Nazionalizzare la Bekaert e inserirla in una filiera pubblica dell’acciaio

di Lorenzo Cosimi, PCI Toscana

La deindustrializzazione della Toscana in vari settori strategici è sotto gli occhi di tutti. Esemplare, nel senso negativo del termine, è la vicenda dello stabilimento “Bekaert” di Figline Valdarno. In oltre trenta mesi di vertenza l’azienda e gli attori istituzionali non hanno portato alcun piano di reindustrializzazione sul tavolo delle trattative.

L’unico piano presentato ufficialmente è stato quello di una cooperativa creata appositamente da un gruppo di lavoratori, che di fatto non è stato preso in considerazione.
La multinazionale olandese “Bekaert”, che ha chiuso la fabbrica di Figline per delocalizzare la produzione in Romania (dove il costo del lavoro sarebbe 1/6 di quello italiano), ha comunicato che non intende avvalersi della cassa integrazione Covid (a costo zero per l’azienda) e di voler procedere con i licenziamenti, perché non vede prospettive di reindustrializzazione. In realtà per scongiurare ogni possibilità di concorrenza.

L’unica soluzione alternativa alla chiusura definitiva dello stabilimento e che permetta la riassunzione dei più di cento dipendenti rimasti è un intervento industriale pubblico, statale e/o regionale, che inserisca la produzione dello “steel cord” (la cordicella metallica per gli pneumatici, prodotta dai lavoratori del sito di Figline fino alla sua cessazione) nell’ambito di una filiera dell’acciaio regionale e nazionale, pubblica e integrata.
Il Presidente della Regione Toscana, Eugenio Giani e la sua Giunta devono passare, anche su questo, dalle parole ai fatti.

La Costituzione e le leggi permettono allo Stato un potere d’intervento rilevante, per porre termine a una situazione che vede i lavoratori ostaggio di multinazionali sensibili solo al proprio tornaconto e che beffano lo Stato con le loro promesse non mantenute e le costanti richieste di denaro pubblico in cambio di niente.
La produzione dell’acciaio va difesa come ambito essenziale per la sovranità dell’Italia.

Solo un’acquisizione e gestione pubblica e democratica degli impianti produttivi, che veda la partecipazione attiva delle rappresentanze dei lavoratori, può garantire benefici economici alla collettività, la difesa e l’incremento dei posti di lavoro, il risanamento ambientale e la riconversione ecologica della produzione.

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