di Mauro Alboresi, Segretario Nazionale PCI
In questi ultimi giorni, a fronte della pandemia da coronavirus, si sono levate diverse autorevoli voci che chiedono la temporanea sospensione, o quantomeno l’allentamento, del blocco finanziario, economico, sociale, nei confronti di Cuba.
Tale posizione evidenzia una certa consapevolezza circa il cosa esso comporta normalmente sulle condizioni materiali, di vita, del popolo che ne è fatto oggetto, rese indubbiamente ancora più pesanti nelle condizioni date, ma ne evidenzia anche i limiti.
Il punto è che il blocco nei confronti di Cuba è e resta un atto criminale, perpetrato da oltre 60 anni dagli USA nei confronti di un governo, di un popolo, che non si piega ai voleri di una potenza imperialista che continua ad agire in spregio al diritto internazionale, al pronunciamento contrario della quasi totalità dei paesi del mondo (come avvenuto recentemente in sede ONU) arrogandosi il diritto di decidere cosa è giusto e cosa non lo è. La questione è e resta quella del no al blocco nei confronti di Cuba, sempre e comunque, a prescindere quindi dalla pandemia da coronavirus, che peraltro tale paese potrebbe affrontare assai meglio degli stessi USA, potendo fidare su di un sistema sanitario non casualmente di gran lunga superiore. Richieste come quelle formulate, al di là delle intenzioni, rappresentando una sorta di mediazione, non aiutano granché, e
finiscono con il fare passare il messaggio che in tempi “normali”, non segnati dal coronavirus, il blocco è condivisibile.
No, il blocco nei confronti di Cuba è inaccettabile, va rimosso, al pari delle
sanzioni, degli embarghi e delle altre misure decretate nei confronti di altri paesi, in nome della medesima logica, alla quale si assoggetta sempre più l’Unione Europea, e con essa il nostro paese.