Quattro anni di non-vita per Julian Assange

Giorgio Langella – Dipartimento Lavoro PCI

Oggi, 11 aprile 2023, sono 4 anni che Julian Assange è rinchiuso nel carcere di massima sicurezza britannico di Belmarsh in attesa della estradizione negli Stati Uniti dove rischia una pena fino a 175 anni di carcere. Quattro anni praticamente in isolamento senza che sia stato condannato a nulla. La sua “colpa” è quella di aver diffuso al mondo informazioni vere che dimostravano, tra l’altro, i crimini di guerra compiuti dagli USA nei vari conflitti scatenati nel mondo, Afghanistan, Irak ecc.  Julian Assange è, chiaramente, un prigioniero politico che deve essere “spento” da quello che viene considerato, nella parte del mondo nella quale viviamo, uno stato esempio di democrazia. La vicenda di Assange come quella di Leonard Peltier o di Mumia Abu-Jamal (e di tanti altri ancora meno conosciuto), sono lì a ricordarci che quella democrazia tanto decantata non è, poi, proprio così.


Ce lo ricordano le storie e la vita di queste Persone anche se non sono così conosciute come dovrebbero visto che le notizie e le informazioni che li riguardano vengono, di fatto, censurate. Di loro si sa poco o niente forse perché devono sparire, forse perché con l’oblio si pensa che tutto verrà cancellato, ogni responsabilità, ogni crimine, qualsiasi discriminazione esistenti nella democratica civiltà occidentale.


Di Julian Assange non ci sono neppure fotografie recenti vere, non vengono diffuse notizie. Quello che sappiamo proviene da appelli della moglie, da “indiscrezioni” … la verità viene nascosta da chi lo vuole cancellare. Il dubbio che sia una verità tremenda è più che legittimo.
Oggi ci sono molte iniziative per chiedere la libertà di Julian Assange. Si mobilita la gente comune, le persone veramente “per bene”. Ma non basta.

Chi comanda, chi ha il potere e tace, è complice della persecuzione.
È necessario, un dovere di ognuno, ricordare Julian Assange. Vogliamo sapere cosa gli stia accadendo, vorremmo che l’informazione del nostro paese ne parlasse, che i direttori e famosi giornalisti che si dicono “liberi e indipendenti” scrivessero qualcosa, che chiedessero con forza la sua liberazione.

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