Lina Wertmüller e la sua rossa atipicità
La scomparsa di un grande nome del cinema italiano, nonché prima regista donna a essere candidata agli Oscar, lascia sempre un vuoto che sarà difficile da colmare per decenni a venire.
Lina, all’anagrafe “Arcangela Felice Assunta Job Wertmüller von Elgg Esapañol von Brauchich” (questo il suo aristocratico e lunghissimo vero nome, chilometrico come i titoli dei suoi film…) non poteva, come è giusto che sia per ogni personalità con sensibilità e capacità artistiche, essere inquadrata come una stretta militante ideologica, pur manifestando negli anni e a più riprese una vicinanza culturale al Partito Comunista Italiano.
Non possiamo non ricordare i suoi film più celebri quali Mimì metallurgico ferito nell’onore (con le interpretazioni di Giancarlo Giannini e Mariangela Melato), Pasqualino Settebellezze, Film d’amore e d’anarchia, e La fine del mondo nel nostro solito letto in una notte piena di pioggia, oltre che i lavori per la televisione quali la serie Gian Burrasca.
Femminista ante litteram, formatasi anche come assistente di Fellini, non è mai stata inquadrabile in schemi stantii e stagnanti: ha sempre avuto come parametro il rispetto della persona e della dignità umana, e ha dimostrato tale autonomia e capacità di visione a tal punto da rispondere a una delle interviste su Vanity Fair fatta qualche anno fa:
“Le donne al potere sono migliori degli uomini? «Ci sono donne molto intelligenti e uomini molto cretini. Ma anche viceversa».”
L’ultimo commento coglie la sostanza e ridicolizza molti luoghi, divenuti comuni, del e nel ‘femminismo’.