Le stragi sul lavoro non si fermano neanche durante le epidemie

di PCI Carpi

Le stragi sul lavoro non si fermano neanche ai tempi dell’emergenza coronavirus. Samuel Remel, operaio di 41 anni, era dipendente della cooperativa CSA di Mantova, che ha un appalto presso la Opas (ex Italcarni). Samuel è morto martedì, all’interno dello stabilimento, trascinato dentro la macchina che stava pulendo. Peggio della dinamica dell’incidente ci sono solo le dichiarazioni che il direttore dell’Opas ha fatto al Resto del Carlino: «È stata una tragica fatalità, forse causata da un eccesso di zelo». Poi ci rassicura: «Faremo cinque minuti di silenzio e una colletta per la famiglia».

Ecco che l’azienda di lavarsene le mani addossando la colpa della morte al lavoratore stesso. Ma i lavoratori non si sono fatti ingannare, e hanno scioperato sia mercoledì che la mattina di giovedì. La CGIL è chiara: «Fatalità? Qualche mese fa un altro lavoratore si è infortunato». Per saperne di più, ne abbiamo parlato con il coordinatore provinciale del SiCobas, sindacato di base a cui era iscritto Samuel.

«Non possiamo accettare che venga colpevolizzato il lavoratore. Durante il turno di lavoro ci deve essere sempre qualcuno che rimanga in contatto visivo o uditivo con il lavoratore e la macchina deve avere impedimenti tecnici che rendono impossibile l’errore umano, perché un qualsiasi malore può portare al peggio. Questa accortezza non c’è stata, Samuel è stato ritrovato in una posizione che difficilmente si spiega altrimenti. Il nastro, nonostante sia molto lento, lo ha inghiottito quasi interamente. Vuol dire che nessuno ha potuto vederlo o sentire i suoi lamenti. La colpa, gravissima, è sia dell’azienda committente (Opas) che della cooperativa. Queste aziende hanno obblighi specifici di tutela che però non sono stati osservati.»

Non ci sono dubbi. Samuel è tre volte vittima. Vittima della mancanza di sicurezza sul posto di lavoro. Vittima del sistema di appalti che permette all’azienda di sfruttare i lavoratori fino al midollo. Vittima dell’imperialismo che l’ha costretto ad abbandonare il Ghana e lasciare lì moglie e figli, per poter sperare di sostenerli con un lavoro in Italia. Ma non è vittima, di questo siamo sicuri, del suo troppo zelo. Condanniamo le dichiarazioni dell’azienda ed esprimiamo tutta la nostra solidarietà alla famiglia e ai lavoratori Opas.

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