di Dipartimento Scuola, Università, Ricerca PCI
La risposta della scuola statale italiana alla sospensione delle attività didattiche a causa dell’emergenza Coronavirus è stata straordinaria.
Prima ancora che arrivassero indicazioni dal Ministero dell’Istruzione sono state messe in campo iniziative per mantenere vivo il rapporto con gli studenti e con le famiglie e per garantire per quanto possibile una continuità didattica. Una vicinanza agli alunni di cui non dobbiamo sottovalutare l’aspetto psicologico, perché un conto è vivere nell’ambito delle relazioni familiari la nuova situazione, con il suo carico di angosce, un conto è poterla condividere, sia pure con grandi limiti, con i compagni e con gli insegnanti.
Questo non giustifica però in alcun modo la retorica della didattica a distanza di cui molti, soprattutto in ambito istituzionale, si sono esercitati per ignoranza o, più spesso, per porre le condizioni di un nuovo attacco alla
scuola pubblica.
Le criticità della didattica a distanza non vanno sottaciute. Pensiamo ai bambini più piccoli, pensiamo agli alunni con difficoltà, pensiamo a chi non ha a casa strumenti informatici e connessioni adeguate, oppure ai tanti alunni e alle tante alunne della scuola dell’infanzia e della primaria i cui genitori lavorano; pensiamo agli studenti che frequentano gli istituti tecnici e professionali che non possono svolgere attività di laboratorio.
Grave è anche il problema dell’assenza di piattaforme pubbliche e unificate che avrebbero garantito alunni e docenti sul piano dei diritti e dell’uniformità di condizioni, oltre a togliere spazio ad una aggressiva industria privata, dominata dalle multinazionali.
Continuare la scuola solo con la didattica a distanza significa non assicurare il diritto all’apprendimento.
L’emergenza non ha abolito il principio costituzionale secondo cui l’istruzione deve essere garantita a tutti e che è compito della Repubblica rimuovere le condizioni che determinano le disuguaglianze.
La crisi gravissima che stiamo vivendo non deve essere ancora più pesante per i bambini e i ragazzi più svantaggiati.
La scuola non può essere uno schermo acceso per un altro anno, semmai la didattica a distanza può essere utile per integrare la didattica in presenza.
L’obiettivo è riaprire le scuole per tutti e tutte, a settembre, a cominciare dai più piccoli.
Questo non significa che sottovalutiamo la situazione sanitaria e l’esigenza di garantire straordinarie misure volte a contrastare il contagio.
La ripresa della scuola e di tutte le altre attività formative, lo sappiamo, andrà fatta in condizioni completamente diverse rispetto al passato.
Si tratta di riorganizzare gli spazi e reperirne di nuovi per garantire il distanziamento sociale, riorganizzare gli orari, dimezzare le classi, riorganizzare i servizi di mensa e trasporto, assicurare alle scuole più personale docente e ATA a partire dal 1° settembre, evitando la solita girandola di insegnanti fino ad Autunno inoltrato; dotare le scuole di risorse economiche per acquistare strumenti, materiale igienico, dispositivi di protezione per il personale e per gli alunni.
Occorre inoltre, nel caso si debbano integrare didattica a distanza e in presenza, costruire una piattaforma digitale statale e assicurare a tutti gli alunni gli strumenti necessari.
I primi mesi del prossimo anno scolastico dovrebbero essere dedicati al recupero degli apprendimenti non adeguatamente sviluppati in questo anno scolastico.
Che non significa corsi di recupero per alcuni alunni, ma
attività rivolte a tutti gli alunni, che tengano conto dei punti di partenza di ciascuno.
Per organizzare tutto questo occorre un piano in tempi brevissimi da parte del Ministero prima e subito dopo degli Enti locali e delle scuole.
Un piano che individui precise e adeguate risorse, rivolte in particolare ad un forte incremento e stabilizzazione degli organici, ad interventi di edilizia scolastica, alla dotazione di materiali didattici e attrezzature tecnologiche.