Traduzione di Marica Guazzora
di José Reinaldo Carvalho*
L’opposizione al governo di estrema destra e la costituzione di un ampio fronte per la democrazia sono le azioni indispensabili e urgenti per tutti coloro che sono impegnati nei destini della nazione. Ma i primi segnali del momento post-elettorale sembrano indicare che il cammino da percorrere sarà tortuoso. L’istituzione del governo di Bolsonaro dovrebbe essere intesa come una convocazione delle forze democratiche, per resistere e lottare con schiettezza e convergenza di posizioni, contro la minaccia fascista e neocolonialista.
È sorta una nuova situazione politica che comporta inevitabilmente dei cambiamenti nel quadro dei partiti. Secondo i propri interessi e le proprie prospettive, ogni partito sta stabilendo la sua posizione sul nuovo governo. Questo sarà un criterio determinante per il coordinamento delle alleanze. Un altro criterio sarà la difesa della democrazia, dei diritti del popolo, della sovranità nazionale. Sono parti inseparabili dello stesso insieme.
Alcune posizioni sono già delineate. Il PMDB, riferisce Il Foglio di S.Paolo nella edizione di domenica 11, “sarà indipendente – e non di opposizione”, la qual cosa permetterà “sia un allineamento per l’agenda economica Bolsonaro, in particolare per quanto riguarda la riforma delle pensioni, sia di lasciare una porta aperta affinché il partito si possa allontanare dal nuovo governo quando lo ritenesse opportuno.” Allo stesso tempo, Michel Temer intraprende movimenti per salvare la pelle, con gesti affannosi, desiderosi di collaborazione con il presidente eletto. Gli manca una sinecura, come un mendicante seduto sul marciapiede in attesa di carità.
ll DEM, golpista attivo prima, durante e dopo l’impeachment, ora si candida ad essere uno dei principali garanti del governo di Bolsonaro. Figura prodiera di questa associazione di destra, il Presidente della Camera pretende di essere una sorta di agente della Repubblica. Al momento, si impegna nelle articolazioni da dietro le quinte per tornare al proprio posto, negoziando il sostegno di Bolsonaro e delle parti della sua base di supporto.
La posizione che ha meritato maggiore risalto fino ad ora, dalla biografia di chi l’ha formulata, è quella di FHC. L’ex presidente, che dal processo di democratizzazione del paese, ha guidato il governo più conservatore, neoliberista e sottomesso, cerca di riorganizzare le forze, ora che il suo partito, il PSDB, è stato inghiottito dal pantagruelico governatore eletto di San Paolo. La novità che presenta è la proposta di creare il “Centro radicale”, che a seconda delle circostanze potrebbe trasformarsi in un partito. Tuttavia, la designazione così pomposa può coprire solo l’intenzione di organizzare politicamente, su nuove basi, la “destra radicale riciclata”, un altro settore di espressione politica delle classi dominanti che farà una tollerante e tollerata opposizione al governo Bolsonaro. Tutto indica che la nuova articolazione, sebbene sia configurata come una spaccatura importante nel blocco dominante, non nasce con una vocazione di difendere le cause democratiche e patriottiche, ma la sua dimensione sarà il grado di impegno per tesi neoliberiste e conservatrici, di cui l’esempio più recente è stata la campagna elettorale di Geraldo Alckmin, caratterizzata da contenuto, toni e forma reazionari.
Tra le forze del centro-sinistra l’ambiente è ancora di disorientamento. Ciro Gomes, relegato al terzo posto nelle elezioni presidenziali e omesso nel secondo turno, sconfitto su tutta la linea, concentra il fuoco del suo attacco sul PT, facendo oggettivamente il gioco della destra. Si deve alzare la voce della ragione nel partito che porta l’eredità di Getúlio e Brizola, per contenere gli slanci del suo nuovo capo.
Il PSB, dopo aver vissuto un’esperienza come partito golpista , è tornato di recente alla convivialità delle forze democratiche. Ha proclamato che da ora è in opposizione al presidente eletto, notando che non intende rendere il governo irrealizzabile, mescolando ciò che considera la difesa dei valori democratici con i segnali di dialogo. C’è un delicato equilibrio nel partito. Durante la campagna elettorale, alcuni dei suoi candidati a governatore hanno lanciato ponti a destra e all’allora candidato Bolsonaro.
La situazione politica nel periodo post-elettorale presenta nuove sfide per le forze di sinistra, la prima delle quali è quella di esercitare l’opposizione a tutto campo contro il governo Bolsonaro. Parole concilianti, messaggi di dialogo, patti di buona convivenza con il presidente eletto, accenni a votare in futuro linee guida specifiche “convergenti”, “di interessi nazionali e popolari,” stima di successi “al pilota”, comporterebbero solo confusione, perplessità , paralisi e la distruzione sul nascere di qualsiasi sforzo in favore di un vasto fronte per la democrazia.
E’anche malsano il tentativo intrapreso da settori del centro-sinistra di creare un fronte di resistenza e di opposizione respingendo il PT, o l’esclusione di esso, una mossa per costruire una serie di forze che non sarebbe né nella forma né nella sostanza un fronte, ma un punto di convergenza di forze centriste, oggettivamente al servizio della destra e volte a spianare la strada a nuove avventure elettorali, basate su ambizioni personali, o gruppi separati dagli interessi nazionali e popolari.
Nonostante tutto questo, è necessario insistere che nulla è più importante e urgente per l’opposizione democratica, patriottica e popolare che la realizzazione di intese volte a costruire un fronte per la democrazia, che sia sufficientemente ampio e inclusivo di tutte le forze che si oppongono alla minaccia neofascista.
La sinistra avrà bisogno di pazienza storica e discernimento per non perdersi in discussioni estemporanee e scontri legati all’egemonia, alla leadership e alle prospettive elettorali a breve e medio termine. Deve ancora essere costruita la struttura delle forze delle future battaglie elettorali. Pretendere di affrontarla ora artificialmente si tradurrebbe in dissipazione di forze e di organizzazione. È qualcosa su cui tutta la sinistra dovrebbe riflettere.
C’è una minaccia antidemocratica da considerare in tutta serietà. La persecuzione a sinistra non si fermerà nel Partito di Lula e Gleisi. La famiglia che da Barra da Tijuca comanda il paese dalla notte del 28 ottobre, ha incluso nello script delle sue azioni antidemocratiche un progetto di legge anticomunista che criminalizza le attività, i nomi e i simboli del socialismo e del comunismo. Sarebbe imprudenza e auto-inganno non comprendere il significato di termini come “mandare i rossi alla fine della spiaggia” e la minaccia di punirli “con l’arresto o l’esilio”, come è stato detto un paio di giorni prima del voto del secondo turno. O la minaccia di considerare come terroristiche le organizzazioni sociali dedite alla difesa dei diritti del popolo, come il MST e l’MTST.
Nella costruzione dell’unità e del fronte per la democrazia, dobbiamo anche considerare l’organizzazione popolare e l’unione delle forze di sinistra, la presenza di sindacati e movimenti sociali, nell’ambito di Brasil Popular e Povo sem Medo.
(*) Giornalista, direttore di Resistencia e direttore di Celebrapaz – Centro Brasiliano di Solidarietà con i Popoli e Lotta per la Pace