di Alex Höbel, Responsabile Dipartimento Cultura e Formazione PCI
84 anni dopo la scomparsa di Antonio Gramsci, il suo contributo resta fondamentale nella cultura politica del comunismo italiano, e non solo. Gramsci, infatti, non fu soltanto uno dei protagonisti della costituzione del Partito comunista d’Italia, ma anche e soprattutto il principale artefice della sua trasformazione dal partito rigidamente omogeneo, dei “pochi ma buoni”, voluto da Bordiga, in una forza capace di fare politica e lanciare la sua sfida egemonica, prima all’interno del movimento operaio italiano, poi rispetto al Paese nel suo complesso.
Il ripensamento documentato nel carteggio del 1923-24 con gli altri esponenti del vecchio gruppo ordinovista, cui si era aggiunto Mauro Scoccimarro, si affianca a una netta critica a Bordiga su tre punti fondamentali: la concezione del partito, la tattica e la strategia da utilizzare in Italia, il posizionamento nel dibattito in corso nella Terza Internazionale.
Nella celebre lettera da Vienna del 9 febbraio 1924, per la prima volta Gramsci accenna alle differenze morfologiche tra “Oriente” e “Occidente” e alla necessità di una strategia più complessa e articolata da parte dei comunisti che operano in paesi capitalisticamente sviluppati. Tre giorni dopo, esce il primo numero de “l’Unità.
Organo degli operai e dei contadini”, testata voluta da Gramsci proprio per indicare chiaramente l’obiettivo della ricomposizione delle classi lavoratrici viste come “forze motrici” della rivoluzione in Italia; ricomposizione che deve riguardare anche il piano politico, passando quindi per quella fusione coi terzinternazionalisti del Psi che invece Bordiga contrasta.
Leninisticamente, Gramsci inizia a porre al Pcd’I l’obiettivo della conquista della maggioranza delle classi lavoratrici e più in generale “del popolo italiano” (Contro il pessimismo, “l’Ordine Nuovo”, 15 marzo 1924, ora nell’antologia a cura di Ruggero Giacomini A. Gramsci, Scritti sul Partito). È l’obiettivo che ripropone al convegno di Como, che vede riuniti i segretari delle varie federazioni, inizialmente molto restii ad abbandonare le posizioni “di sinistra” sostenute da Bordiga.
Ma Gramsci, affiancato da Togliatti, con un lungo lavoro molecolare, riesce infine a conquistare il partito alle sue concezioni. E tali concezioni implicavano anche una trasformazione del partito stesso, che doveva “attrezzarsi in modo da diventare idoneo alla sua missione storica”, costituendo cellule “in ogni fabbrica, in ogni villaggio”; cellule che sapessero “lavorare politicamente”. “Dobbiamo diventare un grande partito – afferma Gramsci nella relazione a CC dell’agosto 1924 –, dobbiamo cercare di attirare nelle nostre organizzazioni il più gran numero possibile di operai e contadini rivoluzionari per educarli alla lotta, per formarne degli organizzatori e dei dirigenti di massa, per elevarli politicamente”. L’idea del partito di massa, che sarà poi sviluppata dal 1944 in avanti da Togliatti, e anche quella della sua azione pedagogica ed emancipatrice, sono di fatto già in nuce in queste affermazioni.
Analoga attenzione Gramsci riserva alla politica delle alleanze, anch’essa di fatto respinta da Bordiga. Anche qui richiamandosi a Lenin, il comunista sardo sottolinea come il leader bolscevico abbia “insegnato che per vincere il nostro nemico di classe, che è potente, che ha molti mezzi e riserve a sua disposizione, noi dobbiamo sfruttare ogni incrinatura nel suo fronte e dobbiamo utilizzare ogni alleato possibile, sia pure incerto, oscillante e provvisorio. Ci ha insegnato che nella guerra degli eserciti, non può raggiungersi il fine strategico […] senza aver prima raggiunto una serie di obiettivi tattici tendenti a disgregare il nemico prima di affrontarlo in campo” (Massimalismo ed estremismo, “l’Unità”, 2 luglio 1925, pure in Giacomini, op. cit.).
Sono intuizioni che Gramsci svilupperà poi nei Quaderni, allorché, ponendosi ancora una volta sulla scia del “più grande teorico moderno della filosofia della praxis”, ossia appunto “Ilici”, elaborerà una concezione complessiva, quella strategia dell’egemonia che informerà la teoria e la prassi del comunismo italiano nei decenni successivi e che ancora costituisce un punto di riferimento essenziale per chi voglia cambiare lo stato di cose presente operando in società articolate e complesse.
Leggendo il compagno Hobel, sembra si sia aperto un dibattito nel partito sulla sua strategia e tattica. E’ ciò che speravamo di ottenere con la nostra iniziativa di entrare in una coalizione (non alleanza) in vista delle elezioni amministrative di Imola, città di 70.000 abitanti da riconquistare dopo 14 mesi con una sindaca M5S eterodiretta dalla Lega. Ora c’è un COMUNISTA, riconosciuto come tale, eletto in consiglio comunale nella lista “Imola Coraggiosa”.
Allora perché avete espulso sei compagni e indotto altri quattro (dieci su undici della sezione “G.Zappaterra” di Imola)ad abbandonare il partito ?