I comunisti e l’eredità di Enrico Berlinguer

Ricorre oggi il 40°anniversario della morte di Enrico Berlinguer, Segretario Nazionale del Partito Comunista Italiano, una figura tra le più influenti ed iconiche della Prima Repubblica.

Una figura molto popolare, rispettata dagli avversari politici (emblematico quanto accaduto in occasione dei funerali seguiti alla sua prematura, drammatica scomparsa) ed amato dai militanti del suo partito, quel P.C.I. che, con lui segretario nazionale, ha raggiunto i livelli di consenso, anche elettorale, che conosciamo (oltremodo significativo quel 34,4% registrato alle elezioni del 1976, che ne fece il secondo partito italiano dopo la Democrazia Cristiana, superata alle europee del 1984, poco dopo la sua morte, con il 33,3% contro il 33% .

Un risultato, quest’ultimo, per tanti dovuto, almeno in parte, all’ondata emotiva determinata dalla sua morte, di certo l’ennesima testimonianza della sua popolarità, dell’ammirazione che tanta parte della popolazione italiana nutriva nei suoi confronti (la partecipazione popolare, di massa  ai suoi funerali, il 13 Giugno, dice tanto).
Una figura, quella di Enrico Berlinguer, pienamente immersa nella cultura di massa.

Abbiamo ricordato, ricordiamo la sua azione politica, dopo l’iscrizione al P.C.I. nel 1943, divenuta sempre più forte, incisiva: la ricostituzione della F.G.C.I. nel dopoguerra; l’ingresso in segreteria nazionale nel 1962 e la responsabilità dell’Ufficio di Segreteria e della Sezione Esteri; l’assunzione del ruolo di Segretario Nazionale dal 17 Marzo 1972.
Anni nei quali il P.C.I. è cresciuto, si è dimostrato capace di sviluppare, in relazione alla condizioni date, teorie e prassi specifiche, sino a divenire il maggiore partito comunista dell’occidente.

Un soggetto politico radicato nelle masse popolari, capace di estendere la sua influenza anche in altri ceti sociali, di chiamare a raccolta rilevanti energie intellettuali, di porsi come riferimento per la difesa del sistema dei diritti democratici, per lo sviluppo di quelli sociali e civili.
Una storia, quella del P.C.I., sviluppatasi all’insegna del marxismo e dello sviluppo della sua cultura, sostanziata dal pensiero di Antonio Gramsci prima e di Palmiro Togliatti poi, che attraverso la strategia dell’egemonia, la politica di massa, il partito nuovo, la democrazia progressiva, le riforme di struttura, ha saputo delineare un progetto di transizione democratica al socialismo in un paese avanzato, quella “via italiana al socialismo”che ha trovato nella Costituzione nata dalla resistenza (ne è il programma politico), nel suo modello economico e sociale, un ulteriore importante passaggio.

Una storia che è proseguita sino ad imporre la centralità della “questione comunista”nella politica italiana, e che dopo Luigi Longo con Enrico Berlinguer si è misurata sino alla fine degli anni ’70, purtroppo senza successo, dati i molteplici ostacoli che ha incontrato ( la strategia della tensione, il fenomeno del terrorismo, che la storia ci consente oggi di cogliere in tutta la loro portata, evidenziandone le ragioni, le responsabilità) con il tentativo di portare la questione egemonica a livello del governo del Paese.
Sono parte di ciò le elaborazioni teoriche alle quali il P.C.I. con Enrico Berlinguer è approdato, ad esempio l’eurocomunismo, il compromesso storico, che hanno segnato profondamente il dibattito politico in Italia ed in seno al movimento comunista internazionale.

La stessa questione dell’austerità, da lui posta non come una sorta di voluto ideale pauperismo, come più d’uno ebbe a dire, ma come approccio diverso al tema del consumo, anche quale risposta all’emergere della questione ecologica, oggi di drammatica stringente attualità.
E le politiche di genere, più specificatamente la  questione della liberazione della donna come parte integrante della prospettiva comunista.

E quanta attenzione ha suscitato la “questione morale”, dimostratasi successivamente di drammatica stringente attualità, una questione che in forme diverse anche oggi si impone all’attenzione generale, stretti come siamo in una crisi che è anche etico/morale e che in un rapporto di causa/effetto è parte della crisi della politica.
Con Enrico Berlinguer la questione della diversità dei comunisti si è posta con forza all’attenzione generale e  l’idea, la pratica di un rapporto assai diverso della politica con la “cosa pubblica”, del soggetto partito fortemente ancorato alla funzione attribuitagli dalla stessa Costituzione ne sono espressione.

Siamo di fronte ad una produzione importante, ad un patrimonio che è pienamente parte della storia e della cultura politica del nostro Paese.
Non è questa l’occasione per un approfondimento di merito, ad esso, con spirito critico, il Partito Comunista Italiano al quale abbiamo dato vita nel 2016 si dedicherà a breve, ma certamente per sottolineare come tali elaborazioni si iscrivano nel contesto di un processo che per Enrico Berlinguer aveva comunque quale fine quello del superamento della società capitalista, dell’affermazione di una necessaria società socialista.
Ciò che è accaduto dopo Enrico Berlinguer è cosa nota.

In un contesto sempre più segnato dai processi di ristrutturazione capitalistica, dall’affermazione liberista, si è determinato un quadro di crescente difficoltà che  ha evidenziato tra l’altro un allentamento del rapporto tra il partito e parte della sua base sociale, ed ha cominciato ad affermarsi nel gruppo dirigente “allargato” nel tempo affermatosi,  anche a fronte di una segreteria Natta debole in partenza, l’assunzione del quadro di compatibilità dato, l’idea della immodificabilità del sistema, di quel “pensiero unico” che con la “caduta del muro”, con il crollo dell’URSS ( con tutto il loro carico simbolico) registrerà un’accelerazione.

Dopo 70 anni dalla fondazione del P.C.I. la svolta della Bolognina e poi il congresso di Rimini, la scelta dello scioglimento del partito, di porre fine ad una grande storia politica ed umana.
In nome di che cosa?
Di una prospettiva il cui esito fallimentare, tra PDS, DS, PD si è rapidamente evidenziato, sino a proporsi ad oggi sempre più lontano dal concetto stesso di sinistra.
Abbiamo assistito ed assistiamo alla proposizione di tale percorso come “l’epilogo naturale” della storia del P.C.I., alla quale non era data altra alternativa, e della storia di Enrico Berlinguer come la storia di un uomo onesto, dai modi gentili, mite, che come tale non poteva non piacere a tutti.
Da tale narrazione è espunta la parte politica, quella del comunista Enrico Berlinguer, l’uomo impegnato ad affermare un’altra società.
In ultima analisi siamo di fronte a scelte funzionali a supportare il pensiero unico imperante.

Per noi, che abbiamo scelto di ricostruire il Partito Comunista Italiano, attualizzando una storia che rivendichiamo, e che ha largamente coinciso con la parte migliore della storia del Paese, il pensiero e l’opera di Enrico Berlinguer, un grande comunista italiano, a 40 anni dalla morte, rappresentano un riferimento di assoluto rilievo.

Mauro Alboresi – Segretario nazionale PCI

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