di Edoardo Castellucci, Responsabile Ambiente e Territorio PCI
Il tempo della pandemia ha scandito quasi tutto il 2020 ed eravamo convinti, almeno speravamo, che questa drammatica esperienza indirizzasse il futuro verso un nuovo modello di crescita economico e sociale, confidando nelle parole d’ordine che circolavano: “Nulla sarà come prima”.
Lo scetticismo con cui avevamo accolto queste parole d’ordine ci viene confermato dalla logica capitalista, che fa della crisi l’occasione per sopravvivere alle crisi in modo da poter porre poi le basi per produrre nuova accumulazione di capitale. Una logica che addirittura propone la quotazione in borsa dell’acqua.
La quotazione in borsa dell’acqua certifica di fatto un non riconoscere il valore di diritto umano sancito nell’Assemblea generale dell’ONU del 2010 e dal Consiglio dei diritti umani.
La creazione del primo “future” sul mondo dell’acqua è stato annunciato dal Cme Group, piazza finanziaria dei contratti a termine più grande del mondo, in collaborazione col Nasdaq, e questo comporterà che il bene più
prezioso al mondo diventerà una commodity e sarà influenzata dalla speculazione finanziaria, al pari di oro, diamanti, petrolio, etc.
Ancora una volta il capitalismo predatorio non conosce limiti, nemmeno in un momento di crisi sanitaria che sta mettendo in ginocchio il mondo intero, e mentre si discute sui valori ambientali e sociali dell’acqua, di cambiamenti climatici e di emergenza coronavirus, sferra un attacco alla salute pubblica dell’intero pianeta, un attacco condannato anche dall’ONU, attraverso le dichiarazioni, riportate da Francesca Mancuso su sul sito GreenME, di Pedro Arrojo-Agudo (Responsabile speciale per i diritti umani, per l’acqua potabile e i servizi igienico-sanitari sicuri) perché “L’acqua appartiene a tutti ed è un bene pubblico.
E’ strettamente legato a tutte le nostre vite e ai mezzi di sussistenza ed è una componente essenziale per la salute pubblica” e “Non si può dare valore all’acqua come si fa con altre materie prime scambiate”.
Stupisce la posizione di alcuni ambientalisti, che sostengono che dare un prezzo all’acqua potrebbe essere la soluzione migliore per salvare l’approvvigionamento idrico del pianeta, in quanto un valore alto potrebbe portarne a sprecarne di meno.
Purtroppo questa è la conseguenza della gestione dell’acqua da parte delle multinazionali e delle loro politiche volte a paragonare l’acqua ad una derrata alimentare e come tale ha un costo.
Politiche che verifichiamo ogni giorno anche in Italia con l’aumento delle tariffe, la scarsa qualità dell’acqua e i distacchi di erogazione a famiglie indigenti, grazie a quell’insulto alla democrazia, come lo chiama Alex Zanotelli, che il 21 aprile 2016 è stato perpetrato dai rappresentanti del popolo italiano della Camera dei Deputati, che di fatto hanno fatto carta straccia del voto di 26 milioni di italiani che avevano votato, al Referendum del 2011, perché l’acqua uscisse dal mercato e non si facesse profitto su questo bene fondamentale.
Una vergogna i cui principali responsabili sono il Partito Democratico e i partiti della Destra che con 243 voti a favore contro 129, hanno deciso di far rientrare il servizio idrico nel mercato perché, per loro, è un “bene di interesse economico”.
Dal 2011 non è cambiato nulla, nessuno dei governi, che si sono alternati alla guida dell’Italia, ha trasformato la decisione del popolo italiano in legge, adducendo come scusa che la ripubblicizzazione dell’acqua avrebbe un costo eccessivo per le casse dello Stato, quello Stato che delega alle imprese il benessere della Società italiana e apre le porte a finanziamenti miliardari per la realizzazione di “grandi opere strategiche”, come TAV, TAP, 5G, Ponte sullo Stretto.
Da Comunisti abbiamo da sempre avversato questa politica delle grandi opere, inutili e dannose per il sistema territoriale, ambientale e sociale, l’unica grande opera che ci sentiamo di finanziare e realizzare è quella di
investire sulla ripubblicizzazione dell’acqua e sull’ammodernamento della rete di distribuzione, rivendicando l’attuazione dell’esito referendario del 2011, e rilanciando la proposta, enunciata nel programma + Stato –Mercato,
di “inserimento in Costituzione del diritto all’acqua pubblica” che deve essere usata in primo luogo e in modo sostenibile per fornire ai cittadini acqua potabile, e in quanto tale, non è un bene di mercato e quindi non può avere un costo.