Comunicato congiunto con Fronte Popolare e Risorgimento Socialista
Perché coronavirus e crisi economica li paghino i ricchi
- Fermare la libera circolazione dei capitali nell’UE per mettere fine al dumping fiscale
- Stabilire tramite trattato internazionale una tassazione solidale dell’80% su capitali, rendite e dividendi
azionari
L’emergenza sanitaria provocata dalla diffusione del contagio da coronavirus si sta tramutando in emergenza economica per milioni di persone in Italia, negli altri paesi che compongono l’Unione Europea e
in tutto il mondo. Lavoratrici e lavoratori, con tutto il sempre più vasto mondo del precariato, disoccupate e disoccupati, piccoli commercianti, titolari di imprese artigiane e partite IVA, pensionate e pensionati,
piccole e medie imprese infeudate alla committenza e gravate dai debiti con il sistema bancario: ecco le vittime predestinate dello stallo produttivo prodotto dalle misure di quarantena necessarie a fronteggiare
la grave crisi sanitaria.
I primi provvedimenti adottati dal governo italiano, in particolare con il decreto “Cura Italia”, mirano a stabilire canali di credito e garanzie per puntellare l’economia reale contro l’imminente tracollo. Il problema però non è soltanto se finanziare o meno le categorie colpite dalla crisi: si tratta anche di stabilire come reperire i fondi. Si tratta, in altri termini, di stabilire chi debba pagare il conto.
Nelle ultime settimane, in seno all’Unione Europea si è acceso lo scontro sull’emissione dei cosiddetti “coronabond”. L’Italia, la Francia e la Spagna si sono schierate in prima linea a favore dell’istituzione di questo strumento di spartizione del debito tra i paesi membri dell’Unione, mentre la Germania e i Paesi Bassi guidano il fronte dei contrari. In altre parole, la strada indicata dai governanti europei per far fronte all’emergenza è quella dell’indebitamento, sia esso contratto dai singoli Stati oppure attraverso uno strumento “solidale” istituito dall’UE.
La contraddizione di vasta portata che questa crisi ha aperto tra i componenti del progetto ultraimperialista europeo non va sottovalutata. A venire in causa è un ridisegno pluridecennale delle relazioni internazionali, proprio nel momento in cui si voleva condurre la “costruzione europea” a un salto di qualità sotto la guida dell’imperialismo tedesco, che la proiettasse al rango di potenza mondiale con aspirazioni egemoniche.
Un disegno che potrebbe ora essere ridimensionato o addirittura franare,
aprendo inediti spazi alla lotta per la sovranità popolare e la democrazia in singoli Stati finalmente in condizione di recuperare margini decisivi di autodeterminazione.
Però non ci si deve fare ingannare. I “coronabond” sono l’ennesimo cavallo di Troia contro le classi popolari. Il meccanismo del debito porta enormi profitti agli speculatori sui mercati finanziari, mentre il conto resta da pagare per generazioni ai popoli. Certamente, l’emissione dei “coronabond” costituirebbe un ostacolo allo sfruttamento del meccanismo dello spread da parte della Germania e dei suoi satelliti, per i quali esso rappresenta uno strumento grazie al quale finanziarsi a spese delle economie degli altri paesi UE.
In termini di classe, tuttavia, una simile soluzione si rivelerebbe a medio termine controproducente per noi e vantaggiosa per profittatori e speculatori.
Esistono altre strade da percorrere?
Noi muoviamo innanzitutto dalla consapevolezza che i popoli siano un prodotto della storia umana, di percorsi complessi ed epocali: non scaturiscono nel giro di un paio di decenni sulla scia di un traino
monetario. In questo senso non c’è propriamente un popolo europeo. È nostra convinzione che l’Unione Europea sia irriformabile: come è stato detto con formulazione sintetica, il progetto UE è un “efficacissimo
piano di disciplina e svalutazione del lavoro”.
Da questo punto di vista, non intendiamo certo accreditare “riformismi irrealizzabili”. Tuttavia la fase attuale ci dice che siamo giunti ad una vera e propria svolta: e non per merito nostro ma a seguito di una catastrofe globale, che trova l’Unione Europea spaccata e incapace di reagire, appesa com’è alle sue regole antipopolari quanto fallimentari. Giunti a un tale bivio, vale la pena esplicitare un paio di proposte che, se avessimo a che fare con una seria capacità di autocritica, dovrebbero esser prese in esame: anche e soprattutto in considerazione del dramma sociale che va ormai profilandosi.
La “costruzione europea” si è fino a oggi sviluppata secondo uno schema preciso. La creazione di un mercato comune dei capitali, delle merci e del lavoro a disparità di regimi fiscali, livelli salariali e diritti, ha consentito alle concentrazioni monopolistiche europee di garantirsi profitti straordinari, intensificare a dismisura lo sfruttamento del lavoro e sottrarsi sistematicamente a qualunque forma di responsabilità sociale.
Scegliendo liberamente tra i regimi fiscali degli Stati membri quelli più compiacenti, i grandi gruppi finanziari e industriali hanno potuto garantire ai loro azionisti dividendi più alti senza nessuna controindicazione. Alcuni Stati hanno approfittato della situazione, praticando politiche dissennate di
dumping fiscale per attrarre capitali e garantirsi enormi rendite.
Uno degli esempi lampanti del funzionamento del dumping fiscale in Europa sono i Paesi Bassi, dove i dividendi e i capital gain (guadagni dovuti alla variazione di prezzo delle azioni di un determinato bene o servizio) che affluiscono dalle controllate estere non concorrono all’imponibile, mentre interessi e royalty non sono tassati.
Per queste ragioni, un folto gruppo di colossi del capitalismo “italiano” ha deciso di stabilirvi la propria sede legale o quella di una consociata: FCA, ENI, ENEL, Exor, Ferrero, Prysmian, Saipem, Telecom, Illy, Luxottica e altre ancora. Ogni anno queste compagnie ripartiscono ai loro azionisti
dividendi miliardari: tutti soldi di tasse risparmiati, cioè sottratti legalmente dalle nostre tasche. La sola FCA quest’anno ha ripartito ai suoi azionisti 8.5 miliardi di euro di dividendi.
Il principio della libera circolazione dei capitali, che permette questo furto legalizzato ai danni dei popoli europei, è stato iscritto nel Trattato di Maastricht come uno dei capisaldi più sacri dell’Unione e poi mutuato dal successivo Trattato di Lisbona. Si tratta di un principio assoluto, che si applica nei rapporti tra gli Stati membri e tra questi e i paesi terzi.
Ora che la nostra libertà di movimento, in nome della responsabilità individuale nei confronti della società e della salvaguardia della vita e della salute, è limitata per far fronte all’emergenza coronavirus, dovrebbe
essere non più rinviabile il fatto che, in nome di quegli stessi principi, si proceda a uguali limitazioni per il denaro di speculatori e azionisti. Nell’attuale contesto emergenziale, è tempo che la responsabilità sociale
non ricada soltanto sulle spalle delle classi popolari, ma anche e soprattutto di chi ogni giorno si arricchisce con la nostra fatica per poi permettersi il lusso di versare, in nome di un’irrisoria “beneficenza”, qualche
milioncino di euro di carità a favore della ricerca di una cura per il covid 19.
La nostra proposta è che si blocchi immediatamente la libera circolazione dei capitali all’interno dell’UE, in modo da permettere agli Stati di tassare rendite, dividendi e grandi capitali nella misura necessaria a finanziare il sostegno al reddito e al tenore di vita di lavoratrici e lavoratori, piccoli commercianti, titolari d’imprese artigiane e partite IVA, pensionate e pensionati, disoccupate e disoccupati e piccole e medie imprese. Stiamo proponendo una vera e propria manovra di esproprio in nome della responsabilità e della solidarietà sociale.
Ma questo non basta, perché molti capitali si sono già mossi, nel corso di decenni, lungo le rotte del dumping fiscale europeo. Occorrerebbe dunque stabilire una tassazione solidale uniforme in tutti i paesi membri dell’UE, le cui risorse dovrebbero esser fatte confluire nelle casse di un’istituzione europea ad hoc sul modello di quella proposta dai sostenitori della soluzione dei “coronabond”. A tale istituzione dovrebbero partecipare con pari dignità i rappresentanti dei governi di tutti i paesi coinvolti e le risorse
dovrebbero essere ripartite equamente tra tutti i paesi, secondo criteri di proporzionalità rispetto alla popolazione e al volume del danno economico subito da ciascun paese, con un vincolo di destinazione a favore dell’impiego per il sostegno all’economia reale, al reddito e al tenore di vita delle classi popolari, alla salvaguardia delle attività produttive e dell’occupazione.
A questo fine, la nostra proposta è che si stabilisca un’aliquota dell’80% con cui tassare rendite, capitali e dividendi azionari, modulando il meccanismo impositivo in modo da salvaguardare gli investimenti dei piccoli risparmiatori e le rendite più basse.
Occorre sottolineare due elementi a sostegno delle nostre proposte. Il primo è che le iniziative assunte o annunciate dal governo Conte per rafforzare il golden power, cioè gli strumenti di cui lo Stato si dota per difendere, orientare e vincolare i settori strategici dell’economia, vanno nella direzione da noi auspicata e dimostrano come la quarantena dei capitali sia una via percorribile e necessaria. Il secondo è che qualunque ipotesi di patrimoniale si scontrerebbe con la fuga dei grandi capitali che proprio la libera circolazione in ambito europeo facilita: la quarantena dei capitali e la negoziazione di accordi internazionali in ambito europeo sarebbero quindi condizioni imprescindibili per rendere concretamente applicabili simili
misure.
Deve esser chiaro che non si tratta, da parte nostra, di una forma di riconoscimento dell’attuale Unione Europea. Su questo non coltiviamo alcuna illusione. Sappiamo che, per provare a stabilire margini maggiori
di equità e giustizia nel nostro continente e per recuperare quanto è stato sottratto ai popoli europei, occorre uscire fuori dall’incubo dell’ordoliberismo e delle logiche di Maastricht. Abbiamo formulato le
nostre proposte, la cui divulgazione richiederebbe senz’altro la costruzione di tavoli di confronto e condivisione con le forze della sinistra di classe degli altri paesi dell’UE, quale extrema ratio e a partire dalle necessità dell’emergenza. E’ l’oggettività oggi a sanzionare ulteriormente e definitivamente il fallimento degli orientamenti e delle regole dell’Ue nonché la necessità del loro superamento (comunque la
pensino a Bruxelles e a Berlino).