di Walter Tucci – Segreteria Nazionale PCI e Responsabile Dipartimento Costituzione, Democrazia, Istituzioni
Il 2 febbraio, il Consiglio dei Ministri presieduto da Giorgia Meloni, con l’approvazione del DDL Calderoli, si è assunto la responsabilità storica di aver avviato l’attacco più pericoloso alla coesione del nostro Paese ed all’uguaglianza dei diritti civili e sociali di tutti i cittadini italiani, così come sanciti dalla nostra Costituzione.
Tale DDL contrasta, infatti, con la prima parte della Costituzione, con i suoi principi e con i suoi stessi valori fondanti, configurando un attacco frontale all’unità della Repubblica e agli stessi assetti statuali.
E’del tutto evidente che il progetto denominato “autonomia differenziata” non risponde solo al disegno secessionista della Lega, ma è stato fatto proprio anche dal PD e dai precedenti Governi di centro sinistra che, nel 2001, hanno reso possibile tale deriva con la modifica del Titolo V°, concessa alle smanie separatiste della Lega.
Ora, con questo provvedimento, siamo di fronte, ad una accelerazione che risponde al patto scelerato tra secessionisti e presidenzialisti, posto a fondamento di questa maggioranza e di questo Governo. Del resto, la Lega deve supportare le sue evidenti difficoltà per le imminenti elezioni regionali e Fratelli d’Italia, rinuncia alla sua stessa “ragione sociale” di stampo nazionalista, per perseguire il suo sogno presidenzialista.
Spetta dunque di nuovo alle autentiche forze democratiche, associazioni, movimenti, giuristi, costituzionalisti, società civile, forze politiche e sindacali, difendere ancora una volta i valori costituzionali ed il ruolo stesso di un Parlamento già da tempo svuotato delle sue funzioni, al quale non si consentirebbe neanche il diritto di entrare nel merito di una questione così determinante per la stessa vita quotidiana dei cittadini.
Dobbiamo fermare questo progetto! Non possiamo consentire che si creino servizi pubblici differenti secondo la residenza, che si raddoppi la burocrazia, che si sottragga l’economia locale, sia privata che pubblica, alla funzione regolatrice e programmatrice nazionale, e che si affidi ai singoli territori la gestione di materie essenziali per lo sviluppo equilibrato del Paese, come l’Istruzione, la Salute, l’ambiente, i trasporti, le infrastrutture, la ricerca scientifica e tecnologica, i contratti di lavoro (già si propongono gabbie salariali!) e, perfino, i rapporti con la U.E.
Anche una sola di queste materie, sottratta alla funzione perequativa dello Stato, innescherebbe un processo irreversibile. Per non parlare delle ingenti risorse finanziarie che si vorrebbero trattenere sui territori, valutate in circa 30 miliardi.
Una vera secessione dei ricchi, come giustamente è stata definita!
Ma perché si vuole rompere il principio costituzionale che impone la perequazione delle risorse tra i territori e la pari dignità dei diritti dei cittadini, a prescindere da dove risiedono?
Il vero obiettivo, che va denunciato con chiarezza per svegliare le coscienze dei veri democratici e organizzare la necessaria mobilitazione di massa, è quello di ottenere una maggiore indipendenza da un sistema economico, politico e sociale, le cui regole fondamentali contemplano forme di equità e di redistribuzione di risorse, il carattere nazionale e unitario dell’istruzione e della sanità ed un preciso limite all’ampliamento delle privatizzazioni dei beni e dei servizi.
E’ in sostanza il progetto che parte da Maastricht, quello, cioè, dell’integrazione europea delle Regioni “forti” del centro nord; è la vittoria del liberismo; è la volontà di introdurre surrettiziamente una profonda modifica degli assetti istituzionali del nostro Paese!
Il PCI metterà in campo tutta la forza di cui è capace, perché, assieme a quanti si battono per lo stesso scopo, si possa fermare questo disegno eversivo, anche puntando ad una urgente e profonda revisione del titolo V°, se si vuole davvero evitare che si ritorni all’Italia dei singoli staterelli, e se si vuole preservare l’unità della Repubblica, recuperando una volta per tutte il divario tra Nord e Sud, come prescrive esplicitamente la Carta del ’48.