da ADoC e Dipartimento Istruzione PCI
Si sta svolgendo a Roma, il 9 e 10 maggio, la quarta edizione degli Stati Generali della Natalità, convocati da una “Fondazione per la natalità” col patrocinio della ministra Roccella per la Famiglia, la natalità e le pari opportunità e del ministro dell’istruzione e del merito Valditara.
Per la loro impostazione, i presupposti di base a partire dai quali sono stati convocati, i loro precedenti e le presenze previste, questi Stati Generali della Natalità si caratterizzano come subalterni alla linea politica che i neofascisti al governo caldeggiano di ritorno a un modello di famiglia gerarchico e patriarcale, sostenuto da una visione misogina, omofoba e antistorica delle relazioni umane, contraria alla libertà delle donne e ai diritti civili, oltre che a un’idea di educazione laica, solidale e volta al futuro.
Per tutte queste ragioni preoccupa che sulla tribuna di questa convocazione siano chiamati a sfilare, accanto ad esponenti della destra più retriva e personaggi che pensano probabilmente di lucrare dividendi elettorali anche da questa occasione, anche esponenti dei partiti “moderatamente” critici dell’operato del governo e addirittura il Papa.
Già nelle sue premesse, dunque, l’iniziativa si presenta con una connotazione antiprogressista e antifemminista sostenuta da un governo che sta portando un attacco al cuore dei diritti conquistati dalle lotte delle donne in Italia e in Europa (divorzio, aborto assistito e gratuito, riforma del diritto di famiglia, leggi sulle unioni civili), che sta minando la legge 194 con proposte legislative restrittive, quali l’estensione dei tempi di attesa obbligatori, l’introduzione di clausole di coscienza degli operatori sanitari, l’inserimento nei consultori di personale anti-abortista. E che non perde occasione di manifestare la difesa ad oltranza di un ordine tradizionale sessista e classista di società e di famiglia, secondo una linea di pensiero ispirata allo slogan “Dio, patria e famiglia” che dietro l’incitamento alla maternità malamente cela una visione del corpo femminile come una macchina da regolare secondo le esigenze del PIL e la reale concezione della natalità come finalizzata alla produzione di nuovo capitale umano per l’alimentazione del sistema capitalistico.
Un’iniziativa volta – come ha subito denunciato il movimento femminista Non Una Di Meno che ha indetto un’immediata mobilitazione – a nient’altro che «all’ indebolimento e alla limitazione del diritto delle donne di decidere liberamente sul proprio corpo» e si colloca nel contesto di una pericolosissima deriva reazionaria in atto in Italia e in Europa, che pone fra i suoi bersagli, oltre a una fantomatica “ideologia del gender” che avrebbe pervaso gli ambiti dell’educazione pubblica, per prime le stesse femministe e in genere le donne emancipate, colpevoli di rinunciare alla loro “naturale funzione di madri” per la smania di carriera e di diffondere una “mentalità abortista” che sarebbe la principale responsabile del cosiddetto “inverno demografico” nei paesi ricchi. E operando un paradossale capovolgimento di cause ed effetti, pone alla base della crisi economica che colpisce i paesi capitalistici più sviluppati il calo demografico, il quale a sua volta sarebbe alla base della perdita di supremazia della civiltà bianca-cristiana-occidentale.
E di conseguenza si legittima ad usare ogni misura per reprimere le energie sociali che operano per sradicare dalle fondamenta le dinamiche patriarcali, per trasformare una società violenta e disuguale segnata dalle discriminazioni di genere, classe e razza, e conquistare nuovi spazi all’affermazione di libere soggettività, a partire da quelli educativi e scolastici.
Con slogan accattivanti e apparentemente innocenti – “Esserci, più giovani e più futuro” – mescolando in maniera fuorviante argomenti più disparati e in certi casi contrapposti, si costruiscono false nemiche e falsi nemici contro cui canalizzare il disagio sociale e morale, tenendo fuori dall’agenda, invece, le piaghe della violenza sulle donne, compresa quella domestica, e dei femminicidi. Per non parlare del modello di sviluppo capitalistico, con la distruttività insita nei processi di super sfruttamento del lavoro e la dilapidazione delle risorse materiali e umane, con l’aumento delle disuguaglianze e delle povertà, con le guerre divenute ormai progetto operativo permanente di un’alleanza economico-politico-militare che intende assoggettare il pianeta agli interessi del profitto capitalistico.
Contro tutto questo la mobilitazione è partita dai movimenti femministi e per i diritti civili, per dire che LE DONNE NON CI STANNO. Che non sono macchine per la riproduzione. Che dalle istituzioni di questo Paese si aspettano di avere garanzie di maggior sicurezza economica e sociale, maggiore benessere psichico, fisico, sessuale attraverso un welfare universale, politiche di educazione al rispetto delle differenze, politiche di contrasto alle violenze di genere e a tutte le forme di oppressione, discriminazione e violenza sul lavoro, in casa e nella società.
Non ci stanno le studentesse e gli studenti che contestano al ministro dell’istruzione e del merito di patrocinare questi Stati generali sulla natalità «dopo aver scelto costantemente il silenzio come unica risposta ad un intero anno di lotte con l’obiettivo di ottenere un altro genere di educazione». Non ci stanno e per questo decidono di portare nelle università e nelle strade la loro rabbia e la loro voce contro questo governo dal quale hanno ricevuto, in risposta alla pacifica, pressante e responsabile richiesta di cessate il fuoco in Palestina e fine della guerra di sterminio a Gaza, la violenza brutale dei manganelli.