OTTOMARZO. Per una alleanza tra donne delle varie forme della politica

Assemblea delle Donne Comuniste (ADoC– PCI)

Anche per questo 8 marzo i movimenti delle donne hanno lanciato la parola d’ordine dello sciopero globale femminista, una forma di lotta generale che invita a riappropriarsi dello sciopero come pratica politica. Da numerosissimi luoghi dell’associazionismo sono pervenute adesioni e in numerose città italiane sono previste iniziative pubbliche in presenza. L’Assemblea delle donne comuniste aderisce a questa mobilitazione globale e ne sostiene le ragioni: perché coinvolge moltissime donne in vari continenti, potenzialmente tutte le donne del pianeta, e perché si svolge sul doppio fronte della lotta, quello per i diritti del lavoro di produzione e quello del lavoro domestico e di cura, cioè il lavoro per la riproduzione biologica e sociale.

Una giornata di lotta delle donne lavoratrici – non una “festa della donna” come si continua volerla banalizzare – che viene da lontano, da oltre un secolo e, per quanto rituale, è vissuta oggi più che mai come necessaria, caratterizzata dai contenuti che le donne avvertono come impellenti alle diverse latitudini.  

Necessariamente, quest’anno al centro della mobilitazione delle donne europee c’è il problema della guerra in Ucraina e l’urgenza della pace. Come dome donne comuniste ci siamo per dire che bisogna fermare questa guerra, bisogna fermare tutte le guerre, ricordando con Rosa Luxemburg che esse sono l’esito inevitabile delle contraddizioni causate dal capitalismo nella fase dell’imperialismo.

Gli altri temi al centro sono, ancora una volta, il lavoro e la violenza maschile sulle donne.

 Il nostro è il Paese europeo con la condizione femminile fra le peggiori su fronte del lavoro (in Europa stanno peggio di noi solo la Grecia, Malta e Cipro), soprattutto da che la pandemia di Covid 19 ha pesantemente aggravato la condizione delle italiane. La crisi economica capitalistica preesistente alla emergenza sanitaria e gli effetti  della pessima gestione di questa, hanno colpito duramente le donne, rendendo più pesanti le carenze strutturali del sistema sanitario nazionale, di una scuola diventata sempre più presidio di accudimento, le conseguenze della divisione sessuale del lavoro sulla vita delle donne, con la precarietà e il doppio carico di lavoro che le rende più esposte ai licenziamenti, ai risvolti di un modello economico predatorio che considera la natura e le sue risorse come un oggetto infinitamente disponibile e depredabile.

La violenza domestica e i femminicidi sono un dramma quotidiano che si è aggravato nel contesto della crisi sociosanitaria, ma che ha radici antiche che vanno estirpate con risposte politiche, sociali, culturali e simboliche da costruire con la partecipazione di un grande movimento politico unitario delle donne.  

Un’ultima cosa va detta a proposito della validità della proposta di sciopero globale femminista. Poiché in base alla legislazione italiana Non Una Di Meno non è un soggetto abilitato a indire uno sciopero in ambito lavorativo, è indispensabile che vi siano coinvolti sindacati in grado di proclamarlo: a questa necessità hanno risposto però finora solo i sindacati di base e sporadicamente alcune categorie dei sindacati confederali a livello locale. L’ADoC-Pci si è attivata, dove ha potuto, per allargare il supporto sindacale a questa forma di lotta unitaria delle donne e in particolare perché su questo obiettivo, insieme a Non Una Di Meno, si muovesse la CGIL nazionale, con la sua metà degli iscritti che sono lavoratrici (2.700.000) e con le sindacaliste che costituiscono quasi la metà negli organismi dirigenti a ogni livello. Le obiezioni nella CGIL nascono dal fatto che lo sciopero globale femminista è uno sciopero politico. La CGIL nella sua storia ha indetto scioperi politici, come quelli che negli anni ’70 del secolo scorso portarono a ottenere la legge 833/1978 istitutiva del Servizio Sanitario Nazionale, ma oggi i suoi vertici non vogliono sentirne parlare, soprattutto non accettano che l’iniziativa della proclamazione parta da un soggetto di movimento. Non Una Di Meno, d’altro canto, sopravvaluta la sua forza e non si rende conto della necessità di una efficace mediazione che superi difficoltà che non possono essere colmate di colpo con un atto volontaristico unilaterale.

Occorre costruire un percorso di collaborazione tra Non Una Di Meno e la CGIL, che, a partire dalle dirigenti e dalle delegate della CGIL – realtà territoriale per realtà territoriale – arrivi alle lavoratrici, organizzando assemblee nei luoghi di lavoro tenute congiuntamente da sindacaliste e da femministe del movimento sulla condizione delle donne in Italia, sui loro diritti sindacali e politici e sulla loro effettiva concretizzazione, su obiettivi condivisi di emancipazione e di liberazione, su modalità concordate di sostegno reciproco alle rispettive lotte. Questa è la prospettiva verso cui hanno iniziato a muoversi le compagne dell’A.Do.C.- PCI, nel quadro di una proposta di grande alleanza tra donne delle varie forme della politica, che abbiamo cominciato a definire nel nostro convegno “Donne e politica ieri oggi e domani. Uniamoci per essere libere tutte”, realizzato a Milano nell’ottobre del 2020, i cui atti sono disponibili presso le organizzazioni provinciali e territoriali del Partito.  

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