In questi ultimi giorni è tornata alla ribalta la questione dei Fondi Europei, collegata stavolta al problema dell’emigrazione. La coppia Di Maio-Salvini ha affermato che se l’UE non cambia l’approccio nei confronti dell’Italia sul tema migrazione l’Italia potrebbe sospendere la quota di denaro che annualmente versa all’UE. È stato ribadito da più parti che la metà del denaro che l’Italia versa – così come vale per tutti gli altri Paesi europei – viene risarcito sotto forma di finanziamenti, i famigerati Fondi Europei, dei quali molti parlano senza averne reale contezza.
Appena una settimana fa, il Sole24Ore pubblicava un articoletto passato probabilmente in sordina ai più, che consideriamo invece di straordinaria attualità per una analisi circa il nostro rapporto economico con l’UE. In esso si tirava un bilancio di metà 2018 rispetto alla misura dei Fondi Europei utilizzati e non utilizzati dall’Italia, corredato da una tabella che analizzava i dati regione per regione.
Come praticamente accade da sempre, l’Italia chiude in negativo anche quest’anno, col rischio di dover rimandare al mittente i soldi che Bruxelles ha destinato all’utilizzo. Senza volervi annoiare con troppi numeri, per capire la situazione basti pensare che se si continua con questo trend si dovrà “risarcire” all’UE il 48%, circa 2,5 miliardi di euro.
È giusto precisare che il quadro italiano è ovviamente diversificato: si hanno Regioni che superano addirittura il target (e, finalmente, possiamo affermare che alcune eccellenze sono nel Sud del nostro Paese, fra cui la Basilicata) ed altre che invece a stento raggiungono una percentuale a due cifre. Tra le Regioni messe peggio Calabria e Sicilia, sulle quali il Governo sta pensando di intervenire.
Questa è una situazione che va avanti da troppo tempo e nessuna delle classi politiche susseguitesi al Governo si è mai preoccupato di colmare una delle gravissime lacune che, se sfruttata pienamente, oltre a far rientrare – in parte o del tutto – il denaro che i contribuenti italiani versano annualmente all’UE, svilupperebbe lavoro, tanto lavoro.
Paesi come l’Olanda e la Francia riescono, attraverso la realizzazione dei bandi europei, persino a superare la quantità dei contributi erogati all’UE, mentre l’Italia non fa altro che perdere ogni anno un’infinità di possibilità. E ne perde paradossalmente di più proprio nelle zone più depresse economicamente.
In Sicilia, in particolare, gli unici fondi ad essere considerati sono i cosiddetti fondi indiretti, quelli cioè che rispondono ad un processo progettuale gestito dall’amministrazione regionale e pochissimo invece viene dedicato a quelli diretti, per i quali importanza straordinaria riveste il rapporto tra privato e pubblico.
Perché questo avviene? C’è una responsabilità? Assolutamente sì.
Negli ultimi anni Bruxelles, proprio per porre fine ad una evidente difficoltà tutta italiana (spesso venivano presentati progetti che nulla avevano a che vedere col bando, o altrettanto spesso la lingua o la formulazione non erano quelle specificate nello stesso) ha favorito la formazione di professionalità specifiche per la stesura e la presentazione in piattaforma on line dei progetti europei: i cosiddetti progettisti. Chi ha voluto, fra questi, ha potuto specializzarsi attraverso corsi e master e alcuni risultano anche iscritti a un albo creato appositamente, che ha sede ad Amsterdam.
Il passaggio politico avrebbe dovuto essere, semplicemente, quello di consentire a questi professionisti – a loro volta specializzati in bandi culturali, tecnologici, energetici e via discorrendo – di poter lavorare. In altri Paesi d’Europa è stato dimostrato come, proprio attraverso l’utilizzo di questi bandi, si sono raggiunti ottimi risulti in termini sopratutto di tecnologie e ambiente.
Come ricorda ancora il Sole24Ore l’attuale ministro per il Sud, Barbara Lezzi, formalizzerà in settembre allo staff del commissario UE per le Politiche regionali, Corina Cretu, la richiesta di proroga per la Sicilia, mentre alla Calabria è stato richiesto lo sprint finale per il raggiungimento di un obiettivo minimo.
Non è la prima volta che apparati amministrativi facenti capo alla Regione Sicilia fanno richiesta di proroghe. In anni passati è addirittura accaduto che alla partenza dell’Agenda quadriennale nuova si è chiesto proroghe per terminare i fondi di quella precedente.
Una situazione deplorevole, che si ripeterà ad libitum se non si trova un’altra soluzione amministrativa al problema, poiché ci pare chiaro che infinite proroghe non possono rappresentare la soluzione.
La chiave di volta potrebbe essere rappresentata da bandi la lavoro a tempo determinato, a rotazione, che impieghino i professionisti del settore, ovvero i progettisti, così come tra l’altro è fortemente caldeggiato dalla stessa Unione Europea. E le regioni al fanalino di coda dovrebbero cambiare la mentalità attorno alla progettazione, comprendere che essa non consiste solo in PON e FESR (ove, peraltro, si è palesata spesso una impreparazione degli addetti ai lavori, in quanto non aggiornati) ma c’è tanto, tanto altro. Non si può continuare a perdere ingenti risorse che nel mare magnum di una crisi senza fine aprono interessanti opportunità lavorative e rappresentano un freno all’emorragia di giovani formati e specializzati costretti ad andare via.
Invitiamo pertanto il ministro Lezzi ad approfondire la questione e ad affrontarla dal punto di vista, una volta per tutte, di chi lavora nel settore.
di Giusi Greta di Cristina, Comitato centrale del PCI