di Giorgio Langella, Responsabile Dipartimento Lavoro PCI
e Dennis Vincent Klapwijk, Responsabile Dipartimento Lavoro FGCI
I dati forniti da ISTAT evidenziano il drammatico calo dell’occupazione che si è verificato nel 2020. Il tasso di attività è calato dal 65,4% del dicembre 2019 al 63,9% rilevato nel dicembre del 2020. Gli occupati sono diminuiti in un anno di 445 mila unità. La forza lavoro calcolata ha subito un calo di 666 mila unità, cosa che evidenzia una crescita degli inattivi che passano da 13.277.000 a 13.759.000.
Su Repubblica si può leggere di innumerevoli crisi industriali che investono realtà produttive importanti del nostro paese (Blutec di Termini Imerese, Piaggio Aerospace Liguria, Officine Meccaniche Cerutti Piemonte, Embraco Torino, Acc Belluno, Acciaierie Jsw Piombino, Ilva, Acciaierie Ast Terni). Ebbene, per queste (e, plausibilmente, anche altre) l’attuale ministro Giorgetti non risponde alla richiesta, fatta dai sindacati, di intervento da parte del governo. È una situazione che evidenzia la sottovalutazione e l’indifferenza sostanziale nei confronti delle lavoratrici e dei lavoratori. Di chi, in pratica, viene messo sotto scacco e rischia (spesso è sicuro) di perdere il lavoro. Evidentemente il “governo dei migliori” ha altro a cui pensare o, forse, il presente e il futuro di chi vive del proprio lavoro non è considerato una questione che deve essere affrontata e risolta. Dev’essere la particolare attenzione nei confronti di imprese e imprenditori, quel “realismo capitalista” che impone di credere che solo finanziando le imprese private e diminuendo le tasse anche (e soprattutto) a chi “ha di più”, si possa superare la crisi che investe principalmente i ceti meno abbienti del nostro paese. Così, dando la responsabilità alla pandemia e, in definitiva, al fato si cerca la soluzione all’interno di un modello di sviluppo che, invece, se non causa esclusiva ha dimostrato di essere una specie di acceleratore dell’espansione della pandemia stessa.
Colpa del Covid? Certamente un suo ruolo negativo c’è stato, ma sarebbe interessante anche guardare ad altri numeri, altre statistiche che mettono in luce risultati difformi rispetto alla crescente povertà nella quale il nostro paese sta precipitando. Guardando l’elenco di Forbes degli attuali 40 miliardari italiani, per esempio, si può notare come la loro ricchezza complessiva a fine 2020 abbia raggiunto un totale pari a oltre 182 miliardi di dollari. Nel marzo 2020, sempre Forbes valutava la ricchezza complessiva personale degli allora 36 miliardari italiani tra i 125 e i 126 miliardi di euro.
Si dovrebbe rispondere alla domanda su chi dove si possono e si devono trovare le risorse per risolvere i problemi atavici del nostro paese. Togliendo diritti a chi vive del proprio lavoro o tassando in maniera più equa e progressiva le grandi ricchezze e le retribuzioni milionarie? Sarebbe necessario per lo meno indicare la risposta che deve essere data a e in base a questa decidere il che fare. Invece si persiste nella vecchia logica del silenzio, dell’indifferenza, del considerare ineludibili i privilegi di quell’esigua minoranza rappresentata dai più ricchi mentre si continuano a calpestare i diritti (al lavoro, alla salute, all’istruzione …) del resto della popolazione.