a cura di Norberto Natali – Direzione Nazionale PCI
Nell’analizzare i rapporti di forza e le loro variazioni -nella lotta di classe oppure in una comune guerra tra Stati- occorre valutare, distinguendoli, il fattore umano o morale e quello materiale. Da non confondere con la guerra psicologica e quella convenzionale (più i suoi sviluppi nucleari, chimici e altri più recenti).
Naturalmente, i processi o i movimenti rivoluzionari (come i Partiti Comunisti) per definizione sono inizialmente in notevole svantaggio in rapporto al fattore materiale e ancor di più riguardo alla guerra convenzionale. Gli esempi sono tanti: dalla nostra Lotta Partigiana (senza tornare al risorgimento o altri esempi) fino all’assalto al Moncada (inizio della Rivoluzione cubana).
Per questo motivo, la prima arma utilizzata dalla classe al potere contro quelle oppresse e sfruttate è il disfattismo verso ogni movimento di lotta o tentativo rivoluzionario. Ci si avvale della oggettiva (benché momentanea) superiorità materiale per soffocare ogni speranza di liberazione, tentando di convincere le masse che l’esito di ogni lotta sarebbe una situazione peggiore della precedente.
Questa tattica è sempre accompagnata da espedienti e provocazioni ad essa funzionali ma la sua riuscita è direttamente proporzionale alla quota di disfattisti presenti tra le fila della classe antagonista o delle forze potenzialmente rivoluzionarie. Questi, specialmente all’interno del movimento operaio, sono i primi, autentici “agenti della borghesia”: a volte è un ruolo involontario e ciò, in un certo senso, è anche peggio! Perciò la lotta contro il disfattismo è una delle caratteristiche (o dei compiti) permanenti dei Partiti Comunisti (e non solo).
Non a caso, Pietro Secchia disse che la fiducia (anche nel senso di sopravvalutazione delle sue forze) nella borghesia o la sfiducia nel proletariato sono i primi requisiti degli opportunisti i quali, di conseguenza, finiscono sempre per rinunciare agli obiettivi di fondo o di prospettiva in cambio di supposti vantaggi immediati (che quasi mai si confermano tali).
A volte i disfattisti più raffinati coprono il loro opportunismo fingendo di combattere l’estremismo e il settarismo (scelta in sé sempre giusta, quando non è una finzione) oppure pavoneggiandosi come i paladini dell’unità: la realtà, poi, si incarica di dimostrare che provocano -con il proprio disfattismo- più divisioni di quanti ve ne erano già.
Un caso classico è il famigerato articolo di Zinoviev e Kamenev contro la Rivoluzione d’Ottobre pubblicato alla sua vigilia, dove sostenevano che l’insurrezione bolscevica era un azzardo rischioso: il pericolo principale, invece, furono proprio loro che rischiarono di farla fallire anche mettendo in preallarme, con il loro testo, gli apparati di sicurezza.
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È utile ricordare un momento della storia del nostro Partito.
Dopo la cattura di Gramsci e di gran parte del gruppo dirigente ed il parziale sfaldamento della nostra organizzazione in Italia -dovuta alla forte repressione nei primi due-tre anni dopo la definitiva instaurazione della dittatura fascista (autunno 1926) e all’emigrazione forzata di tanti compagni- in rapporto con l’Internazionale Comunista, la direzione del Partito decise di riorganizzare le forze e rilanciare la lotta contro il regime mussoliniano in Italia.
La scelta strategica era diversa da quella degli altri partiti antifascisti: il fascismo, prima di tutto, si doveva combattere nel paese, coltivando continuamente (malgrado i colpi e gli arresti del nemico) il radicamento nel proletariato e il permanente ripristino e rafforzamento dell’organizzazione clandestina.
Una scelta certo difficile e rischiosa ma necessaria per non ridursi, come altri, ad essere un semplice gruppo di chiacchieroni che si accontentano di esprimere tra di loro il malcontento verso la dittatura. Alla fine del 1929, in una riunione della segreteria, il compagno Longo svolse la relazione indicando la scelta del rientro “clandestino” pianificato di quanti più compagni possibile e sintetizzò la sua proposta dicendo che bisognava riportare in Italia tutto l’apparato del Partito.
Ben tre componenti di quell’organismo (Tresso, Ravazzoli e Leonetti) si opposero fermamente, rifiutandosi di eseguire le decisioni del Partito ed avviando un’attività frazionistica contro questa linea. Con raffinate “analisi” politiche e storiche e con dotte citazioni dei classici, in pratica, mimetizzarono la loro paura dell’avversario e la volontà di rischiare il meno possibile rifugiandosi in attività meramente “ideali” all’estero.
Avevano paura di compiere la scelta necessaria e iniziarono anche a scrivere con falsi nomi articoli contro il Partito e l’Internazionale su giornali francesi. Perciò la rivista clandestina del PCdI “Lo Stato Operaio” nella primavera del 1930 pubblicò articoli energici e precisi contro questi vigliacchi e più tardi il compagno Togliatti propose agli organismi dirigenti la loro espulsione, affermando letteralmente che si trattava di traditori che andavano combattuti (in primo luogo politicamente) senza tentennamenti.
In seguito il Partito si dedicò con abnegazione ai compiti decisi e la strategia di combattere direttamente, in patria, come sempre, il nemico fascista fu al centro del IV Congresso che si svolse a Colonia (in Germania) nel 1931. Fu proprio alla vigilia di esso, a causa dell’intensa attività per la sua preparazione, che il compagno Secchia cadde nelle mani dell’OVRA, come capitò nello stesso periodo ad altre compagne e compagni.
Nel decennio successivo, la coraggiosa strategia adottata costò un caro prezzo, molti compagni sacrificarono la loro libertà (e non solo) per realizzarla. Tuttavia fu per questo motivo che il PCI acquisì forza e prestigio nel paese e divenne in seguito la parte più importante ed incisiva della Resistenza: probabilmente non avremmo avuto (o sarebbero state cosa diversa, di minore rilevanza) il 25 aprile e la Costituente, nonché il più forte Partito Comunista del mondo capitalista, senza quella battaglia politica del 1930.
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Gli opportunisti, con l’arma del disfattismo, pretendono di essere dei rivoluzionari solo nella misura in cui ciò non comporta rischi o fatiche ovvero vogliono la certezza del pieno successo (senza tortuosità e contraddizioni lungo la strada) PRIMA di iniziare una battaglia. Sono come quel pescatore che non si mette in mare se non è sicuro già PRIMA di fare una pesca abbondante e ricca senza alcun problema.
Da ciò ne deriva che gli opportunisti, con il disfattismo, si riducono sempre a gruppi di chiacchieroni inconcludenti, come scrisse Gramsci ad un pulviscolo che si sparpaglia e si annulla e anche quando crede di svolgere compiti politici essi non hanno conseguenze (pratiche).
Per questo il disfattismo è sempre e solo l’anticamera della rassegnazione disperata all’esistente, la ricerca opportunistica di una sistemazione alla meno peggio nei limiti della realtà presente e la rinuncia a qualsiasi concreta trasformazione (sia pure ardua e di lunga lena) di tale realtà.
Lo fecero alcuni nel periodo del fascismo, illudendosi di svolgere funzioni “oppositorie” nei limiti concessi dal regime, ripetè l’errore -per fare un esempio- il PSI con l’adesione al centrosinistra e poi seguendo Craxi. Lo fanno anche i disfattisti odierni che -fingendosi “realisti”- vorrebbero solo continuare quello che si fa da decenni e che ha causato la rovina del movimento operaio e della sinistra in Italia: per esempio appoggiare l’attuale, sedicente centrosinistra o il M5S di Conte (per non fare esempi peggiori).
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Nel nostro piccolo, abbiamo iniziato -quanto meno con il recente Congresso e le sue applicazioni successive- una sorta di “lunga marcia” che ci porterà fuori dal passato, ci libererà dai vizi e dalle degenerazioni che hanno causato la vera disfatta della sinistra italiana dell’ultimo trentennio con la prospettiva di ridare al nostro popolo un Partito Comunista che affronti le sfide del futuro come il disciolto P.C.I. seppe fare con la gran parte di quelle dei suoi tempi.
Per questo l’attacco disfattista è partito subito con la grancassa, sostenendo che la raccolta delle firme sarebbe fallita, sarebbe stata una fatica dura e inutile a cui la direzione del Partito voleva crudelmente sottoporre tante compagne e compagni. La battaglia per la presentazione delle nostre candidature, invece, in linea di massima è stata un balzo in avanti rispetto ad esperienze precedenti, in assoluto e ancor più relativamente, considerando che i risultati sono stati ottenuti nelle due settimane a cavallo di ferragosto, come architettato dal colpo di mano dei capi dello Stato e del governo.
In un periodo di tempo pari a un decimo circa di quello concesso dalla legge ordinaria per la sottoscrizione delle liste, nel momento in cui gran parte delle attività (anche istituzionali) vengono sospese, noi dovevamo raccogliere la metà -anzichè meno di un decimo, come sarebbe proporzionato e logico- delle firme previste per elezioni non anticipate, le quali dunque non avvengono all’improvviso e sono concessi, in tal caso, sei mesi di tempo per gli adempimenti necessari.
Si è trattato, quindi, di un’impresa che non ha precedenti nella storia della Repubblica e che ha spaventato tutti, a cominciare da Calenda (che si è mosso per evitare la raccolta delle firme) e passando a tante altre forze che si sono “consorziate” tra loro per superare questo scoglio.
Il PCI è stata l’unica forza ad affrontare da sola senza paura questo cimento ed ha ottenuto grandi successi, più o meno ovunque.
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Allora la musica dei disfattisti è magicamente cambiata ed è divenuta: “ma non siete riusciti a presentarvi in tutta Italia”.
Queste posizioni ricordano quelle con cui se la prendeva Lenin nel libro “La rivoluzione proletaria e il rinnegato Kautsky” a proposito del caso Malinowski, una spia che era riuscita ad infiltrarsi nel gruppo dirigente del Partito. Certi “compagni” sembravano gongolare per quel successo del nemico anziché preoccuparsene e magari domandarsi se anche in casa loro fosse accaduto qualcosa di simile.
Allo stesso modo, alcuni compagni odierni sembrano essere contenti del colpo di mano (un attacco alla democrazia, come abbiamo scritto subito) con il quale sono state decise queste elezioni, così hanno la possibilità di dire che “non ci siamo presentati dappertutto”. Pensate che sono gli stessi che usano la “crisi democratica” per sostenere che non dobbiamo tentare di candidarci!
Intanto siamo presenti (al Senato o ambedue le camere) in circa metà delle regioni italiane. Nel resto -in linea di massima- abbiamo ottenuto grandi consensi che ci hanno portato vicini al raggiungimento dell’obiettivo. Cosa significa se in città come Brescia (per fare un solo esempio fra tanti simili) abbiamo raggiunto circa l’80% delle firme necessarie? Abbiamo presente come sia una simile città nelle settimane di ferragosto, con tutte le fabbriche chiuse e la popolazione che -a causa del clima torrido e dei due anni di pandemia- fa di tutto per andare via?
La verità è che abbiamo dimostrato matematicamente che siamo perfettamente in grado -da soli- di presentarci in tutta Italia in qualsiasi scadenza elettorale nella quale possiamo adempiere agli obblighi di legge in un periodo diverso dalle due settimane di ferragosto. Probabilmente, grazie all’esperienza appena compiuta e all’estensione di simpatia e consenso che ne abbiamo ricavato, una prossima volta riusciremo a raggiungere tutti gli obiettivi anche a ferragosto!
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Adesso i disfattisti cambieranno ancora tenore e diranno che il problema è l’unità o la dispersione del voto. Quindi non c’entravano nulla “la fatica” o “il caldo” o l’impossibilità di raccogliere le firme?
Così arriviamo alla provvisoria conclusione, rinviando ad altro momento l’approfondimento di tutto il discorso e la risposta a chi usa la “crisi democratica” come pretesto per impedire la presenza dell’identità comunista e della falce e martello sulla scheda elettorale.
Chi sperava nel fallimento della nostra raccolta di firme, essendo rimasto sconfitto, ora strumentalizza il tema dell’unità: ma ciò avviene nella confusione e nella contraddittorietà. C’è chi la vorrebbe con Conte, chi con Unione Popolare e alcuni di loro (come altri) in realtà, sotto sotto, è nostalgico dei tempi in cui il nostro simbolo rischiava di ridursi a un appendice del PD. Esso, insomma, sembra che vada bene come ornamento o copertura per tutti ma non da solo.
La verità è che questi disfattisti non credono (o non vogliono) che in Italia ci possa essere nuovamente un forte e coerente PCI ed è su questo tema che sfidiamo al confronto quelli che tentano di sfuggirvi, dirottando l’attenzione sulle firme o sulle liste altrui. La questione vera non è la partecipazione a queste elezioni o il loro esito ma la costruzione e la prospettiva del Partito.
Non a caso, in un testo pubblicato su questo sito il 15 luglio scorso per sostenere una precedente risoluzione della direzione del Partito, quando ancora nessuno immaginava che avremmo dovuto raccogliere le firme (tuttavia si ipotizzava un voto anticipato in autunno) veniva scritto:
“ (…) Al lavoro e alla lotta, compagne e compagni. Concentriamo le nostre forze -ora così impari rispetto a quelle avversarie- prepariamoci ad una battaglia difficile, intanto già per gli adempimenti necessari per la presentazione delle liste e poi, eventualmente, per la campagna elettorale vera e propria. In ogni caso, avremo modo di ragionare con una grande massa di donne e uomini di tutte le età ed avere l’occasione di scuoterli dall’apatia, dalla demoralizzazione, dalla sfiducia e dallo smarrimento che percorrono il nostro popolo.
Forse non otterremo parlamentari (non è un fine per noi in questo momento benchè sia sempre un mezzo importante) magari non riusciremo neanche a presentarci ovunque ma continueremo, in questo modo, a gettare il nostro seme e a coltivarlo: non lasceremo che venga affossata la bandiera rossa con la falce e il martello ma, sia pure con le nostre esigue forze attuali, la terremo alta quanto ci riuscirà (…)”.
Un sincero ringraziamento alle tante compagne e compagni che, nella migliore tradizione dei comunisti italiani, hanno lottato, sofferto e vinto per la raccolta delle firme.
Ora affrontiamo con slancio e fierezza la prossima campagna elettorale ma, soprattutto, continuiamo nella costruzione del Partito, nel suo costante rafforzamento qualitativo e quantitativo: sarà questa la disfatta dei disfattisti.
Ottima analisi, dobbiamo andare aventi così!
Cari compagni il momento è cruciale e dobbiamo impegnarci al massimo.Un abbraccio a tutti voi.
Analisi eccellente un tantino romantica ma efficace
Eccellente analisi un tantino romantica ma efficace
Ritengo vergognoso ed inelegante dare dei vigliacchi con 100 anni di ritardo a Tresso e gli altro fuoriusciti. Così come è stato vergognoso sfilare a fianco dei fascisti no green pass o difendere il partito comunista cinese. Ne prendo atto con rammarico.
Il Partito Comunista Cinese è il fondamentale punto di riferimento per le sorti delle classi subalterne di tutto il mondo. Fidel Castro lo ha detto con chiarezza prime di morire. Di trotskisti controrivoluzionari come te non avvertiamo alcun bisogno. Va altrove !!
sono comunista non ho fatto il vaccino, sono stato alle manifestazioni no green pass ( non tutte due o tre), ti garantisco non sono dei fascisti, anzi le infiltrazioni fasciste sono state facilitate dall’isolamento subito da queste persone nella società e se li chiami fascisti, rileggiti la costituzione su quello che riguarda gli stati di emergenza nazionale e fatti un esame di coscienza.
Non sono in grado di intraprendere discussioni su Lenin, Togliatti o Secchia. Parto da un elemento diciamo marginale ma di facile evidenza empirica nella realtà di queste ultime settimane. Innumerevoli soggetti politici lamentano, tutti, di essere GLI UNICI a dover raccogliere le firme. Ora tralasciando i vari pazzi scatenati tipo 3V che ci devono convincere che Bill Gates controllerà le menti dell’intera umanità attraverso i microchip nel cervello, ma non sanno minimamente descrivere un campo elettromagnetico e come questo interagisce con la materia (così come non sanno comporre una frase in lingua italiana), che spero non siano riusciti a presentarsi; mi sembra che un’ adesione alla realtà priva di esagerazioni, da comunisti, sia necessaria.
Negare l’esistenza di altri soggetti nella stessa condizione formale rispetto alla procedura elettorale e di altri – come sottoinsieme – che sono affini ( e i cui elettori dovreste voler influenzare, o mirate agli elettori di Calenda?) mi pare un allontanamento dalla realtà non opportuno.
UNA INTERESSANTE ANALISI…STORICO POLITICA
ASSOLUTAMENTE CONDIVISIBILE…
AGGIUNGO…ANCHE UTILE PER FAR CRESERE IL PARTITO COMUNISTA ITALIANO.
analisi che condivido nei contenuti e nei toni.Personalmente penso sia il modo migliore per ricominciare mettendoci la faccia. E difficile!?.credo che niente è mai stato facile per i comunisti,ora meno che mai.Il dibattito che si attiverà incontrando la gente darà i suoi frutti ,in ogni caso se le nostre forze sono limitate daremo il nostro contributo , ll disfattismo non aiuta.
NON CAMBIEREMO QUESTA DIFFICILE REALTA’? L’IMPORTANTE E’ CHE LA DUREZZA DEL TEMPO PRESENTE NON CAMBI NOI.
Analisi un tantino romantica dice un compagno,abbiamo tempi duri davanti un pò di dolcezza non guasta.