di Edoardo Zanchini *
Il cielo sopra Pechino è tornato blu. È il primo Inverno che capita di riuscire a guardare oltre quell’impenetrabile coltre di smog che era diventata l’immagine più efficace delle contraddizioni ambientali dello sviluppo economico cinese. Questo risultato non è affatto banale, ed è il segno più evidente del cambiamento del ruolo dell’ambiente nelle priorità politiche e nella visione dello sviluppo impresso dal Presidente cinese Xi Jinping, di cui tanto si parla in questi giorni sui giornali per la modifica alla costituzione che elimina ogni limite per il suo mandato. La tutela della bellezza e del patrimonio naturalistico nazionale e la lotta contro l’inquinamento sono infatti due degli assi strategici della visione di prosperità per il futuro della Cina, che si trova al centro del tredicesimo piano quinquennale che punta a tenere assieme sviluppo economico e riduzione delle diseguaglianze in quanto fattori decisivi per garantire il consenso tra la popolazione.
Il cambiamento nelle politiche ambientali a Pechino lo si può raccontare attraverso tanti esempi concreti. In pochi anni sono state sostituite tre milioni di cucine a carbone, con più efficienti apparecchi a gas, e si sono chiuse fabbriche e centrali che non rispettavano i limiti di legge. E qui sta l’altro pilastro del cambiamento impresso da Xi Jinping, perché nulla di tutto questo sarebbe stato possibile senza una radicale lotta contro la corruzione. Girando per la città si incontrano i cantieri delle nuove metropolitane in costruzione e centinaia di migliaia di bici condivise – il sistema free flow per cui le puoi prendere e lasciare dove vuoi e le paghi con lo smartphone -, che sono solo alcuni dei tasselli di una strategia che punta a ridurre il peso di un traffico spaventoso per il numero di automobili in circolazione portate dal nuovo benessere.
Ma sono le fonti rinnovabili l’indicatore più impressionante di quanto sta avvenendo in campo ambientale. Perché in pochi anni la Cina è passata dall’essere la fabbrica dei pannelli solari che venivano installati in Germania e Italia, a diventare il primo Paese al Mondo per installazioni. Nel 2017 oltre metà degli investimenti nelle rinnovabili nel mondo sono avvenuti in Cina, per un totale di 132 miliardi di dollari mobilitati. Nel solare sono stati installati negli ultimi due anni più Gigawatt di quanti non ve ne siano in tutta Europa. Ma l’aspetto più impressionante è che la corsa non si sta fermando, perché ancora più ambiziosi sono gli obiettivi fissati dal Governo e sono state introdotte nuove politiche per spingere l’eolico a terra e in mare, il solare e le altre rinnovabili in una corsa che punta a ridurre i costi degli interventi e a limitare il peso del carbone. Per far capire la dimensione di queste sfide in un Paese più grande come superficie degli Stati Uniti d’America, sono in corso di realizzazione cantieri per costruire nuovi elettrodotti lunghi 3mila chilometri per portare l’elettricità prodotta dai grandi parchi eolici nelle regioni prossime alla Mongolia verso le arre costiere più industrializzate, utilizzando soluzioni che per dimensione e complessità nessuno ha mai progettato o immaginato prima. Per tornare a una dimensione più familiare, nei prossimi anni State Grid of China, la società dello Stato che gestisce le reti energetiche, sostituirà oltre 500milioni di contatori elettrici in modo da avere, in ogni casa e attività produttiva, moderni smart meter per garantire una gestione sempre più efficiente e sicura dell’energia.
Sono queste scelte che fanno capire quanto l’impegno che la Cina ha messo nella ratifica dell’Accordo di Parigi sul Clima sia tutto tranne che un bluff. Le fonti rinnovabili e lo sviluppo di moderni reti energetiche, integrati con sistemi di accumulo dell’energia, sono una scelta strategica per la Cina sia in termini di politica ambientale che industriale, e risultano molto utili nell’accompagnare la strategia delle imprese cinesi nel Mondo. A partire dai progetti strategici, come la Belt and Road initiative – la strategia di sviluppo e cooperazione tra I Paesi dell’Eurasia lanciata nel 2013 da Xi Jinping, che prevede la realizzazione di nuovi corridoi infrastrutturali -, ma anche nelle partnership economiche sempre più forti tra imprese cinesi e di altri Paesi, in particolare dell’Africa. Noi in Italia già conosciamo questa strategia, perché State Grid of China controlla una quota delle azioni di Terna, ossia la società che gestisce le reti di trasmissione dell’energia in Italia. Ma più interessante, o preoccupante, è che la società dello Stato cinese possiede quote analoghe della rete portoghese, greca e sta in questi giorni terminando l’acquisizione di una analoga quota della società che gestisce la rete tedesca, 50Hertz. Qualcuno comincia a lanciare allarmi rispetto al protagonismo cinese e ai rischi rispetto ad asset fondamentali in termini non solo economici, ma di sicurezza dei Paesi. Ma per ora una seria riflessione non si è aperta e manca in Europa la comprensione di quanto il cambiamento in corso in Cina produrrà riflessi sulla nostra economia.
Un esempio è la mobilità elettrica, dove sta avvenendo in tutto il Mondo un’accelerazione incredibile. Ma mentre tutti guardano alla California e alle bellissime automobili prodotte dalla Tesla, è in Cina che i numeri di questa rivoluzione potrebbero risultare ben più interessanti. Sia nel campo delle automobili, dove è protagonista la Volvo oramai di proprietà cinese, che in forma ancora più originale in quella che è la micro mobilità elettrica. A Shanghai e Pechino in poco meno di tre anni sono scomparsi moto e motorini a benzina, ossia quelli che conosciamo nelle città italiane, sostituiti da una moltitudine di mezzi elettrici. Sono a due, tre o quattro ruote e il numero di veicoli in circolazione è stimato vicino ai due milioni nelle più grandi città cinesi. L’aspetto più affascinante di questa rivoluzione lo vedi nella sua dimensione popolare. Perché sono usati da chi va a lavorare, da chi trasporta merci, da signore e signori di ogni età. E siccome la ricarica dei mezzi avviene con semplici spine ognuno si organizza come meglio crede. Tra qualche tempo beneficeremo anche noi di questa trasformazione della mobilità privata in versione low cost che sta producendo una riduzione dei prezzi dei motorini e delle batterie senza precedenti. Forse a quel punto ci renderemo conto che una riflessione su quanto sta avvenendo in Cina è quanto mai interessante, anche per ragioni politiche.
Mettendo in fila i cambiamenti nella società e nell’economia cinese è infatti evidente come sia sempre più forte e radicata una visione dello sviluppo che ha compreso l’importanza della questione ambientale, sia in termini di tutela delle risorse che come fattore di innovazione. Al contempo però il principale motore di questi processi fino ad oggi è stato il Governo, attraverso un forte dirigismo delle politiche e un controllo attentissimo per evitare ogni forma di protesta a livello locale nei confronti delle condizioni di inquinamento e per chiudere ogni spazio di dibattito o ruolo della società civile. È davvero un paradosso, ma in questo momento la più credibile speranza che la crescita della temperatura del Pianeta si fermi entro i due gradi, come previsto dall’accordo di Parigi, viene da quanto sta avvenendo in Cina. Perché di sicuro non si potrà contare sull’America di Trump ma nemmeno più di tanto sulla timidezza dell’Europa. La risposta a queste contraddizioni non è semplice, ma oggi va al cuore delle sfide che hanno di fronte le democrazie.
* Vicepresidente nazionale Legambiente