Il socialismo di mercato: il sistema socialista che vanta il maggior numero di imitazioni (parte seconda)

di Giambattista Cadoppi, tratto dal libro “Crollo e rinascita del socialismo. Il socialismo dalla Primavera di Praga alla caduta nell’Europa orientale, alla rinascita in Asia

 

La Repubblica Democratica Popolare del Laos ha meno di sette milioni di abitanti. Il Partito Rivoluzionario Popolare del Laos, erede del movimento di liberazione Pathet Lao, ha assunto il potere dopo la liberazione nel 1975.

Il Laos ha il poco invidiabile primato, con oltre due milioni e mezzo di tonnellate di bombe sganciate dall’aviazione di Washington in meno di un decennio, di paese più bombardato in rapporto alla popolazione: il 30 per cento in più di bombe lanciate sulla Germania durante la seconda guerra mondiale. Le bombe inesplose causano ancora oggi migliaia di morti e di invalidi.  Solo l’uno per cento di queste bombe è stato ripulito, il che rende circa un terzo della terra del paese non sicuro. La ragione è che qui passava il famoso “Sentiero di Ho Chi Minh” che portava le truppe del Vietnam del nord verso il sud.

Il Laos ha sessantasette diverse comunità etniche, e il gruppo principale rappresenta meno di un terzo della popolazione totale. Il colonialismo francese e la dominazione imperialista hanno lasciato il paese privo di industrie con  una classe operaia modesta. Di conseguenza, la lotta rivoluzionaria di liberazione nazionale contro l’imperialismo e il feudalesimo ebbe un carattere principalmente nazional-democratico. I primi piani quinquennali sul modello sovietico portarono a una scarsa crescita economica. Di conseguenza, nel 1986 il Partito lanciò il Nuovo Meccanismo Economico (NEM) sul modello del socialismo di mercato cinese per attirare investimenti di capitali stranieri. L’economia del Laos non ha mai vissuto una recessione, a differenza delle tigri asiatiche, ed è stata risparmiata dalla maggior parte dei problemi che affliggono altre economie asiatiche dopo la crisi finanziaria del 1997.

L’articolo tredici della costituzione del paese afferma che “tutti i tipi di imprese sono uguali davanti alla legge e operano secondo il principio dell’economia di mercato, concorrendo e cooperando assieme per sviluppare la produzione mentre sono regolati dallo stato nella direzione del socialismo”.

Il Laos mancando di sbocchi al mare ed essendo un paese prevalentemente montagnoso non è in una situazione particolarmente propizia per l’export. Il paese è composto per due terzi da contadini, ed è autosufficiente dal punto di vista alimentare. La terra è nazionalizzata per legge e non può essere di proprietà privata. Lo stato ha voce in capitolo su come viene utilizzata la terra e da chi. Il Laos ha avuto due fasi di riforme: le riforme economiche nel quadro del sistema di pianificazione centralizzata e la transizione all’economia socialista di mercato. La prima fase si contraddistingue per varie campagne di riforma volte ad aumentare la produzione a migliorare l’efficienza del vecchio sistema economico. Ciò è avvenuto tra la fine del 1970 e prima metà del 1980. La seconda fase, di fatto ha trasformato lo stesso sistema economico, lanciando il Nuovo Meccanismo di Mercato nel 1986. La riforma è iniziata su scala ridotta nel settore agricolo nel 1979 dopo i risultati insoddisfacenti del movimento cooperativistico e dei disastri naturali nel corso 1976-77. La riforma ha raggiunto altri settori dell’economia nazionale entro la seconda metà degli anni 1980 attraverso l’adozione completa del NEM nel 1986 con l’ordine del giorno sul commercio e la liberalizzazione dei prezzi; la riforma dell’impresa di proprietà statale (SOE); la riforma del settore finanziario ecc. Dal 1989, le riforme hanno proceduto gradualmente insieme con il programma di stabilizzazione fiscale e monetaria che è stato rafforzato durante il periodo 1992-1994, con forti cooperazioni bilaterali e multilaterali. Le riforme sono state rallentare durante il periodo di crisi della seconda metà degli anni Novanta. Dagli inizi del 2000, gli sforzi e l’impegno nelle riforme hanno ripreso vigore. Le riforme in corso oggi sono più interessate allo sviluppo dei meccanismi di mercato tentando di migliorarne l’efficienza e promuovere la crescita economica e la riduzione della povertà (Insisienmay, 2008).

La crescita economica, dopo l’ingresso nell’ASEAN nel 1997 e nell’Organizzazione Mondiale del Commercio nel 2012, è annualmente in media del 7 per cento, un risultato ottenuto grazie all’esportazione delle eccedenze agricole, dal caffè al riso, e di parte della produzione dell’industria leggera, principalmente tessile, dal cotone alla seta. Il turismo, una voce importante del bilancio nazionale, con una presenza annuale di oltre quattro milioni di persone concentrati nell’ecoturismo che però non è privo di infrastrutture, realizzate e in progettazione, come una linea ferroviaria che collegherà Vientiane alla Cina.

Nel 1992 il tasso di povertà si attestava al 46 per cento, sceso al 28 per cento già 2008 mostrando il successo delle politiche economiche dello stato. Secondo la legge sul lavoro del 2006, tutte le unità lavorative devono avere un’organizzazione sindacale di base per rappresentare i lavoratori. La Federazione dei Sindacati del Laos ha circa 100.000 membri. Ciò è impressionante se si considera che la classe operaia è molto ridotta, con oltre il 70 per cento della popolazione impegnata in agricoltura. Il lavoro è tipicamente di otto ore il giorno e non più di quarantotto ore la settimana, con gli straordinari che devono essere decisi in anticipo in consultazione con i sindacati.

La legge rende difficile licenziare i lavoratori: i datori di lavoro devono prima trovargli un impiego alternativo. I lavoratori in gravidanza, sottoposti a cure mediche o che hanno partorito meno di un anno prima non possono essere licenziati. I servizi sanitari sono provvisti dallo stato, secondo la costituzione.

Il Laos la costruzione del socialismo avviene in condizioni molto difficili. La priorità per il paese ora non è di nazionalizzare ogni unità economica del paese, ma piuttosto usare capitale straniero per sviluppare settori strategici, come l’estrazione mineraria e l’energia idroelettrica, mentre si provvede alle necessità della gente, sviluppando la classe lavoratrice come forza principale e permettendo al paese di costruire le fondamenta del socialismo.

Nella stessa Cuba si prospetta già alla fine del decennio passato l’adozione del modello cinese, come si suol dire, in “salsa caraibica”:

«[…] sembra prospettarsi all’orizzonte una sorta di avvicinamento economico al modello cinese, tanto apprezzato da Raul. Una cosa è certa: qualsiasi cambiamento nel sistema cubano avverrà esclusivamente per migliorare le condizioni della popolazione. L’imperativo è: scordarsi che le misure volute da Raul siano in qualche modo state prese per ammorbidire le posizioni della comunità internazionale nei confronti dell’isola. Lo stesso Raul ha fatto sapere che Cuba “non accetterà pressioni da Paesi o da interi continenti”. Chiarissimo il riferimento a Washington e all’Unione europea […]. Inoltre, fra poco tempo a Cuba ci sarà anche la rivoluzione dei salari: più alti per chi lavora di più e meglio. Altra novità: sarà possibile avere più di un lavoro» (Grandi, 2008).

E’ indicativo che il libro di Hart-Landsberg e Burkett sulla “Cina capitalista” sia stato scritto dopo che essi parteciparono alla conferenza internazionale sul Marxismo a Cuba nel 2003, come dicono loro stessi. Essi dovettero costatare come gli economisti cubani e i funzionari governativi fossero ”impressionati dalla crescita economica sostenuta della Cina, e ancora di più dai suoi crescenti sforzi per attrarre FDI (foreign direct investment) e generare crescita manifatturiera”. Essi poterono osservare come fosse stata preparata «la stesura di una proposta di ristrutturazione della strategia economica di Cuba fortemente influenzata dall’esperienza cinese» e che venisse discussa la nozione di ”socialismo con caratteristiche cubane” (Hart-Landsberg; Burkett, 2004).

Raul Castro studia il progetto cinese viaggiando in Cina nel 1997 dove incontra il primo ministro Zhu Rongji artefice delle riforme degli anni Novanta. Raul invita in seguito i maggiori consiglieri di Zhu a incontrare centinaia di funzionari e manager delle imprese di stato e queste visite sono continuate sino ai nostri giorni. Il modello cinese ha molto impressionato e influenzato i leader di Cuba ha detto un ex funzionario dell’intelligence cubana, aggiungendo che negli ultimi 20 anni, circa l’85 per cento leader civili e militari sono stati in Cina.

Xu Shicheng dell’Accademia Cinese di Scienze Sociali ha suggerito dopo una visita nel 2003 di procedere verso l’economia di socialismo di mercato invece che verso una sorta di egualitarismo estremo. Sulle orme del socialismo di tipo sovietico Cuba è rimasta nell’impasse. Certamente ci sono molti pregi nel modello cubano come la sanità, l’educazione e gli affitti gratuiti, che però si stanno deteriorando, ora mancano 700.000 case. I funzionari governativi che sopravvivono con 20 dollari il mese spesso asportano beni dai loro posti di lavoro che vanno ad alimentare il mercato nero. Il mercato regolato fatto uscire dalla porta rientra come mercato nero dalla finestra. Secondo un esperto americano il messaggio di Raul sarebbe stato: «Sveglia, noi dobbiamo essere onesti e provare a risolvere questi seri e sistematici problemi e questi si risolvono con il modello cinese» (Contreras, 2007).

Il sistema di responsabilità familiare attualmente in uso a Cuba è stato applicato basandosi sull’esperienza cinese. Nel 2005 Hu Jintao e 200 businessmen cinesi hanno preso parte al Forum Sino-cubano dell’Avana sugli investimenti e il commercio. Hanno firmato 16 accordi su investimenti, commercio e crediti, joint-venture. Cuba dovrebbe fornire 4.000 tonnellate di nichel all’anno alla Cina e questa ha investito 500 milioni di dollari per finire la costruzione di un impianto di nichel abbandonato dai sovietici. Cuba fornisce alla Cina il 50 per cento del nichel di cui ha bisogno. La Cina costruirà frigoriferi, lavatrici e condizionatori a Cuba per il mercato cubano. La Cina ha mandato un milione di televisori a Cuba; ha donato inoltre attrezzature per gli ospedali e uniformi per le scuole. Inoltre insegnati cinesi terranno lezioni nelle università cubane. La Cina ha garantito dieci anni di prestiti a interessi zero. Gli accordi prevedono joint-venture nelle biotecnologie, telecomunicazioni, industria leggera e turismo. La Cina sta diventando il maggior partner commerciale dopo Venezuela e Spagna. Fidel Castro ha dichiarato: le relazioni tra Cina e Cuba sono un esempio di trasparenza e cooperazione pacifica tra due nazioni sostenute dagli ideali del socialismo (Whitney, 2005).

L’usufrutto della terra per gli agricoltori è stato stabilito nel 2011, poi ratificato nel 2016. La terra rimane di proprietà dello Stato ma è concessa in uso per 30 anni agli agricoltori. I prodotti vengono in parte ceduti allo Stato e il resto è immesso sul mercato.

«Cuba ha sempre riconosciuto il mercato perché questo non coincide col capitalismo. Questi ignoranti dei giornali italiani di “sinistra”, della cosiddetta “sinistra”, devono sapere che il mercato è preesistente al capitalismo […]. Cuba ha sempre convissuto con il mercato perché ovviamente non è un paese fuori dal contesto internazionale. Però ha mantenuto pubblici tutti i settori strategici» (Verde, 2018).

Il governo ha autorizzato 580.000 imprese private – un aumento di cinque volte dal 2010 – e il settore agricolo è composto quasi interamente da fattorie e cooperative private. In totale, il settore privato ora impiega il 29 per cento della forza lavoro. Raul ha definito le resistenze dei “conservatori” come «una mentalità obsoleta basata su decenni di paternalismo» (Leogrande, 2018).

«Nel suo discorso inaugurale, il nuovo presidente (Miguel Diaz-Canel) si è impegnato a proseguire la visione di Raul Castro, in particolare il suo “aggiornamento” dell’economia, una forma cubana di socialismo di mercato lanciata nel 2011 per sostituire il precedente sistema di pianificazione centrale in stile sovietico. Se avrà successo, le sue riforme produrranno la trasformazione più profonda da quando Fidel prese il potere sessant’anni fa e gettò le basi per ciò che suo fratello Raul chiamava “socialismo prospero e sostenibile”» (Leogrande, 2018).

Castro si è espresso in una lettera a Chavez sul socialismo di mercato. Castro, dice Chavez «mi parla del progetto originario di Mao e termina dicendo che la Cina, con la sua strategia del socialismo di mercato, si stia convertendo nella grande superpotenza del secolo XXI» (Castro, 2007).

Hugo Chavez si è mostrato d’accordo con «l’economia di mercato che attualmente si applica in Cina». Dopo avere sottolineato che la degenerazione del progetto sovietico ha portato al declino del socialismo come ideologia auspicabile e applicabile e per questo che «cresce di più il valore della Cina e del suo popolo, il quale ha saputo mantenersi in quella stessa consegna che oggi cresce con forza: “Socialismo o morte”». Ha elogiato l’astuzia politica della Cina per adattarsi ai cambiamenti mondiali, perché facendo questo ha propiziato una riformulazione ideologica molto conveniente in questi tempi, quando i vizi del capitalismo sono ogni giorno più visibili.

La rivoluzione cinese – ha assicurato Chavez – ha saputo adattarsi ai cambiamenti mondiali perché è libera dal dogmatismo. I suoi teorici hanno apportato la tesi del socialismo di mercato per adattarsi al nuovo sistema mondiale e la rivoluzione bolivariana prosegue sullo stesso cammino, anche se non viene chiamiato nello stesso modo. La proposta cinese mescola il buono dei due modelli, capitalismo e socialismo, e si propone come alternativa che frena gli elementi nocivi estremi entro i quali ha oscillato la politica di alcuni paesi (Gonzalez, 2004). Chavez al Forum di Porto Alegre ha definito la Cina come “faro dell’antimperialismo mondiale” (Rozza, 2005).

La Corea del Nord fino al 1974 aveva un reddito pro-capite superiore a quello della Corea del Sud. Il presidente nordcoreano Kim Jong-il, fresco di nomina, intraprende un viaggio in Russia e Cina. Durante la sua visita in Cina egli s’interessa attentamente a Shanghai e Shenzhen da dove sono partite la riforma e l’apertura in Cina (Model, 2009).

Kim Il Sung nell’opera Su alcuni problemi teorici dell’economia socialista, del 1969, propone la tesi di Stalin: nel socialismo esiste sia un mercato vero e proprio, in cui avvengono passaggi di proprietà, fra lo Stato, le cooperative e l’economia ausiliaria individuale, sia un mercato formale, interno al settore statale, dove la proprietà resta invariata, ma i prodotti assumono comunque la forma di merci per ragioni di calcolo e razionalizzazione dell’economia.

Il sistema di lavoro chiamato “Taean” si fonda sia su stimoli morali che sulla mobilitazione politica dei lavoratori (durante la campagna di 100 giorni nel 2009 la produzione industriale aumentò del 30 per cento), ma gli stimoli materiali e leve economiche hanno ampliato il proprio raggio d’azione. In Corea del Nord gli incentivi materiali elargiti ai lavoratori, così come i loro stipendi, sono attinti dal bilancio aziendale e quindi sono strettamente legati all’effettivo andamento dell’impresa[1].

Il dirigente, che lavora con la supervisione del comitato di partito, può fare alcune variazioni sugli indici dei prezzi e dei salari stabiliti dal piano, in modo da riflettere i rapporti di scarsità e stimolare il ripristino dell’equilibrio tra produzione e consumo, nonché distribuire incentivi attraverso l’applicazione del principio socialista della retribuzione secondo il lavoro svolto.

Lee Byung-ho, già capo del servizio d’intelligence della Corea del Sud, stima che il 40 per cento della popolazione della Corea del Nord è ora impegnata in un qualche tipo di impresa privata. Anche se gli osservatori stranieri in genere scambiano per private le aziende a regime di calcolo economico.

La Corea del Nord sta raggiungendo tassi di crescita del PIL annuo pro capite del 9 per cento, come sostenuto dallo Hyundai Research Institute, e se è vero che i salari sono cresciuti del 250-1.200 per cento negli ultimi dieci anni, la Corea del Nord ha l’economia con una crescita tra le più rapide al mondo anche dei redditi reali.

La Corea del Nord ha inviato molti osservatori a studiare le riforme vietnamite e negli anni 2012-14 e ha attuato una serie di misure per razionalizzare la gestione delle aziende socialiste sulla base del calcolo economico completo, cioè lasciando inalterata la proprietà socialista dei mezzi di produzione ma valorizzando il “mercato socialista” e garantendo un’effettiva flessibilità dei prezzi pianificati, a differenza di quanto avveniva con le analoghe riforme in URSS ed Europa orientale.

Nella Corea del Nord l’Hyundai ha costruito un complesso turistico sul monte Kumgang popolarmente conosciuto come Hyundailand. Come la Cina che si è basata sul capitale dei cinesi all’estero, essa punta sul “capitale amico” del Sud. Gli investimenti stranieri nelle zone economiche speciali, negli ultimi anni si sono moltiplicati ma nel 2017 concorrevano solo per l’1,2 per cento delle entrate nel bilancio statale, procurando però know how e valuta forte (Mercouris, 2017). Kaesong, a un’ora d’auto da Seul, è la zona dove si riversano gli investimenti sudcoreani impiegando lavoratori nordcoreani per produrre prodotti competitivi.

Andray Abrahamian, ricercatore al CSIS, descrive così il sistema economico della Corea del Nord: «Si tratta di un’economia mista, ormai lontana dall’economia di comando del passato. È più corretto pensarla come un’economia di mercato con un enorme settore statale che è in qualche modo sia integrato che separato da questa economia. Le grandi imprese di proprietà statale devono agire in base ai principi del mercato per sopravvivere e prosperare. Se ufficialmente la proprietà privata non è riconosciuta, accanto a questo vengono create e operano imprese più piccole che entrano in competizione tra loro» (Mercouris, 2017).

Siamo di fronte a una situazione nella quale «i mercati, che ora offrono di tutto, dai generi alimentari alla moda fino ai beni elettronici, hanno aiutato ad attutire gli effetti delle sanzioni internazionali rendendo l’economia più efficiente e resistente di quanto non fosse sotto il controllo statale».

La Cina importa l’85 per cento dell’export nordcoreano mentre le importazioni della Corea del Nord sono per l’82 per cento dalla Cina.

E’ significativo che un partito come il CPI(M) che governa regioni indiane con più di 100 milioni di abitanti nella risoluzione ideologica del suo XIV Congresso appoggi il socialismo di mercato:

«Sarebbe sbagliato concludere che sotto il socialismo il mercato cesserà di esistere. Fino a quando si producono merci, il mercato esiste. La questione cruciale non è il rapporto tra pianificazione e mercato, ma di chi è il ruolo dominante. Sotto il socialismo, il mercato è uno dei mezzi per la distribuzione del prodotto sociale. La pianificazione centralizzata, utilizzando le forze e gli indicatori di mercato, sarà in grado di sviluppare in modo efficiente le forze produttive e soddisfare le esigenze del benessere del popolo. Pertanto, ignorare gli indicatori di mercato porta a uso maggiormente irrazionale delle risorse che alterano la stessa pianificazione» (Yechury, 1999).

In Africa è stato Joseph Kabila che ha affermato: «Il nostro modello di sviluppo è quello cinese: con il potenziale di risorse naturali di cui disponiamo in Congo, possiamo aspirare a diventare, per l’Africa, la Cina di domani» (Ricaldone, 2009).

Come la Cina sia divenuta lo stato con il più veloce sviluppo tra le maggiori economie è un fatto d’interesse pratico, non è solamente una curiosità accademica. Ad esempio per le Zone Economiche Speciali hanno seguito l’esempio cinese l’India, l’Iran, la Polonia, la Giordania, il Kazakistan, le Filippine, la Russia e il Perù. La Banca Mondiale stima nel 2007 più di 3.000 progetti in 120 paesi (Tucker, 2007).

Anche il Nepal sembra indirizzato sulla stessa strada. La Costituzione del Nepal promulgata dall’Assemblea costituente nel 2015 ha consacrato il “socialismo” come un principio cui aspira la nazione. Nel preambolo si afferma che il Nepal andrà avanti su un percorso di socialismo adottando valori e norme democratiche, con un sistema multipartitico competitivo nel rispetto dei diritti umani. Secondo gli estensori ci si riferirebbe al “socialismo umanitario” o “socialismo di mercato”.  Con le elezioni del 2018 vinte dai comunisti, è stata ribadita la scelta con rapporti più stretti con la Cina.

La stessa Bielorussia di Aleksandr Lukashenko sembra indirizzata sulla strada e una “economia sociale di mercato”. Lo storico marxista russo ed ex dissidente Roy Medvedev scrive:

«Alla fine dell’anno 2005 più dell’80 per cento delle attività, nelle città e nelle campagne di Bielorussia, facevano riferimento alla proprietà statale e cooperativa. Non esistono oligarchi, e non sono presenti grandi corporazioni private. Però le imprese bielorusse, i kolchoz e i sovchoz, funzionano, in generale, meglio che nell’epoca sovietica, poiché oggi devono competere nel mercato russo e mondiale. Nell’economia bielorussa sono mantenute, in sostanza, le forme di organizzazione economica (di direzione amministrativa) sovietiche, e lo stato sostiene anche molte imprese deficitarie. Ma in Bielorussia non c’è un partito unico dirigente, bensì un gruppo di partiti che appoggia il presidente, e un altro gruppo di partiti che forma l’opposizione. La Bielorussia non persegue lo status di paese con economia di mercato, ma costruisce una società di giustizia sociale, impiegando relazioni di mercato, che si correggono secondo le necessità. Così, per esempio, in Bielorussia si sostiene, mediante sussidi, il mantenimento di prezzi bassi per i prodotti di prima necessità, i servizi abitativi sociali e i trasporti pubblici. Aleksandr Lukashenko ha dato in molte occasioni una chiara definizione del modello bielorusso: “L’essenza del modello socio-economico di sviluppo del nostro stato“, ha detto Lukashenko in una conferenza stampa, il 23 novembre 2005, “consiste nel creare uno stato per il popolo. Costruiamo uno stato orientato al sociale. Non abbiamo percorso la strada della distruzione, e abbiamo anche rinunciato alla parola ‘riforma’, che ha intimorito le nostre genti, in Russia come in Bielorussia. Noi non parliamo di riforma, ma di perfezionamento. Non percorriamo la precedente strada della distruzione. Partiamo da quello che abbiamo, mettiamo in piedi ciò che veramente vale la pena, e iniziamo a perfezionare tutto questo. E fondamentalmente ci appoggiamo alle fondamenta che sono state create in Unione Sovietica, qui, in questa terra, e innalziamo un edificio economico normale, che oggi ci fa conseguire il risultato definito. Costruiamo un modello che tiene conto, prima di tutto, dell’essere umano. E unicamente in questo si trova la base della forza del presidente e del nostro stato, nel fatto che mai perderemo di vista gli interessi del cittadino”» (Medvedev, 2006).

[1] Devo dei ringraziamenti a Francesco Alarico della Scala per alcune informazioni sulla Repubblica Democratica Popolare di Corea.

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