ALTRO CHE ACCIAIO DI STATO. LA SALUTE E L’AMBIENTE ANCORA NELLE MANI DEL MERCATO.

di PCI Taranto

Bisogna guardare bene dietro i fari abbaglianti del piano Governo- ArcelorMittal per intravedere le ombre che avvolgono ancora il futuro incerto dell’ex ILVA e dei suoi lavoratori, di Taranto e dei suoi cittadini e dell’Italia e di uno dei pilastri della sua economia.

Innanzitutto riteniamo che parlare di ritorno all’”Acciaio di Stato” sia una mistificazione, forse voluta, dell’operazione che si sta compiendo. Quella delineata nell’accordo non è una vera nazionalizzazione, cosa da noi invece auspicata, ma al contrario un’operazione che ripercorre una strada già battuta in un passato nemmeno tanto lontano e che ha portato risultati nefasti. Il tipo di “compartecipazione” azionaria dello Stato riteniamo nasconda l’idea di un ingresso nel capitale sociale al solo fine di intervenire con i soldi pubblici per realizzare quegli interventi che AM avrebbe dovuto già in parte realizzare e non ha fatto per ottemperare al piano di risanamento ambientale e per convincere il “partner” indiano a rimanere in Italia attutendone le perdite.

In sintesi si vorrebbe rimettere ordine ed efficienza negli impianti per poi riaffidare al mercato la fabbrica.
Insomma pensiamo che si stia operando la solita strada di socializzare le perdite per poi rimettere l’azienda nelle mani del privato e facendo ritornare il mercato a decidere delle sorti della fabbrica ma anche dell’ambiente e della salute di Taranto e dei tarantini. E intanto AM pare stia anche preparando un piano B nel caso ritenga poco conveniente anche l’utilizzo dei capitali pubblici.

Preoccupa difatti che la società abbia disposto, in questi giorni, una separazione delle sue attività commerciali in Italia da quelle internazionali.
Questo prefigurerebbe, addirittura, una possibile concorrenza interna del gruppo franco-indiano e un possibile futuro disimpegno.

Una vera NAZIONALIZZAZIONE invece dovrebbe sotrarre del tutto al mercato ogni possibile determinazione sul futuro dell’ex ILVA. Se difatti la produzione italiana dell’acciaio resta strategica per l’intera economia del
paese lo Stato deve essere pronto a pianificarla e governarla anche fuori dai parametri dettati dal mercato perchè questo serve appunto a sostenere l’economia nazionale. Una compartecipazione privata non può consentire tutto questo.

Se la partnership pubblico-privato non scioglie i nodi sul futuro industriale dell’ex ILVA figuriamoci se riesce a dipanare i dubbi sulla salvaguardia dell’ambiente e della salute. Solo la completa sottrazione alle logiche di
mercato (e quindi la vera statalizzazione della fabbrica) potrebbe determinare la completa trasformazione del ciclo produttivo attuale degli impianti tarantini.

Nell’accordo difatti non si parla di questo ma di un progetto misto, che dietro alle luci abbaglianti della realizzazione di un impianto elettrico (che garantirebbe solo 1/3 della produzione a regime) nasconde il revamping del forno 5 (il più grande altoforno d’Europa) che continuerebbe a produrre tutti i nefasti problemi di inquinamento, legati al ciclo tradizionale, finora prodotti.

Nell’accordo viene reso “strategico” non il materiale, l’acciaio, ma un ciclo integrale siderurgico sinora fonte di profitto e speculazioni finanziarie e non di reinvestimento sul territorio nel recupero del capitale umano e
ambientale consumato e distrutto, Questa è stata la drammatica esperienza del quindicennio della famiglia Riva.

Il Partito Comunista Italiano pensa invece che se lo Stato ritiene strategico mantenere la produzione dell’acciaio, deve garantire ai cittadini e a tutti i territori su cui quella produzione ricade, che il processo sia reso compatibile con il loro ambiente e la loro salute. Solo sottraendo completamente al mercato ogni determinazione si può ipotizzare di investire per rendere completamente compatibili gli impianti.

Il passaggio dall’alimentazione a carbone a quella elettrica consentirebbe di ridurre del 90% dei gas tossici immessi in atmosfera e potrebbe consentire l’utilizzo al 70% di materia prima riciclata (l’acciaio è riutilizzabile al 90%).
Dunque l’accordo sottoscritto rappresenta una soluzione che noi riteniamo non abbia niente di strategico e concreto ma tende a contenere perdite negli anni, senza peraltro creare occupazione ma lasciando la condizione drammatica dell’inquinamento nel territorio tarantino.

Infine l’attuale operazione è stata concordata dal governo senza il confronto con i rappresentanti dei lavoratori, parti sociali ed istituzioni locali. Si è dato per certo il tacito consenso dei sindacati garantendo di
non licenziare alcun lavoratore nell’immediato e togliendo loro tale patata bollente. La Federazione del Partito Comunista della Provincia di Taranto non solo condanna sotto il profilo politico e istituzionale il comportamento del Governo ma chiede che venga rivisto completamente l’accordo coinvolgendo prima il territorio e le organizzazioni sindacali. Quanto fatto finora dal Governo ripropone gli stessi errori commessi nel passato quando si è voluto confondere la “crescita” economica di una azienda con lo “sviluppo” di un territorio.

Il suo “PIL” aziendale con quello comunale, provinciale e regionale. In realtà negli anni dei Riva i profitti sono andati altrove e sul territorio sono rimasti i danni in termini di costi ambientali e sanitari. Perchè questo non avvenga più il confronto con le istituzioni locali e le organizzazioni sindacali è imprenscidibile.

In conclusione ribadiamo che l’unica soluzione possibile è una vera NAZIONALIZZAZIONE che operi una programmazione tra fermate e ripartenza graduale degli impianti in modo alternativo per consentirne una
completa trasformazione nel rispetto dei parametri ambientali e che tutto si svolga sotto il controllo dei lavoratori nella fabbrica.

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