Le bontà cattive

Guardare il Mediterraneo oggi con gli occhi della Storia da’ un senso di angoscia, quasi un groppo alla gola, col suo Adriatico senza più pesci, con i fondali dello Ionio e del Canale di Sicilia cosparsi di cadaveri, i muri eretti alle frontiere, i porti chiusi e le navi bloccate sequestrate in mezzo al mare, gli schiavi che muoiono di fatica e di fame nelle campagne a rendere più economica la nostra caprese.

Non è più tempo di minute contabili giornaliere ma di bilanci complessivi che rimandiamo da troppo tempo.

Era più di seicento anni fa che dalle nostre coste si irradiava la prima grande spinta globalizzatrice verso il mondo che coinvolse tutta l’Europa rinascimentale. Partivano navi cariche di armati e di preti e tornavano cariche di ricchezze e di schiavi. Erano altri tempi.

Ma oggi di tutti gli angoli colonizzati del mondo nuovo l’Africa è l’unico ad esserci stato tanto vicino da poter essere ritenuto il nostro ‘giardino di casa’, rimanendo quasi sempre nelle condizioni in cui abbiamo voluto mantenerla, condizioni che sono, generalmente, peggiori di quelle in cui era prima.

L’Africa che si riversa sulle nostre spiagge è rimasta al palo, non è mai stata illuminata da nessun Illuminismo ne’ liberata da alcuna Rivoluzione francese e, se pensiamo che una delle monete più in uso è il Franco africano a indicare una chiara servitù economica, scopriamo che non è arrivato neppure il novecento. Nessuna nuova Amsterdam o Brasilia o Shangai quindi in quelle terre se non una lunga lista di leader africani assassinati e imprigionati perché volevano crescere, perché volevano l’autonomia da noi.

E se bilancio complessivo deve essere non può riguardare solo la vergognosa contabilità di un colonialismo rinnovato e vigoroso. Vogliamo anche capire che ruolo politico e psicologico abbia avuto quell’internazionale della bontà che ci catapulta ossessivamente ogni giorno, ore pasti, le medesime buone intenzioni da secoli senza apparentemente nulla capire e senza farci capire nulla di quello che accade. Non ci sembra sia servita davvero a migliorare le condizioni dei popoli aiutati. Siamo sempre lì, dopo il Biafra il Ruanda, dopo il Sudan il Sud Sudan, dopo il Congo la Libia, la Costa D’Avorio, la Liberia, la Mauritania, la Somalia e non finisce mai, e siamo al nostro Mediterraneo di oggi. La risposta sembra essere sempre la stessa: dobbiamo essere più buoni. Già ma a questo punto bisogna chiedersi: buoni come?

Lo schema paludoso della bontà che assolve dai peccati non funziona più, si incrina e si denuda nelle sabbie mobili di un sistema complessivo che ha arruolato politicamente la maggior parte delle Organizzazioni Non Governative asservendole ad una complicità in cui, nei casi migliori, la merce di scambio pare proprio essere la possibilità di assolversi. Destabilizzare e affamare degli uni diventa così per gli altri l’occasione imperdibile per essere buoni e aiutare. E va peggio quando lo si fa anche in nome della democrazia perché allora diventiamo davvero incontentabili.

Il dramma del ruolo politico dell’Europa, dell’occidente, in Africa chiama a rispondere tutti, anche i leader, anche i buoni che, in quanto tali, non ritengono di dover rispondere mai di nulla né mai erano stati chiamati a farlo.

Qualche paese, come l’Eritrea, qualcosa ha capito se ha deciso di fare da solo e chiudere i confini alle “missioni”. Perché poi arrivano le multinazionali e noi non si conta più nulla, dicono. E, manco a dirlo, è l’Eritrea a comparire in cima alla lista dei cattivi. Lo schiavismo stesso si è evoluto: del resto perché andare a caricare schiavi razziandoli dall’entroterra quando basta bruciargli il villaggio dieci volte perché poi siano loro stessi a pagarti per poter venire a fare gli schiavi qui? E, di nuovo, c’è chi, tra i mercanti, riesce pure a farci bella figura risultando essere il paladino del mondo senza frontiere. Il Mediterraneo di oggi rappresenta il cortocircuito di quella formula che appariva perfetta in una relazione con l’Africa che ci vedeva arricchiti, buonissimi e progrediti mentre oggi pare non salvarsi più nessuno. Le distanze si sono accorciate, l’Africa non è più lontana dagli occhi, non regge più fare i democratici in Europa ed i fascisti là. Oggi lo si vede, lo si tocca: fascisti in Africa fascisti ovunque. Verrebbe quasi da chiedere scusa per queste righe, per la sbrigatività, l’ingenerosità verso attivisti splendidi che ognuno di noi conosce, ma il minuetto davvero non lo si regge più. Viene da chiedersi, per ogni volta che ci coglie un impeto di altruismo verso gli africani, verso gli immigrati, ma di quale delle innumerevoli liste di ‘buoni’ stiamo facendo parte, ma è una bontà veramente buona o una bontà cattiva? Abbiamo denunciato il colonialismo, abbiamo sfilato in difesa di Gheddafi, Sankarà, Gbagbo, o non ci è interessato mai sorbendoci volentieri le versioni del colonialismo perbenista?

Centinaia di milioni di vittime, l’arretratezza forzosa mantenuta per secoli, escludono per decenni futuri che si possa parlare delle nostre qualità, anzi sembrano escludere che in gioco ci sia stata mai una qualsiasi nostra sensibilità’ positiva. Per fortuna niente in quel continente aspetta più il nostro intervento, tocca agli africani, ad altre culture politiche, ad altri paesi.

di Lamberto Lombardi, segretario PCI di Brescia

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