Addio a Bernardo Bertolucci che unì l’amore per l’arte a quello per la classe operaia

di Emanuele Biancone

 

Oggi è mancato Bernardo Bertolucci, l’ultimo maestro del cinema non solo italiano, ma mondiale. L’unico italiano a vincere Oscar come miglior regista per il film “L’ultimo imperatore” che è stato anche il film italiano che a vincere più Oscar.

Figlio del poeta Attilio Bertolucci, inizialmente volle seguire la strada del padre, ma poi decise per quella del cinema iniziando a fare l’aiuto regista di Pier Paolo Pasolini.

Nel primo film da lui diretto, “La commare secca” (1962), il soggetto e la sceneggiatura vennero scritti da Pier Paolo Pasolini. Ma dopo questo film si staccò dalla poetica Pasoliniana, procedendo, film dopo film, verso una sua poetica.

Un altro elemento qualitativo determinante per il suo cinema è rappresentato dalla Nouvelle Vague e soprattutto dal regista Godard.

Il primo film dove traspare nitidamente la sua poetica è “Prima della rivoluzione” (1964), in cui rappresenta la crisi morale e sociale di un giovane borghese. In questo film per la prima volta mostra i suoi ideali comunisti, fattore determinante per la sua poetica e per il suo cinema.

Il suo primo successo fu “Il conformista” (1970) ispirato all’omonimo romanzo di Alberto Moravia: in questo film con uno stile personale fece un opera sarcastica sul fascismo quotidiano.

Nel 1972, esce nei cinema il film “Ultimo tango a Parigi” che fu applaudito dal pubblico ma criticato dai giornalisti, soprattutto quelli vicini ad un’ ideologia reazionaria e perbenista, che gridò allo scandalo. Un film, in verità, che segnò la storia del cinema, che cominciò ad allontanarsi dal moralismo provinciale dell’Italia dell’epoca.

Ma sicuramente l’apice del suo successo fu raggiunto nel 1976, quando diresse “Novecento”, capolavoro non solo del cinema italiano ma anche mondiale. Innanzitutto con un cast spettacolare con attori stranieri e italiani: De Niro, Depardieu, Sandrelli Sandra, Valli e Lancaster. Con quel film, Bertolucci raccontò la storia di mezzo secolo della classe operaia del Nord Italia. Unì la storia con la “S” maiuscola con quella del dramma familiare. Lo stesso Bertolucci definì questo film un ponte tra il cinema hollywoodiano e il realismo socialista.

Nel 1987 diresse il colossal “L’ultimo imperatore” con l’attore Peter O’Toole, tratto dall’autobiografia “From Emperor to Citizen – The Autobiography of Aisin-Gioro Pu Yi” di Henry Pu-yi, in cui il regista racconta la solitaria storia dell’ultimo imperatore cinese. Il film vinse nove Oscar e vince anche altri premi: BAFTA, César, David di Donatello, Golden Globe, European Award e Nastri d’Argento.

Alla fine della sua carriera i suoi traguardi sono stati dedicati ai giovani.

Questi film hanno insegnato e insegnano ai giovani ad andare oltre l’influenza della società, oltre l’omologazione, il conformismo e i paradigmi culturali borghesi; tendono ad un apertura mentale e spirituale che sono stati dirompenti nell’Italia della seconda metà del Novecento.

Bertolucci non fu solo un regista di film, ma anche di documentari fra cui il più importante è stato il documentario collettivo sui funerali di Enrico Berlinguer.

Nel suo cinema è sempre presente l’influenza del suo impegno politico, il suo amore per il diverso, per la classe operaria.

Un regista insolito nel panorama italiano che sapeva dirigere film corali come quelli di Hollywood ma con profonde radici nella cultura italiana.

Impegnato politicamente, fu iscritto al PCI e fino all’ultimo fu partigiano delle sue idee: nonostante fosse malato da tempo, firmò l’appello per il regista palestinese Mohammad Bakri finito sotto processo in Israele.

Tutto il suo cinema ha unito amore per la politica e amore per l’arte. Un cinema impegnato ma anche poetico, con un’ eleganza unica è riuscito a raccontare i suoi ideali.

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