La sconfitta di Macron alle amministrative e il ritorno dei partiti militanti. Tenuta dei comunisti.

di Lorenzo Battisti, Dipartimento Esteri PCI

E’ sempre difficile trarre dalle elezioni amministrative delle conclusioni valide a livello nazionale. E’ ancora più difficile in Francia, un paese che ha la stessa popolazione dell’Italia ma che ha 36’000 comuni (contro i nostri 8’000), in cui il voto è spesso sparpagliato in piccolissime liste locali di piccolissimi comuni.

Inoltre nelle elezioni amministrative cresce il peso della conoscenza diretta dei candidati e la formazione di liste unitarie anche tra partiti che a livello nazionale non si presenterebbero assieme. Ciononostante si possono tirare alcune indicazioni, tenendo conto che oggi, a differenza del passato, si vota come si consuma, cioè seguendo mode del momento o gusti passeggeri, che possono modificarsi radicalmente al voto dell’anno successivo, magari grazie all’abile risposta comunicativa di un partito.

Ritornano i partiti. Ritornano la destra e la sinistra.

L’astensione è stata molto più forte di quella delle altre amministrative, Domenica ha votato solo il 41%, sebbene le amministrative abbiano sempre un tasso di partecipazione più alto. Da un lato ci sono ragioni di sfiducia verso le istituzioni democratiche e la loro efficacia, ma ci sono anche paure sanitarie: secondo un sondaggio il 65% di chi non è andato a votare lo ha fatto per paura di ammalarsi. E a ragione.

Il primo turno era stato mantenuto a metà Marzo, causando tra l’altro la morte di alcuni sindaci eletti che quindi non poterono entrare in carica.
Se si osserva il voto si possono trarre alcune conclusioni generali. La prima è il bisogno di rinnovamento chiesto dai francesi, che sembrano chiedere nuovi volti per una nuova fase della politica e della società francesi.

La seconda indicazione è che i partiti tradizionali non sono affatto scomparsi, al contrario. Socialisti, comunisti e la destra sono quelli che vincono i ballottaggi, mentre le formazioni nuove ottengono risultati pessimi: sia Macron che Mélenchon che il partito della Le Pen, il Rassemblement National, non hanno alcun ancoraggio locale. Si tratta di partiti nuovi, totalmente basati sulla comunicazione invece che sulla militanza e che quindi hanno un seguito tra la popolazione pari all’ultimo
yogurt lanciato sul mercato.

La terza infine è che l’asse destra-sinistra (che esiste sempre) è stato
ristabilito anche a livello elettorale. I partiti che cercavano di prendere i voti in tutto lo spettro politico dichiarando che quelle divisioni non esistevano più (Macron) o che il loro partito era oltre la destra e la
sinistra (Mélenchon e Le Pen) sono andati molto male. In particolare Macron è stato posizionato in maniera evidente all’interno dello spazio politico della destra, decidendo di schierarsi in tutti i ballottaggi a favore dei candidati di destra.

Riguardo ai risultati di questo secondo turno, l’avanzata dei Verdi è evidente, un’avanzata che conferma quella delle Europee. Sarà verde il sindaco di grandi città come Lione, Marsiglia, Strasburgo e Bordeaux,
che si aggiunge a quello di Grenoble acquisito 6 anni fa. In particolare spiccano i risultati di Bordeaux e Marsiglia. La prima è una città estremamente conservatrice, che ha votato per 73 anni a destra. La
seconda fu conquistata oltre 25 anni fa dalla destra e da questa governata senza interruzioni. Proprio qui ci sono state denunce di frode nel voto. Il risultato della lista Primavera marsigliese è significativo perché la
lista, oltre a unire tutta la sinistra (Verdi dissidenti, Ps, Pcf, France Insoumise e al secondo turno anche i Verdi riamasti fedeli al partito) ha saputo mobilitare le forze associative e democratiche della città,
andando al di là del voto tradizionale di sinistra. La vittoria dei Verdi, vista come una vittoria della sinistra da molti in Italia, va colta in diverse sfumature.

Questa formazione (come le altre sue sorelle in Europa e nel mondo) ha una posizione oscillante tra destra e sinistra: solo un anno fa i verdi discutevano
su possibili alleanze con la destra (come accadeva per esempio in Austria). O in passato sindaci verdi hanno compiuto atti contro la memoria storica come il tentativo di cancellare Piazza George Marchais in città rubate ai comunisti, con il sostegno della destra (che è come cancellare Piazza Togliatti in un comune italiano).

I socialisti confermano il proprio ancoraggio locale, mantenendo i sindaci eletti e rubandone altri alla destra. Se alle elezioni del 2017 erano caduti al loro livello più basso con circa l’8% dei voti, confermano ora che sono tutt’altro che finiti. In particolare spicca il risultato di Parigi dove la sindaca socialista Hidalgo è rieletta con un’ampia maggioranza. Fino ad un anno fa questa città come altre (Lione per esempio) era data sicuramente per persa in favore della destra. Proprio a Parigi si vede la debolezza del partito dell’attuale presidente, la cui candidata sindaco ed ex ministro della sanità non entra neanche in consiglio comunale.

Viene rieletta anche la sindaca di Lille, Martine Aubry (il ministro del lavoro che diede il nome alla 35 ore settimanali) in un ballottaggio a sinistra con i Verdi. Lo stesso discorso si può fare per i Repubblicani, colpiti nel 2017 da uno scandalo finanziario che portò anch’essi al loro livello più basso.

E che in queste amministrative confermano i propri bacini di insediamento tradizionale.

Il Partito Comunista Francese, come dichiarato dal suo segretario (pubblicheremo nei prossimi giorni la sua dichiarazione), ferma per la prima volta dal 2001 la propria discesa e pone le basi per il proprio
rilancio. I comunisti restano, alla fine dei due turni, la terza forza nazionale per numero di eletti e riescono ad ottenere centinaia di sindaci comunisti. Già al primo turno oltre 1000 consiglieri comunali erano stati eletti in liste comuniste, a cui si aggiungono quelli eletti in liste di unione di sinistra.

Già al primo turno avevano confermato l’elezione diretta in alcuni grandi comuni francesi appartenenti ad aree tradizionalmente rosse. A cui si sono aggiunti in questo secondo turno diverse città riconquistate dopo anni.

Da segnalare anche il ballottaggio a Le Havre tra il primo ministro e il deputato comunista Le Coq: il risultato di questa “Bologna” francese è stato di 54 a 46 per il primo ministro. Sebbene la città non sia stata riconquistata, anche questo risultato mostra il seguito che i comunisti francesi hanno ancora nel loro paese. Una nota negativa è stata la perdita del comune di St Denis, il più grande con un sindaco comunista e governato da questi dalla Liberazione. Il secondo turno si è giocato in un triangolare tra i comunisti (in testa) seguiti dalla lista dei socialisti e da quella di Mélenchon.

Mélenchon avrebbe potuto ritirare la propria lista per favorire l’elezione del sindaco comunista, invece ha preferito mantenerla permettendo
così l’elezione del socialista. Questa scelta si conferma ad ogni elezione: quando un comunista è al ballottaggio, contro un socialista, Mélenchon non ritira mai la propria lista, giocando quindi di sponda con i suoi ex compagni di partito. Spesso i socialisti fanno lo stesso quando un comunista è al ballottaggio con la destra. Al contrario i comunisti si ritirano sempre in favore della lista di sinistra maggioritaria. Alcuni insinuano che Mélenchon sia rimasto fedele ai suoi propositi di gioventù, che enunciò quando era
senatore mitterandiano, di proporsi la scomparsa dei comunisti.

Proprio il suo partito ha mostrato la sua più totale assenza dal livello locale: nessuna lista ha vinto al primo turno o era al ballottaggio al secondo. Nessun dato rilevante in alcuna zona o ad alcun livello nelle città francesi.

I consiglieri eletti sono pochissimi e tutti nelle poche liste di unità a sinistra in cui questi partecipavano.

Un discorso simile si può fare per il RN, che mostra ancora una volta la propria debolezza a livello locale. Come Mélenchon, questo partito basa molta della sua forza sugli spazi mediatici concessi alla sua leader, mancando poi di militanti sul territorio. A questa tornata il RN ha presentato il 30% in meno di liste, un altro segno della mancanza di presenza locale.

E un numero significativo dei suoi 500 eletti non sono nemmeno iscritti al partito (ancora un segno evidente di mancanza di militanti). Il risultato più significativo è la vittoria a Perpignan, città di 100’000 abitanti nel Sud della Francia. Al contempo diversi sindaci RN sono stati confermati al primo turno.

Ma molti sono stati persi, in particolare la presidenza di uno dei municipi di cui è composta la città di Marsiglia, conquistato nel 2014 e segno distintivo dell’affermazione del RN.
L’estrema sinistra (Npa, Lutte ouvriere, Partito Operaio Indipendente Democratico) che spesso viene sostenuta con grandi campagne mediatiche in funzione anticomunista o in favore della destra, hanno ottenuto risultati quasi nulli: 4 eletti per l’NPA (unico risultato significativo a Bordeaux dove il loro segretario ottiene l’11% in una lista d’unione con la France Insoumise), 2 eletti per il POID (di cui uno in una lista del Pcf), 15 eletti per Lutte ouvriere. All’estrema destra, 5 eletti per il partito fondato da Jean
Marie Le Pen, dopo la cacciata dal FN da parte della sua erede Marine.

Conclusioni

Si osserva in definitiva una Francia che riscopre l’asse destra-sinistra. Un asse in cui Macron viene posizionato come parte integrante della destra liberale. La Franca riscopre anche il radicamento dei partiti organizzati tradizionali, a fronte di una leggerezza e debolezza dei partiti leaderistici e basati quindi sulla comunicazione.

Le due crisi, quella del 2008 e quella legata all’epidemia, portano a fidarsi di chi si ha vicino e “si può toccare”. Non più partiti di plastica, ma persone concrete, militanti, strutture territoriali, associazioni di aiuto e solidarietà, sindacati.

Queste tendenza sono ancora provvisorie. L’anno prossimo, in occasioni delle elezioni regionali si potrà verificare tanto la forza di queste, quanto la forza dei vari partiti in vista delle presidenziali del 2022.

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