di PCI Emilia-Romagna
- Al sig. Ministro dell’Interno
- Al sig. Ministro del Lavoro e della Previdenza Sociale
- Al sig. Ministro della Salute
- Al Presidente della Regione Emilia-Romagna
- Ai sig.ri Prefetti di Bologna, Ferrara, Forlì/Cesena, Modena, Parma, Piacenza, Ravenna, Reggio Emilia, Rimini
- e p.c. agli organi di stampa
In questa fase di grave emergenza sanitaria, le Autorità hanno posto in essere eccezionali limitazioni alla libertà di movimento e di azione dei cittadini, nonché la chiusura delle attività commerciali e produttive non strettamente essenziali.
Prevedendo anche rigorose misure di controllo.
Non vogliamo qui mettere in discussione la maggiore o minore efficacia delle misure applicate, né la correttezza delle procedure seguite, questioni di cui si avrà modo di discutere ancora per mesi dopo l’auspicabile termine della fase di emergenza.
Quello che ci porta a scrivere, è l’elevato numero di imprese industriali tuttora attive, senza che risulti “verificata” la “stretta essenzialità” dell’attività esercitata e, purtroppo assai spesso, senza accertare che effettivamente l’impresa garantisca, nei confronti dei propri dipendenti e collaboratori, le necessarie cautele e prevenzioni previste.
Dette imprese mantengono la propria attività operativa sulla base di autocertificazione, inviata alla Prefettura di competenza, con la quale dichiarano la propria conformità al DPCM del 22 marzo 2020. Sono numeri importanti, ad esempio la FIOM di Modena (come riportato dalla Gazzetta di Modena nell’edizione del 2 aprile scorso) denuncia la presenza di “almeno 2.000 aziende che non sono in regola”.
Bene, chiediamo, perché non si applica nei confronti delle imprese il medesimo rigore che si applica lungo le strade per controllare gli spostamenti dei singoli cittadini? Forse si ritiene meno rischiosa l’esposizione dei lavoratori in luoghi di lavoro (dove non sempre sono garantite la distanza e la protezione richieste) rispetto a quella nei luoghi pubblici? Eppure, sovrapponendo le mappe della concentrazione delle attività industriali e della frequenza di casi di Covid-19 in Italia saltano agli occhi gli ampi margini di sovrapponibilità.
Chiediamo dunque alle Istituzioni di provvedere a controllare, con rigore, le autocertificazioni prodotte dalle imprese, anche in previsione della futura ripresa delle attività produttive, impegnando fortemente gli Organi di controllo preposti, in primis gli Ispettorati del Lavoro (in questi ultimi decenni fortemente depotenziati), dotandoli di adeguate risorse umane, tecniche ed economiche. La salvaguardia della salute dei lavoratori deve essere un principio intangibile, nel rispetto dell’art. 1 della Costituzione.