Rompere i vincoli europei per rilanciare lavoro e servizi pubblici

 

di Lucia Mango, Segreteria nazionale PCI e responsabile nazionale Lavoro

 

L’ultima rilevazione dati Istat sul lavoro fotografa una situazione allarmante: la disoccupazione al 10%, crollano i contratti a tempo indeterminato, il tasso di disoccupazione giovanile si attesta sopra il 31%.

Silenzio. Un assordante silenzio quello del governo e degli organi di stampa.

Per noi comunisti l’emergenza del paese è questa.

Questa è la ragione per cui dovremmo scardinare i vincoli imposti dai trattati europei, questa è la ragione per cui un governo che sta dalla parte di chi lavora e dei giovani dovrebbe uscire dall’UE e lavorare per un’altra Europa, per un patto tra i paesi del mediterraneo e cominciare a ragionare su un’altra possibile moneta comune.

Un paese come il nostro ha bisogno di un grande piano del lavoro da parte dello stato, anche in partnership col privato, per il riassetto idrogeologico e la messa in sicurezza e la manutenzione del territorio, per ripristinare e manutenere il patrimonio storico-artistico, culturale e naturale, per il monitoraggio e la manutenzione delle infrastrutture.  Un piano per il lavoro che rilanci l’istruzione e la sanità pubbliche, assumendo insegnanti e un numero di operatori e tecnici sanitari congruo al fine di far operare i costosi macchinari su turni, consentendo di recuperare gli investimenti e riducendo le liste di attesa.

Un piano che consenta, tramite step temporali e di obiettivi, di riprendere il mano pubblica il polo del credito ed i settori strategici, quali metallurgia e trasporti e infrastrutture.

Un grande piano pubblico, che aumenti i fondi destinati alla ricerca scientifica, che impieghi le eccellenze di questo paese in questo paese, non obbligando le nostre ‘teste migliori’ a dare il loro contributo di intelligenza sempre e solo all’estero. Uno stato che forma scienziati e non li impiega, è uno stato cieco, che non ha la visone del futuro e rinuncia ad essere competitivo.

Vorremmo un governo che lanci un piano per il lavoro che  garantisca occupazione ai giovani, salari dignitosi e certezza del futuro e che consenta la permanenza nel mondo del lavoro a chi vive situazioni di crisi nel settore in cui lavora.  

Un paese come il nostro non può e non deve continuare a subire una disoccupazione che non ha ragion d’essere, viste le risorse che ha da mettere a valore in ogni zona del paese, da nord a sud, senza distinzione. L’investimento sarebbe ingente, certamente, ma recuperato nel medio periodo, in termini di risparmio (basti pensare a quanto sono costati i disastri idrogeologici e le ‘calamità’ dovute a scarsa manutenzione negli ultimi 20 anni) e di ripresa economica, a partire dalla ripresa della domanda interna, passando per il rilancio di una vocazione turistica che questo paese ha in sé ma che non è mai stata sfruttata neppure per un decimo delle potenzialità, per mancanza di capacità di investimento e di visione globale di un patrimonio che potrebbe attrarre tipologie disparate di turisti, ben oltre il turismo classicamente inteso.

In questo senso crediamo che al centro dell’agenda politica del paese debba esserci il rilancio del lavoro, del lavoro stabile e sicuro in nome del quale ha senso riaffermare l’autonomia e la sovranità politica del paese, rispetto a vincoli europei che relegano il paese in una sempiterna recessione che ha, come abituale conseguenza il taglio degli investimenti nei servizi pubblici e nella ricerca. Una recessione che implica continuo impoverimento di chi lavora e regressione sociale e culturale dell’intero paese.

Un governo che volesse davvero segnare un cambiamento, per combattere le gravi questioni sociali che attanagliano il paese,  non fomenterebbe una sterile e pericolosissima guerra tra ultimi al solo fine di nascondere i proprio interessi che rispondono sempre e comunque ai grandi capitali, la propria mancanza di capacità di gestione e lo scarso peso nei consessi internazionali, si preoccuperebbe, anzi, di produrre ‘lavoro buono’ per chi vive onestamente in questo paese, a prescindere dal paese da cui provenga, perché chi lavora onestamente contribuisce al progresso della società in cui vive, ne è parte integrante e necessaria.

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