Manovra, Steri: forzato dogma austerity, ma ben poco da festeggiare

Chiassose polemiche e alte grida d’allarme ha suscitato l’approvazione di una manovra economica che prevede il 2,4% di deficit in rapporto al Pil, percentuale imposta dal duo Di Maio/Salvini  i quali hanno avuto la meglio sul Ministro Tria che auspicava un più contenuto 1,9%. Si tratta di polemiche e grida allarmistiche ottuse e degne di miglior causa, orchestrate da un’ortodossia europeista piddina  clamorosamente smentita perfino dalla dichiarazione del Commissario Ue agli Affari economici Pierre Moscovici  il quale, pur confermando l’avversione di Bruxelles per le spese in deficit, ha fatto intendere a chiare lettere di non avere alcuna intenzione di aprire una crisi tra l’Ue e l’Italia. Oltre tutto, si sta parlando di un disavanzo che non si discosta affatto da quelli praticati negli ultimi anni dai governi di centro-sinistra; e, in ogni caso, andrebbe salutato non negativamente ogni tentativo di forzare il dogma neoliberista e antipopolare dell’austerity  per garantire un minimo di ossigeno alle politiche sociali.

L’attenzione critica andrebbe piuttosto focalizzata proprio su quest’ultimo punto, la destinazione della spesa, oltre che sull’esigua entità del medesimo beneficio di bilancio. C’è infatti ben poco da festeggiare, come hanno fatto i militanti 5stelle, se le risorse spuntate dovranno servire a finanziare revisioni della politica fiscale all’insegna della “flat tax”. Inoltre, per un vero rilancio di politiche espansive e investimenti, occorrerebbe qualcosa più che un contenzioso su mezzo punto percentuale. Ma questa è un’altra storia: quella della rottura con questa Unione europea e gli orientamenti dei suoi tecnocrati.

di Bruno Steri, Segreteria nazionale PCI e Resp. Economia

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