Cent’anni dopo.

Il film sul centenario del Pci sarà presentato a Catania il 1° ottobre

di Salvatore Tinè

Il film di Monica Maurer e Milena Fiore Cent’anni dopo (che sarà proiettato il 1° ottobre alle 20 a Catania, presso l’associazione Gammazita, su iniziativa della sezione “Olga Benario” del Pci) ha il merito di ripercorre, efficacemente, in un racconto affidato soprattutto alle immagini, alla concreta fisicità della loro verità storica, la lunga e complessa vicenda del Partito comunista italiano, cent’anni dopo la sua nascita al Congresso di Livorno il 21 gennaio del 1921 e insieme trent’anni dopo il suo drammatico scioglimento, deciso dalla maggioranza del suo gruppo dirigente su iniziativa del suo ultimo segretario generale, Achille Occhetto.

La rapida successione e l’efficace montaggio delle immagini lungo le quali si snoda il film ci mostrano la storia del PCI nel suo concreto svolgimento, nel suo rapporto profondo con la storia della nazione e della democrazia italiane, ma anche come un processo sostanzialmente unitario lungo il quale il piccolo ma combattivo partito di “rivoluzionari di professione” nato a Livorno, sull’onda della Rivoluzione d’ottobre, viene via via trasformandosi prima nella principale forza di opposizione al regime fascista e poi con la Resistenza e la nascita dell’Italia repubblicana in un grande partito nazionale, di massa e di popolo, protagonista decisivo delle più grandi battaglie democratiche e sociali della classe operaia e dei lavoratori che hanno segnato la vicenda della democrazia italiana, facendo di essa, per una intera fase storica, non una riedizione del vecchio stato borghese liberale ma una democrazia avanzata, progressiva.

Ma alle immagini si accompagna una voce narrante, discreta ma significativa, quella di un militante comunista, una voce dunque interna alla soggettività collettiva, politica e di massa, alla vita quotidiana di quella vera e propria comunità umana che fu il PCI, di cui essa si fa, per così dire, immediata portavoce, diretta espressione, ma anche ricordo vivo, memoria condivisa.
Come opportunamente ricorda Aldo Tortorella, in uno dei suoi interventi inseriti nel racconto del film, il partito nato a Livorno come avanguardia del proletariato, sezione italiano di quel vero e proprio partito mondiale centralizzato che fu la III Internazionale, si trasformava già al suo III Congresso, svoltosi a Lione nel 1926, soprattutto per merito di Antonio Gramsci, diventatone in quell’occasione segretario, in una parte della classe e quindi delle masse lavoratrici nel loro insieme. Sono in particolare le immagini dei funerali di Togliatti, in una citazione da una delle più belle sequenze dell’intero cinema di Pier Paolo Pasolini a restituirci con la massima evidenza e insieme con una straordinaria intensità emotiva, questo rapporto organico, profondissimo, perfino di sostanziale identità, tra il partito, il suo gruppo dirigente, la sua possente, disciplinata organizzazione da un lato e dall’altra la forza coesa, compatta delle masse, del popolo
comunista.

Ma qui al bianco e nero della sequenza di Uccellacci uccellini si sovrappongono suggestivamente i colori vivi, il rosso accesso del quadro sui funerali di Togliatti del grande pittore comunista, Renato Guttuso, quasi in contrasto con la cupa tristezza “cattolica” della sequenza pasoliniana, al senso tragico di fine di una intera epoca storica che la morte di Togliatti racchiudeva simbolicamente in essa. Nel grande quadro di Guttuso è la vita di un organismo politico collettivo che continua a pulsare più viva che mai ben oltre la morte del suo grande leader e il pur profondo dolore per essa.

Perché è della vita storica e non semplicemente di quella individuale, capace di coniugare passato, presente e futuro, di cui quella di Togliatti è stata sintesi ed espressione, che qui si tratta. Togliatti è stato certamente il principale costruttore
di questo straordinario organismo politico che soprattutto nel periodo compreso tra la svolta di Salerno e l’improvvisa scomparsa del suo segretario generale nell’agosto del 1964, ha saputo essere un partito di quadri e insieme di massa, di lotta ma anche di governo, coniugando il suo costitutivo “legame di ferro” con l’Urss, la sua appartenenza al campo socialista con la profondità delle sue radici nazionali, con l’autonomia e l’originalità della sua ricerca di una via italiana, democratica e rivoluzionaria, al socialismo. Più che in qualunque altra figura di dirigente della sua storia, questa duplice natura del PCI, spesso superficialmente scambiata con una ambigua “doppiezza”, nazionale e internazionalista, democratica e rivoluzionaria, si incarna nella personalità per molti versi eccezionale di Palmiro Togliatti. Non a caso il film ce lo mostra mentre tiene il suo fondamentale rapporto sulla lotta per la pace al VII Congresso dell’Internazionale Comunista a Mosca nell’agosto del 1935, suggerendoci come proprio in quel passaggio fondamentale della storia del movimento comunista internazionale, con l’avvio della politica dei fronti popolari contro la reazione fascista e per la pace, Togliatti, nella sua qualità di segretario del Komintern, gettava già alcune basi fondamentali della politica nazionale e democratica che avrebbe segnato la rinascita del partito italiano dopo il crollo del fascismo, superando la tesi della inevitabilità della guerra, pur riaffermandone il suo nesso necessario con la natura dell’imperialismo.


Nella idea della politica di massa sottesa all’intera strategia dei fronti popolari è in fondo la premessa del “partito nuovo” che nascerà con la Resistenza e la politica di Salerno. Rapidamente ma in modo particolarmente incisivo il film ci restituisce l’immagine di un partito attraverso il quale è la stessa unità nazionale che viene profondamente ridefinendosi su rinnovate basi sociali e democratiche attraverso la crescita dell’organizzazione del partito e delle sue radici di massa in tutte le diverse aree del paese, spesso radicalmente eterogenee per struttura sociale e livello di sviluppo, nelle regioni meridionali dover ancora domina il latifondo e le lotte dei contadini poveri per la riforma agraria impongono all’attenzione delle classi dominanti la questione meridionale come grande questione nazionale, e nelle fabbriche del Nord dove è lo stesso potere della classe operaia e insieme con esso la sua funzione nazionale che si afferma e consolida attraverso la direzione politica del PCI. Le immagini relative alla lotta dei comunisti e del popolo contro il tentativo di svolta reazionaria del governo Tambroni nel luglio ’60 così come quelle sulle grandi lotte operaie e popolari in difesa della libertà e dei diritti del lavoro degli anni ’70 hanno il merito di mostrarci il contesto storico determinato in cui il PCI avrebbe registrato il massimo della sua capacità di crescita e di espansione, sul terreno del consenso elettore e su quello non meno decisivo della capacità di direzione e di mobilitazione delle masse.


Ma gli immensi cortei del PCI che vediamo sfilare nel film al pari delle gigantesche feste dell’Unità degli anni ’70 ci mostrano, anche nella persona e nei volti dei militanti, una società italiana profondamente trasformata rispetto alla nazione e al popolo ancora prevalentemente operaio e contadino che vediamo affollare il Foro Italico nell’immensa festa per il rientro di Togliatti dopo il terribile attentato del ’48. Con il ’68 emerge infatti una nuova generazione di giovani e di studenti, figlia della cosiddetta “modernizzazione” del paese, e si avvia un parziale rinnovamento anche ideologico e culturale del partito, di cui la condanna dell’intervento sovietico in Cecoslovacchia fu certamente uno dei momenti più drammatici. Non per questo, tuttavia, viene meno la collocazione internazionale del PCI nel campo socialista guidato dall’Urss. Di qui il suo straordinario impegno destinato a mobilitare anche grandi masse di giovani e di studenti a fianco dell’eroica lotta di liberazione nazionale del popolo vietnamita contro l’imperialismo americano. La lotta per la pace e contro l’imperialismo sarebbe stato non a caso uno dei terreni su cui soprattutto Luigi Longo,
durante il periodo della sua segreteria, tentò di stabilire un rapporto forte con i movimenti giovanili e studenteschi e con alcune delle loro istanze di tipo non solo antiautoritario ma anche anticapitalista, oggettivamente convergenti o tendenti verso il socialismo.


Il film sottolinea come la grande vittoria del referendum sul divorzio del 1974 fu resa possibile, in primo luogo, dalla straordinaria mobilitazione del partito e dal protagonismo della nuova generazione di quadri e di militanti che la segnò. “E’ ora di cambiare, il PCI deve governare”: è lo slogan dei militanti comunisti che sentiamo riecheggiare in un passaggio del film sulla grande avanzata elettorale del PCI degli anni 1975-1976. Uno slogan particolarmente significativo della domanda di cambiamento sociale radicale che le grandi lotte degli anni ’70 esprimevano ma anche dello sbocco politico e perfino di potere che esse sembravano imporre e di cui certamente le vittorie elettorali dei comunisti della metà del decennio furono il riflesso. La strategia berlingueriana del compromesso storico fu il tentativo del PCI di creare le condizioni per uno sbocco politico positivo ad un passaggio per molti versi cruciale e decisivo della storia politica italiana destinato a culminare nell’omicidio Moro. Una strategia che nelle intenzioni di Berlinguer si ricollegava alla politica togliattiana di unità nazionale e democratica ma che si sarebbe scontrata con la durezza e la violenza della controffensiva capitalistica e imperialistica in atto nel quadro internazionale e quindi anche in quello nazionale.

Opportunamente il film rievoca il colpo di stato in Cile del 1973, certamente uno dei momenti iniziali di tale controffensiva e uno dei presupposti storici della sua vittoria.
Il PCI del periodo successivo al fallimento della strategia del compromesso storico appare tuttavia, nel film, come tutt’altro che destinato al tramonto o alla fine. L’immagine di Berlinguer che davanti ai cancelli della porta 5 di Mirafiori attorniato da una composta folla di operai in tuta blu esprime il pieno sostegno dei comunisti alla lotta contro il piano di ristrutturazione della FIAT e i licenziamenti, spingendosi fino a dichiarare che il PCI avrebbe sostenuto l’occupazione degli stabilimenti, è certamente la più simbolica di questa fase della storia del PCI. Una fase che lo vede politicamente isolato ma ancora profondamente ancorato alle sue radici sociali e alla sua originaria, costitutiva natura di partito della classe operaia. La stessa sconfitta al referendum sulla scala mobile dell’84 avviene dopo una straordinaria risposta di massa del partito all’attacco al salario con cui il padronato e il governo Craxi avviarono sul piano nazionale una violenta controffensiva volta a distruggere le grandi conquista sociali e politiche strappate dalla classe operaia e dal PCI nel corso degli anni ’70. Il film non manca di documentare l’ampiezza del movimento di massa che soprattutto per l’iniziativa del PCI di Enrico Berlinguer si oppose duramente alla decisione del governo Craxi di installare una base missilistica a Comiso, in Sicilia. Si trattò di una delle più importanti iniziative di lotta dei comunisti italiani su un terreno da sempre giudicato da essi decisivo per la stessa lotta per la democrazia e per il socialismo, ovvero quello della lotta per la pace e contro la politica di guerra dell’imperialismo USA.


La lotta contro i missili a Comiso dimostra come fosse ancora ben saldo nella cultura politica del PCI, soprattutto nei suoi militanti di base e nei suoi quadri intermedi, nonostante la sua difficoltà di ridefinire una diversa collocazione internazionale dopo lo “strappo” con l’Urss dell’inizio degli anni ’80, quel nesso tra lotta per la pace e lotta per la democrazia e per il socialismo che già a partire dalla metà degli anni ’30 aveva rappresentato uno dei nuclei del comunismo togliattiano. In una fase storica difficile e per molti versi drammatica, segnata dalla crisi dell’Urss e dell’unità del campo socialista, viene così progressivamente meno quella capacità di coniugare l’identità di classe e internazionalista del partito con la sua funzione democratica e nazionale. La morte di Berlinguer si fa così nel racconto del film il simbolo di questa difficoltà successivamente destinata a mutarsi in una contraddizione, forse perfino “mortale”, per la vita futura e il destino del comunismo italiano. Eppure, le immagini dei suoi funerali, sul finire del film, sembrano mostrarci quanto viva fosse ancora la comunità del PCI, il suo popolo, pure in un momento di profondo dolore e perfino di disperazione, e quanto pur sempre vive e profonde fossero le loro radici le loro radici nella vita del paese. La loro memoria può dirci perciò ancora molto anche sul nostro futuro.

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