La polemica, la storia, la coscienza

Patrizio Andreoli – Segreteria Nazionale PCI

La storia, la storia reale di tutti gli uomini e le donne ha il dovere di non permettere si smarrisca la memoria dei fatti e la coscienza della loro complessità lungo un cammino capace di mettere in conto contraddizioni, punti di arresto e tragedie, errori e spinte generose in avanti. Essa non può e non deve sopportare semplificazioni, scorciatoie e forzature propagandistiche, quanto ricostruzioni agiografiche e mitologiche. Quando la storia cessa di pulsare come fatto autentico su cui riflettere in grado di agitare e sommuovere ancora le coscienze, quando non è più in grado di porre domande al nostro presente, sfidare pigrizie intellettuali e stereotipi, essa perde la sua funzione di leva attiva e viva in grado di farci comprendere la società, il “perché” e il “per come” quel che accade, accade così come poi avviene; cessando la sua funzione feconda di ammaestramento. È allora che la storia, divenuta ramo secco della coscienza, è quasi sempre condannata a ripetersi. Sottratta ad un costante esercizio critico, la storia senza verità è corruzione della memoria. Una memoria che si risolve in falsa coscienza, tradimento dei prezzi pagati da tutti gli uomini per emanciparsi, liberarsi dalle catene della superstizione, della miseria e dello sfruttamento, dell’asservimento culturale e sociale al potere dominante, del senso comune che il potere plasma a conferma del pensiero unico che quel potere oggi giustifica e di cui è puntello teorico. Dopo il tempo dei gattopardi, del trasformismo politico, dell’abdicazione culturale e ideale che a più riprese hanno segnato la nostra storia nazionale corrompendo le spinte migliori di volta in volta piegatesi all’opportunismo, agli interessi particulari e alle necessità di autoconservazione dei gruppi al comando provvisoriamente adattatisi ai mutati orientamenti generali e rapporti di forza; oggi siamo dinanzi alla stagione delle iene.

Che da tempo, gli eredi politici e ideali del fascismo sfruttando l’onda lunga prodotta dal persistente attacco condotto al patrimonio della Lotta di Liberazione e alla Costituzione (di quell’esperienza punto alto), tornino a gridare sguaiatamente sulla ribalta politica del Paese tra motti nostalgici, provocazioni polemiche e falsificazioni della storia; è fatto che rinvia ad un legittimo allarme democratico, al bisogno di dar seguito sul piano politico e su quello dell’agitazione delle idee, ad un nuovo antifascismo militante. Schiuma della storia, quella neofascista, che annusando i tempi, ormai si concede in via quotidiana toni di aperto disprezzo della formidabile stagione della Resistenza e delle battaglie democratiche ad essa seguite, di corrosione e svilimento della statura dei suoi protagonisti, non solo accreditando giudizi scomposti sul piano storico-politico ma persino azzardando -senza pudore alcuno- pose di giudizio morale (!) circa il valore, i fatti, la statura civile e culturale dell’intera battaglia antifascista. Un atteggiamento di consapevole azione demolitoria e liquidazionista che lungo il proprio cammino ha incrociato con poco sforzo, un’interessata vulgata -quella liberista, antisolidale e antisocialista- che per anni ha fatto da battistrada al peggio, permettendo che quella schiuma culturale e politica montasse. È la posa formalmente liberal, di chi con levità ha accolto ed applaudito all’equiparazione tra nazi-fascismo e comunismo, di chi mentre ha attuato le dure condizioni dettate dalla dittatura del capitale finanziario e delle sue devastanti conseguenze sociali su scala nazionale ed europea, ha fatto proclami di scandalizzata condanna di tutte le dittature; di chi in un Paese sempre più diseguale e impoverito oggi insiste sulla favola della “tenuta della coesione sociale”; di chi da lungo tempo ha avuto chiaro sul piano strategico generale qual era il vero e principale obbiettivo: colpire al cuore le ragioni del conflitto, disarticolare le forme dell’organizzazione possibile della protesta sociale, della rivolta e del cambiamento; colpire i soggetti che di quella spinta potevano essere riferimento, primi tra tutti in Italia – per funzione generale e ruolo svolto nel novecento- i comunisti. Un tentativo di chiudere i conti in maniera brutale e in un colpo solo, con la tradizione del movimento operaio, socialista e comunista; con le aspirazioni e richieste di profondo mutamento sociale a cui si doveva impedire di assumere la dignità di “progetto politico”; con la stessa esperienza antifascista che parte di quelle aspirazioni di equità e giustizia riassunse, dando significato nuovo alle stesse parole “libertà e democrazia”.

Questo è il contesto e il clima politico in cui alcuni giorni fa si è recentemente consumato presso l’Unione dei Comuni dell’Empolese Valdelsa la polemica tra un consigliere del Gruppo misto che reclamava la revoca dei titoli onorifici a suo tempo concessi al rivoluzionario, comandante militare e Presidente della Jugoslavia, Josip Broz detto “Tito”; e la compagna Susanna Rovai che ricacciando tale provocazione, ne segnalava l’aperta strumentalità rivendicando a voce alta il valore del leader partigiano comunista. Un intervento che ha scatenato reazioni spintesi sino a chiedere al Presidente della Repubblica Mattarella il suo ammonimento formale (come se fosse costituzionalmente possibile!), nonché a presentare una mozione di sfiducia che punta alle dimissioni della stessa, la quale -lo ricordiamo ai solerti anticomunisti e ai “democratici”, per l’appunto deboli sul terreno delle regole democratiche- non è stata eletta da una consorteria di notabili, ma trova nell’elezione diretta da parte dei cittadini l’originaria fonte del proprio mandato e della successiva proiezione del suo ruolo, in un ente di coordinamento istituzionale di secondo grado. Il punto politico, il punto che conta, non attiene al giudizio della storia sulla figura di Tito. Giudizio che alla storia è consegnato e al cui approfondimento i comunisti continueranno per propria parte ad offrire una rivisitazione rigorosa e attenta; comunista. Una figura che in maniera incontestabile, ha giganteggiato per spessore e ruolo svolto, sulla scena di quella che a lungo fu la Federazione delle Repubbliche Socialiste degli slavi del sud, il confronto politico nel campo socialista e il suo sviluppo, l’orizzonte internazionale.

Non di questo si tratta. Il punto è che, a partire da indagini storiche tuttora aperte e contraddizioni dolorose relative al destino e alle dinamiche che hanno investito il confine orientale, in nome “dell’italianità ferita” oggi si vuole criminalizzare l’epopea antifascista jugoslava e la lotta per una società profondamente più equa sostenuta da un intero popolo; si vuole cancellare la memoria delle responsabilità del fascismo, sminuirne la portata, relativizzarne e assolverne in gran parte le colpe gravissime da questo assunte in via indelebile dinanzi alle genti. E ancora più in là. Il punto che conta non è l’attacco a Tito la cui memoria e statura la storia saprà considerare adeguatamente per ciò che pesa, che vale, che è e che sarà ancora in futuro. Pare chiaro come non siano le “onorificenze” che si vogliono revocare l’obbiettivo dell’attacco politico. Il punto è che si vuole colpire l’idea comunista quale idea di libertà e giustizia sociale, idea di lotta e di riscatto, idea di rivolta ed emancipazione degli sfruttati ai quali si intende addossare la colpa fatale e principale di aver alzato nella storia la testa, talora persino in armi laddove la contingenza e la fase -come la battaglia antifascista e di liberazione nazionale- lo chiedevano e giustificavano. Per questi signori, anche Spartaco che per primo si ribellò all’idea di una società schiavile rivendicando il diritto a scrivere una pagina di nuova dignità, è ancora un pericoloso sovversivo da stigmatizzare solo perché dichiarò guerra alla struttura sociale del suo tempo (con vittime e scontri nelle campagne e provincie romane). Un esempio da cancellare dalla memoria lunga; soprattutto quella dei piccoli e dei subalterni che resistono, combattono e non si arrendono. Vi hanno provato in molti e più volte, eppure Spartaco e il suo grido di giustizia sono ancora lì, dopo due millenni. La verità, è che la vicenda umana è una pianta complessa fatta da molti rami e foglie. Ci sono quelle -come le polemiche e gli attacchi strumentali- che negando il peso del tronco, il tronco della storia coi suoi nodi e la corteccia disegnata, anno dopo anno, dal passo e dalla fatica di molti per crescere e liberarsi; sono destinate ad essere dimenticate, a durare lo spazio d’un mattino spazzate via alla prima brezza del cambiamento.

Poi ci sono le radici. Quelle che dicono chi siamo, quelle che raccontano le vicende profonde, l’ispirazione che non si corrompe, l’azione testarda volta all’emancipazione di sé e degli altri quantunque nel vivo farsi della storia degli uomini si presentino inciampi e errori, quantunque innumerevoli e nuovi in ogni tempo siano gli ostacoli che si frappongono. Noi, oggi, rivendichiamo appieno la storia e il patrimonio degli antifascisti e dei comunisti. La nostra storia. Una storia a cui una parte grande dell’umanità e della società italiana, ha a lungo guardato con speranza. Spetta a noi, svolgere al presente, un’azione parimenti utile, popolare, di massa. La storia delle lotte non si processa, ma si indaga e comprende criticamente. Ci sono onorificenze scolpite nella coscienza collettiva che non si cancellano o si revocano. Anche per questo, nonostante la durezza e l’ombra opaca dei tempi, veniamo da lontano e andremo lontano.

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