In ricordo del compagno Pio La Torre

𝐈𝐧 𝐪𝐮𝐞𝐬𝐭𝐚 𝐠𝐢𝐨𝐫𝐧𝐚𝐭𝐚 𝐝𝐞𝐝𝐢𝐜𝐚𝐭𝐚 𝐚𝐥𝐥𝐚 𝐦𝐞𝐦𝐨𝐫𝐢𝐚 𝐞 𝐚𝐥𝐥’𝐢𝐦𝐩𝐞𝐠𝐧𝐨 𝐧𝐞𝐥 𝐫𝐢𝐜𝐨𝐫𝐝𝐨 𝐝𝐞𝐥𝐥𝐞 𝐯𝐢𝐭𝐭𝐢𝐦𝐞 𝐝𝐢 𝐦𝐚𝐟𝐢𝐚 𝐢𝐦𝐩𝐨𝐬𝐬𝐢𝐛𝐢𝐥𝐞 𝐧𝐨𝐧 𝐫𝐢𝐜𝐨𝐫𝐝𝐚𝐫𝐞 𝐢𝐥 𝐂𝐨𝐦𝐩𝐚𝐠𝐧𝐨 𝐏𝐢𝐨 𝐋𝐚 𝐓𝐨𝐫𝐫𝐞.

Di Matteo Bellegoni, Segretario Regionale PCI Liguria

Pio La Torre era nato il 24 dicembre 1927 nella frazione di Altarello di Baida del comune di Palermo da una famiglia di contadini molto povera: il padre palermitano e la madre figlia di un pastore di Muro Lucano (PZ). Giovanissimo, lottando con i braccianti nella Confederterra era finito in carcere. Nel 1952 era diventato segretario provinciale della CGIL Palermo e qualche anno prima nel 1949 , frequentando il Partito Comunista aveva conosciuto Giuseppina Zacco, che aveva sposato un anno dopo e che gli aveva dato due figli, Filippo e Franco. Di lui è rimasta la firma assieme a quella del democristiano Rognoni, sulle nuove “Disposizioni contro la mafia” che introducevano un nuovo articolo nel codice penale, il 416 bis: un passaggio fondamentale per attivare nuovi strumenti nella lotta contro la mafia, sino ad allora non riconosciuta come associazione illegale. L’associazione mafiosa diventava reato punibile con una pena da tre a sei anni per i membri, e da quattro a dieci nel caso di gruppo armato, mentre gli affiliati avrebbero dovuto decadere da eventuali incarichi civili e politici: soprattutto si prevedeva la confisca obbligatoria dei beni realizzati con attività criminali perpetrate dagli arrestati. Dopo varie esperienze parlamentari, in tre legislature, La Torre era tornato in Sicilia, un po’ per sua scelta, un po’ per scelta di partito e, pur non dimenticando che il primo elemento causa della mancanza di libertà dei siciliani era la mafia, aveva individuato l’altro elemento, la presenza degli Americani che, dai tempi dello sbarco alleato non aveva smesso di considerare la Sicilia come un feudo personale, come una sorta di proprietà privata in cui installare micidiali missili per mantenere il controllo del Mediterraneo o mostruosi apparecchi di controllo di qualsiasi comunicazione.

La Torre aveva provato a spostare la montagna prima con la raccolta di un milione di firme e poi con una grande manifestazione a Comiso, il luogo e l’epicentro del potere militare americano. Era nel bel mezzo di questo nuovo fronte di lotta quando Il 30 aprile del 1982, alle nove del mattino, accompagnato dal suo autista Rosario Di Salvo, mentre stava andando con la sua Fiat 132 verso la sede del partito, in via Turba, di fronte alla caserma Sole, fu affiancato da due grosse moto e alcuni uomini mascherati con il casco e armati di pistole e mitragliette li uccisero. La Torre morì subito, Di Salvo riuscì ad estrarre la pistola e sparare alcuni colpi.

Dalle rivelazioni di Salvatore Cucuzza, diventato collaboratore di giustizia, è stato ricostruito il quadro dei mandanti, identificati nei boss Salvatore Riina, Bernardo Provenzano, Pippo Calò, Bernardo Brusca e Antonino Geraci, detto Nenè e i nomi degli esecutori Giuseppe Lucchese, Nino Madonna, Salvatore Cucuzza, e Pino Greco.

La Torre è stato uno degli uomini politici siciliani ai quali va tutto il rispetto e l’ammirazione per la fedeltà alle sue idee e a quelle del comunismo, per la sua profonda conoscenza del fenomeno mafiosoe per la sua capacità di spaziare in un orizzonte più vasto per fare del Mediterraneo un mare di pace. In questo suo pensiero è racchiuso il senso della sua battaglia: Se si vuole assestare un colpo decisivo alla potenza della mafia occorre debellare il sistema di potere clientelare attraverso lo sviluppo della democrazia, promuovendo la mobilitazione unitaria dei lavoratori, l’autogoverno popolare e la partecipazione dei cittadini al funzionamento delle istituzioni democratiche.

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