I VICERE’

di Lamberto Lombardi, Membro del CC del PCI

Che un ministro dell’Economia della Repubblica, durante un dibattito in sede parlamentare, definisca comiche le preoccupazioni in merito ad un trattato economico europeo dalla valenza altamente strategica (il MES) è solo l’ultimo degli insulti formali e sostanziali che viene rivolto al popolo italiano da uno dei suoi massimi rappresentanti.

Non ha ritenuto, questo ministro, di ritenere eccessive o infondate le preoccupazioni espresse, no, le ha ritenute comiche, a indicare quel divertimento che provano gli aristocratici a fronte dell’agitarsi delle plebee pulsioni a cui nessuna spiegazione si deve. E’ un comportamento che definisce la sua appartenenza ad altro ceto sociale, ceto con propri interessi ben distinti dai nostri e che, con ogni evidenza, ritiene di ben tutelare sottomettendo l’Italia alla gogna economica rappresentata dal Meccanismo Europeo di Stabilità.

Individuato, con aristocratico fiuto, chi guida il vapore questo ceto non trova altra soluzione che quella antica di accodarsi per garantirsi.

Dopo ventisei anni dal trattato di Maastricht, anni in cui abbiamo potuto misurare la difficoltà di rappresentanza politica che questo nostro popolo ha patito e patisce in sede europea e internazionale, difficoltà che ci hanno visto passare dai primi sei paesi industriali al mondo al diciottesimo posto in Europa per pil pro capite, non esiste altra spiegazione, per chi pronunci tali parole di spregio, che egli risponda ad altri e non a questo Paese.

Ventisei anni di politica rococò, tra effimero e follie, passati a discutere di sicurezza, immigrazione, leggi elettorali, fedeltà atlantiche, europeiste e di privatizzazioni, sono la rappresentazione di una classe dirigente che ha deciso di far passare in secondo piano gli interessi dello Stato in ognuno dei passaggi nodali di ordine politico economico nazionale e internazionale, rumorosamente accodata ora ai grandi interessi privati ora alle nazioni guida, nell’unico intento di salvare se stessa accreditandosi, per sottomissione, come i vicerè di un tempo presso i monarchi imperiali. 

Un agitarsi smodato e progressivo che strappa il tessuto della nostra convivenza civile, dalla risoluzione europea che nega la storia del novecento e umilia l’Anpi, al protendersi servile verso la legittimazione dei colpi di stato e delle repressioni in America Latina che compromette l’immagine e il significato della nostra democrazia, all’esibire la propria disciplina sugli embarghi criminali decretati contro altri popoli che mettono sotto una luce sinistra il nostro umanitarismo, e, infine, all’accettazione dei dispositivi europei in materia economica che disegnano un continente di cui saremo, meritatamente par di capire, colonia e non partecipi. 

Lo sciagurato contesto in cui la discussione di cui si parla sta avvenendo è segnato di innumerevoli strumentalità, tra chi dice la cose giuste ora e non l’ha mai dette prima per mero calcolo di bottega, tra chi si è preventivamente smarcato dalla responsabilità di governo chiarendo subito di rispondere ad altri che non sono in quel consesso e mentisce, tra chi pare aver capito che non c’è più nulla da fare e, divertito, mentisce pure lui. Solitari ed azzannati paiono quei rari ministri del M5S che ritengono di dover rispettare il giuramento fatto all’atto del loro insediamento. 

La drammatica quantità di nodi che giungono al pettine non trovano ormai interpreti adeguati. Il nostro declino industriale è lo specchio dello smantellamento del nostro ruolo politico e qualsiasi prospettiva di rinascita non trova protagonisti e pare senza speranza. Nazionalizzare? ma con quale cultura di amministrazione statale? con quale personale tecnico? con quale strategia se non si è in grado di nazionalizzare nemmeno Autostrade a fronte di carenze criminali e conclamate incamerando una struttura che ha sempre generato solo utili? E, soprattutto, con quale popolo?

Qualsiasi provvedimento si renda necessario è evidente che dovrà portare allo scontro con questo blocco sociale, egemone come non mai, blocco sociale in grado di dettare le proprie parole d’ordine anche alle piazze convinte di esprimersi liberamente per sacri valori, magari per l’ambiente o per il ‘restare umani’.

Eppure questo sarebbe il momento per unirsi ad altri popoli che si alzano e chiedono ruolo, giustizia e udienza. Il disordinato e disperato agitarsi dei nostri vicerè si spiega con la notizia che circola nelle case come nelle capanne dell’altro mondo: la storia non è finita. Una volta ci saremmo uniti ad essa. E avremmo saputo cosa dire sul MES.

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