di Mauro Alboresi, Segretario Nazionale PCI
Nei giorni scorsi, nell’ambito del processo volto alla definizione della proposta di legge di bilancio, sulla quale il Parlamento sarĂ chiamato a pronunciarsi a breve, alcuni esponenti della maggioranza hanno presentato un emendamento volto ad introdurre, tra le diverse possibili misure, anche l’ipotesi di una tassa patrimoniale.
E’ bastato questo perchĂ© si assistesse ad una levata di scudi che oltre alle forze di opposizione ha coinvolto quasi tutte le forze che sostengono il governo Conte, con queste ultime impegnate ad una gara tra Italia Viva, il Partito Democratico ed il Movimento Cinque Stelle per smarcarsi, con le
motivazioni piĂ¹ disparate, da tale ipotetica previsione.
Siamo di fronte ad un’ampia convergenza tra forze di governo e di opposizione avversa a qualsiasi ipotesi di patrimoniale, in ossequio a coloro che ne potevano essere i destinatari, ossia la parte piĂ¹ ricca della popolazione.
CiĂ² conferma il fatto che quel blocco di interessi si ritrova largamente e trasversalmente rappresentato in Parlamento, con buona pace della stragrande parte dei cittadini che quotidianamente si misurano con la gravitĂ della situazione data, largamente riconducibile alle politiche che quelle stesse forze, in ossequio alla cultura liberista dominante, hanno nel tempo messo in campo, determinando una sempre maggiore sperequazione nella redistribuzione della ricchezza prodotta, evidenziando diseguaglianze sempre piĂ¹ marcate.
E’ un dato di fatto che il nostro Paese è stato nel tempo fatto oggetto di politiche che hanno finito con il privilegiare la parte piĂ¹ ricca della popolazione.
Ne è un esempio anche la politica fiscale, il cui gettito grava per oltre l’83% sul lavoro dipendente e sui pensionati.
Quando è nata l’IRPEF, nel 1974, gli scaglioni erano 32, le aliquote applicate crescevano, proporzionalmente al reddito, dal 10% al 72%.
Nel tempo gli scaglioni di reddito sono stati accorpati, oggi sono 5, e sono state aumentate le aliquote relative a quelli piĂ¹ bassi, al 23% la minima, ed a quelli medi, con due aliquote di riferimento, il 27% ed il 38% , e sono diminuite quelle relative ai redditi piĂ¹ alti, oggi al 41% per i redditi da 55000 a 75000 euro ed al 43% per i redditi superiori.
In pratica si è registrato un aumento della tassazione particolarmente elevato sui redditi medio bassi, ed il ginepraio di 150 agevolazioni in essere, tra deduzioni, detrazioni, crediti d’imposta, finisce con il rivelarsi poco o nulla utile, stante la loro condizione, per un terzo dei contribuenti IRPEF, quelli piĂ¹ bisognosi.
Parallelamente le imposte sui profitti hanno registrato un vero e proprio abbattimento: l’IRES è passata dal 34,5% del 2006 al 22% odierno, l’IRAP è stata recentemente dimezzata e l’obiettivo esplicitato dal governo è quello di cancellarla totalmente.
Le poche tasse a carattere patrimoniale esistenti, ad esempio quelle sulle abitazioni (emblematica l’IMU sulla prima casa) sono state oggetto di interventi volte alla loro riduzione, alla loro cancellazione in maniera non selettiva, ancora una volta a tutto vantaggio dei ricchi, così come accaduto con la stessa tassa di successione.
A tale quadro si aggiunge la ripartizione della ricchezza, che riguarda il patrimonio immobiliare e finanziario delle persone, che è altro dal reddito, e che, come evidenziato da diversi organismi di ricerca, ammonta a circa 10000 miliardi di euro, la cui concentrazione piramidale dice tanto circa
l’iniquitĂ della sua distribuzione.
Il 20% piĂ¹ ricco degli italiani detiene infatti circa il 70% della ricchezza nazionale, un ulteriore 20% risulta titolare di circa il 17%, mentre il restante 60% possiede appena il 13% della stessa.
E’ un dato di fatto che il 10% piĂ¹ ricco degli italiani possiede oggi, in termini patrimoniali, oltre sei volte la ricchezza della parte piĂ¹ povera della popolazione.
L’insieme delle politiche su richiamate hanno comportato rilevanti minori entrate per le casse dello Stato, che ha risposto al proprio fabbisogno ricorrendo all’indebitamento nei confronti di un sistema finanziario, nel frattempo privatizzato, al quale finisce con il pagare cospicui interessi.
Alla progressiva crescita del debito sono seguite ad oggi politiche di tagli alla spesa pubblica, segnatamente in direzione del welfare, di servizi e prestazioni a scapito dei meno abbienti, in altre parole dei soliti noti.
Quelle stesse forze politiche che si oppongono alla introduzione di una patrimoniale, chiamate a rispondere alla situazione data, prospettano, nel caso del centrodestra una unica aliquota fiscale al 15%, della quale si avvantaggerebbe ancora una volta la parte piĂ¹ ricca della popolazione, mentre il governo propone di passare da 5 a 4 scaglioni IRPEF accorpando le aliquote della cosiddetta classe media oggi al 38% ed al 41% in una unica fissata al 36%.
Sul piano generale noi pensiamo che serva ben altro: una riforma fiscale organica, che ridefinisca in senso assai piĂ¹ progressivo scaglioni ed aliquote fiscali di riferimento, semplifichi il sistema delle agevolazioni realmente a favore dei meno abbienti, reintroduca una adeguata tassa di successione, e
soprattutto affermi una tassa patrimoniale progressiva sulle grandi ricchezze immobiliari e finanziarie.
Tale proposta di patrimoniale, del resto, è parte del dibattito che investe diversi paesi, i cui governi, si pensi alla Spagna, si sono già favorevolmente orientati al riguardo.
A fronte della situazione data, acuita dalla crisi in atto, servono ingenti risorse, volte a dare risposte a chi ne è colpito ed a determinare le condizioni per uscirne, risorse che non debbono essere trovate
scaricando sulle nuove generazioni altro debito pubblico, una logica che caratterizza per tanta parte anche il cosiddetto recovery fund messo in campo dall’Unione Europea, nonchĂ© il MES, ma attraverso una politica fiscale che chiami a contribuire innanzitutto coloro che vivono condizioni di privilegio.
Anche da qui passa una battaglia volta a combattere le diseguaglianze cresciute a dismisura nel corso di questi anni, a garantire una societĂ piĂ¹ solidale, giusta.