risoluzione pacifica dei conflitti internazionali.
Da una parte la scuola viene resa funzionale alle esigenze del mercato del lavoro capitalistico in nome di una presunta “cultura di impresa”. Dall’altra in nome di una “cultura della sicurezza” e una “cultura della difesa”, s’introduce surrettiziamente una commistione fra civile e militare allo scopo di rendere la scuola più funzionale alle esigenze delle forze armate e dell’industria bellica.
Nella testa di qualche ministro del governo Meloni ronza evidentemente una versione aggiornata del famigerato motto “libro e moschetto”, all’insegna del quale il fascismo del ventennio affidava all’istruzione pubblica l’obbligo di trasmettere i punti cardine della sua ideologia – il militarismo, il nazionalismo, suprematismo razziale, la gerarchia sociale, il virilismo e la subordinazione della donna.
Una deriva da fermare con la denuncia, la mobilitazione e la lotta. Recentemente l’Osservatorio contro la militarizzazione delle Scuole e delle Università – una rete nazionale di docenti, ricercatori e studiosi che svolge una meritoria opera di monitoraggio e denuncia – ha inoltrato una “diffida a tutti i Dirigenti Scolastici, in qualità di rappresentanti legali della scuola, dal coinvolgere studenti e docenti in attività in qualunque modo connesse con il mondo militare, compresi i PCTO; dal sottoscrivere protocolli d’intesa con forze armate e di polizia o dal decidere unilateralmente qualunque tipo di attività che vedono coinvolti gli alunni e le alunne, siano esse formative o orientative, senza le opportune delibere degli OO.CC. cui spetta la programmazione didattico educativa d’istituto”.


La proposta di legge sulle “lezioni di antiterrorismo a scuola” dev’essere ritirata. Nelle scuole va ampliata invece l’offerta formativa con progetti di educazione ai valori dell’uguaglianza sociale, l’amicizia tra popoli e gruppi etnici, nazionali e religiosi, della pace, la solidarietà e il dialogo tra persone, paesi e culture. Occorre difendere i principi didattici ed educativi costituzionali, contro l’insinuarsi nella didattica, per passaggi successivi, di provvedimenti che hanno il chiaro scopo di condizionare la vita civile e conculcare le libertà costituzionali facendo ricorso alla paura e alla repressione.
Occorre sostenere la memoria resistenziale nell’istruzione pubblica che, secondo il dettato costituzionale, deve essere rivolta alla formazione di nuove generazioni cittadine e cittadini pensanti, liberi e consapevoli.

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