a cura del Dipartimento Lavoro PCI
Sono stati diffusi da INPS i dati dell’Osservatorio sul precariato relativi ai primi cinque mesi di quest’anno. Sembra che tutto vada bene, aumento delle assunzioni da parte dei datori lavoro privati. Un incremento del 37% rispetto allo stesso periodo dell’anno scorso. Anche le trasformazioni a tempo indeterminato sono cresciute (+71%). Certo, c’è stato un aumento delle cessazioni (+44%), ma l’anno scorso erano in vigore le norme anti licenziamento e, comunque, il saldo delle assunzioni è positivo. Quindi si dovrebbe pensare a una crescita del lavoro. Bene? Non proprio, perché bisognerebbe anche considerare altri fattori. Il primo è, necessariamente, conoscere che tipologie contrattuali sono predominanti. E si capisce che il “grosso” delle assunzioni riguarda contratti a termine, apprendistato, stagionali, somministrati, intermittenti. E se consideriamo le nuove assunzioni e cessazioni a tempo indeterminato, si nota come il saldo tra il 2022 e il 2021 (periodo gennaio-maggio) sia negativo di circa 125.000 unità.
Nel periodo gennaio-luglio 2022, per quanto riguarda le ore autorizzate di Cassa Integrazione Straordinaria esiste un incremento del +45,65% rispetto allo stesso periodo del 2021.
Nei primi 6 mesi del 2022, le domande di disoccupazione sono cresciute, rispetto allo stesso periodo del 2021, di un +28,3%
È il precariato, insomma, che cresce maggiormente. L’altra questione che dovrebbe essere evidenziata è quella salariale che “sembra” deficitaria.
In pratica, nel 2021, la retribuzione media annuale in Italia è inferiore quella europea di circa 8.000 euro. E, come riporta la fondazione Di Vittorio, nel 2021, il 26,7% dei lavoratori dipendenti ha denunciato meno di 10.000 euro annui.
Una situazione che viene confermata dall’aumento del rischio di povertà evidenziato dalle tabelle Eurostat che evidenziano come il 25,2% (14,83 milioni) delle persone sia in povertà o a rischio di esclusione sociale.
Se a questo si considera che l’inflazione relativa ai beni alimentari, alla cura della casa e delle persone sia calcolata al +9,1% (dato di fine luglio 2022) si può ben capire che la situazione è tutt’altro che rosea come verrebbe da pensare leggendo solo i dati sull’occupazione diffusi da INPS e dai principali mezzi di informazione.
Infine chi lavora mette a rischio la propria salute e la propria vita. Da inizio anno sono 520 i lavoratori morti per infortunio nei luoghi di lavoro (circa il 15% in più rispetto allo stesso periodo del 2021) e sono oltre 1.000 se si considerano anche i decessi in itinere (fonte Osservatorio Nazionale di Bologna morti sul lavoro).
Ma di tutto questo non si parla in una campagna elettorale condotta a slogan, promesse e proclami. Nessuno di chi è nelle istituzioni si esprime seriamente sulla necessità di dover cambiare profondamente il sistema produttivo, il modello di sviluppo e le priorità del nostro paese. Cambiamenti radicali che devono partire dalla risposta alle domande: “Chi deve pagare? chi vive del proprio lavoro o chi accumula ricchezza e profitti grazie a speculazioni e sfruttamento che non possono e non devono essere tollerate?”
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