A cura del PCI, Federazione di Taranto
Il Governo Meloni continua a rinviare una decisione su Acciaierie d’Italia (ex ILVA) perché ha paura di una battaglia legale con Arcelor Mittal, perché ha paura dell’UE e perché ha paura dei mercati. Ma Meloni, Salvini, Fitto, Urso e Giorgetti non hanno paura dei cittadini di Taranto e dei Lavoratori e quindi preferiscono non decidere.
I Sindacati spingono perché lo Stato acquisisca la maggioranza delle azioni dell’azienda e possa controllarla evitando il collasso e salvando le aziende dell’indotto e i posti di lavoro. Ora a tutti è evidente che l’unica soluzione sia l’intervento dello Stato, ma in questo senso si sono persi 12 anni, facendo incancrenire la situazione, lasciando all’intervento pubblico le macerie e aggravando ancora la salute dei cittadini e le condizioni di inquinamento ambientale. Le responsabilità di questi 12 anni persi sono di tutti i governi succedutisi: Monti, Letta, Renzi, Gentiloni, Conte, Draghi e Meloni. Tra questi sembrava aperta una gara a chi fosse il più garante del mercato e delle sue logiche. Calenda e Renzi furono quelli che vollero mettere l’ex ILVA nelle mani di Arcelor Mittal (per il bene dell’economia nazionale dicevano) e oggi il “pugliese” Fitto è quello che resiste nel chiedere di mantenere nelle mani del colosso indiano le redini dell’azienda (alla faccia della difesa del Made in Italy).
Che la soluzione fosse lo Stato noi lo dicevamo 12 anni fa e oggi abbiamo il dubbio che ormai possa essere troppo tardi. Ma se tardi non dovesse essere, sia comunque chiara una cosa: solo una vera NAZIONALIZZAZIONE potrebbe garantire tutti. Sentiamo invece parlare, anche da parte sindacale, solo di acquisizione di quote di maggioranza, di ricapitalizzazione, di immissione di liquidità. Film già visti, nei quali lo Stato interviene con i soldi dei cittadini per sanare e poi rimettere nelle mani dei privati l’azienda, consentendo poi a questi ultimi di tornare allo sfruttamento. Nazionalizzare è altro e si fonda su una prospettiva di gestione aziendale differente, che non mette al centro il mercato ma l’interesse dello Stato, inteso nel senso più ampio del termine che giunga ad includere il diritto alla salute e la salvaguardia dell’ambiente.
La vicenda di Acciaierie d’Italia e di Taranto è la rappresentazione plastica di come il cosiddetto “centrosinistra” e il centrodestra muovono le loro politiche sulla stessa direttrice economica e sociale. Sono in perfetta continuità tra loro e in perfetta continuità agiscono la loro (ir)responsabilità nei confronti di cittadini e lavoratori: preferiscono non decidere perché hanno paura dei più forti e purtroppo i lavoratori e i cittadini non gli fanno paura. Sarebbe necessaria una vera sollevazione popolare, come quella che nel 2012 portò in piazza la presa di coscienza di un territorio contro i Riva e il sistema di connivenze che li sosteneva e gli consentiva di sfruttare tutto ciò che potevano (compresa la salute e l’ambiente).
La spinta popolare resta l’unica soluzione in un momento in cui le istituzioni locali, paralizzate dalla insussistenza delle forze politiche presenti nelle assemblee elette, non sono in grado di poter rappresentare gli interessi del territorio. Il Comune di Taranto è passato dalla farsa alla comica. Il Sindaco, a solo un anno e mezzo dalle elezioni, ha perso la maggioranza che lo sosteneva e alla disperata ricerca dei numeri, è impegnato esclusivamente nel cambiare la composizione della Giunta Comunale ogni 15 giorni. I partiti del cosiddetto “centrosinistra” si sono sfaldati e oggi il Consiglio Comunale è il campo di battaglia tra gruppi indistinti, in lotta tra loro per accaparrarsi strapuntini utili alla gestione dei tanti soldi che stanno arrivando. Figuriamoci se una politica così ridotta sia in grado di far valere gli interessi del territorio nei confronti del Governo o di Arcelor Mittal.
In buona sostanza solo i lavoratori e i tarantini possono rappresentare la chiave di svolta per questa vicenda. C’è bisogno di loro, della loro iniziativa politica della loro forza.