di Emiliano Alessandroni
«Lo Stato italiano, attraverso l’esame della guerra, ha rivelato la sua intima essenza: esso è lo Stato di Pulcinella, è il dominio dell’arbitrio, del capriccio,
dell’irresponsabilità, del disordine immanente, generatore di sempre più asfissiante disordine».
Il risultato della Grande Guerra è stato, scrive Antonio Gramsci, un «cupo abisso di miseria, di barbarie, di anarchia, di dissoluzione», in cui «l’organizzazione dei servizi sociali era sfatta; la compagine umana stessa si era ridotta ad un’orda nomade di senza lavoro, senza volontà, senza disciplina, materia opaca di una immensa decomposizione».
Considerato d’altro canto «il deficit del bilancio statale», lo sgretolamento della «produzione nazionale» e «l’esodo dei capitali all’estero», «i cinquecentomila morti» che più non resusciteranno, né lavoreranno, assieme ai «cinquecentomila invalidi» perlopiù privi di mobilità fisica; considerate le «centinaia di migliaia di famiglie» che hanno perduto la stabilità economica «e devono vivere della carità»; tenute presenti le ondate migratorie, «la crisi dell’industria siderurgica, che si mangia ogni
anno centinaia e centinaia di milioni in oro, che corrompe l’organizzazione del credito, che impedisce ai contadini di avere strumenti agricoli a buon mercato, che impedisce quindi una ripresa nella produzione degli alimenti»; considerato tutto ciò, l’intellettuale sardo non può che giungere a una conclusione: «l’Italia è stata ridotta tutta una piaga dalla guerra e il sangue scorre a ruscelli dal corpo tagliuzzato».
Il quadro complessivo è tutt’altro che incoraggiante. L’intento di ogni governo occidentale, allora, era quello di difendere gli interessi economici delle proprie alte borghesie, ma di difenderli, si badi bene, con il sangue e la pelle delle classi subalterne, sapendo anche che in questo modo si sarebbero allentate le tensioni sociali. Così, sottolineava polemicamente Rosa Luxemburg, «l’immortale appello del Manifesto comunista» di Marx ed Engels «Proletari di tutti i paesi unitevi!» si tramutava ora, nella pubblicistica interventista e nei campi di battaglia, in «Proletari di tutti i paesi sgozzatevi!».
Ecco perché appare di un’inaudita gravità il messaggio fatto recapitare agli studenti da Marco Ugo Filisetti, Direttore dell’“Ufficio scolastico regionale per le Marche”, in occasione della “Giornata dell’Unità nazionale e delle forze armate”, nel quale viene apertamente esaltata la guerra e glorificato il martirio. Di un’inaudita gravità, non soltanto perché tale messaggio si trova in stridente contraddizione con lo spirito della nostra carta costituzionale, la quale non cessa di esprimere una piena valorizzazione della pace e un esplicito ripudio della guerra. Ma anche per il messaggio subliminale di legittimazione del fascismo che il testo contiene.
La frase «In questo giorno il nostro reverente pensiero va a tutti i figli d’Italia che dettero la loro vita per la Patria», sembra ricalcare pressoché alla lettera quanto troviamo in un discorso pronunciato da Benito Mussolini il 23 marzo 1919 in occasione della nascita dei Fasci italiani di combattimento: «L’adunata rivolge il suo primo saluto e il suo memore e reverente pensiero ai figli d’Italia che sono caduti per la grandezza della Patria».
Ma vi è di più: il virgolettato con cui Filisetti si rivolge agli studenti, «Un uomo è vero uomo se è martire delle sue idee», appartiene, guarda caso, a Giovanni Gentile, Ministro dell’Istruzione dal 1922 al 1924 del governo Mussolini e poi fervente sostenitore della Repubblica di Salò. Gentile fu in effetti uno dei principali ideologi della guerra, che giustificò con ogni mezzo retorico l’entrata dell’Italia nel primo conflitto mondiale. Quel che il testo si guarda bene dal dire, tuttavia, è che per Gentile l’esaltazione della guerra e del martirio costituiva la premessa spirituale per l’affermazione del fascismo. Sì, a giudizio di Gentile «il fascismo» scaturiva dalla «guerra», il cui spirito, a sua volta, proprio nello «Stato fascista…cominciava a fruttificare».
La connessione dunque fra Grande Guerra e Giovanni Gentile è evidentemente una connessione fra Grande Guerra e Fascismo. Il testo elogia la prima ma attraverso le parole del filosofo attualista suggerisce al tempo stesso una legittimazione del secondo. Eccola qua l’abile mossa di Marco Ugo Filisetti che attraverso messaggi subliminali e allusioni sotterranee tenta di rimodellare in senso reazionario le menti dei
giovani studenti, galvanizzato, molto probabilmente, dalla nuova configurazione politica della giunta regionale, che ha appena cominciato il proprio mandato sotto l’ala protettiva di Giorgia Meloni e la guida di Fratelli d’Italia.
È inammissibile, tuttavia, che un ruolo così importante come la direzione dell’“Ufficio scolastico regionale per le Marche”, venga ricoperto da un propagandista senza scrupoli che sembra non avere alcuna intenzione di rispettare lo spirito pacifista e antifascista della nostra Costituzione.